Ho risalito il Myar con gli amici di Myar 1990, secondo gruppo italiano a valicare il passo del Kanh-la fra Lahul e Zanskar Himalaya - Viaggio sulle montagne e tra le genti del Tibet. "Più sotto, dopo gli ultimi massi morenici e dentro la grande spaccatura terrestre, il frastuono del fiume che precipita dai ghiacciai del Menthosa, del Phabrang, di Gomba e di Kang-La, ricopre incessantemente ogni altra voce umana ed animale. Noi, stesi e stanchi, con le ossa attaccate ai sassi di questo letto di montagne, a guardare come bambini un cielo mai visto così carico di stelle nuove e a capire quanto è uguale e quanto è diverso da quello di casa, lontano più di 5000 chilometri. Siamo tra le montagne himalayane del Miyar, in Kashmir, alla ricerca di una vetta tutta per noi. Il sogno è già iniziato".
Anteprima Ormai sono quattro ore che ci arrampichiamo e la montagna è sempre così difficile, dura e pericolosamente in agguato. Più si va avanti e più il pendio diventa ripido, frantumato e insostenibile. Non immaginavo la parte di questo crinale così fortemente accidentato. Come fanno questi massi a reggersi l’uno sull’altro, senza precipitare? Qui non c’è posto per stare né in piedi né per appoggiarsi un momento per riposare. E la vetta ancora è tutta da immaginare oltre e dentro le nubi. Che strano mondo è questo qui! Man mano che il corpo esausto dalla fatica perde la sensazione del dolore e il respiro diventa sempre più ampio e vuoto, il resto, la mente e l’anima, si esaltano. Gli spazi che ho, le vette a corone spezzate da tutte le parti, i ghiacciai come altissimi e immensi bacini abbaglianti, gli abissi che sprofondano sotto di me, mi fanno stare a lungo aggrappato e tremante a questo spessore di roccia vetrosa e ghiacciata, come ad un ultimo appiglio. Oltre c’è solo spazio e cielo. Non ho ali per continuare. Chiudo e riapro più volte gli occhi per ridurre l’effetto di immensità e spavento. Lentamente riesco a guardarmi attorno. C’è una corona interminabile di vette e montagne da tutte le parti. Non so da dove inizino e nemmeno dove finiscano. Neve, nuvole e ghiacciai le spaccano, le coprono a tratti e le innalzano continuamente e irregolarmente. Il mondo attorno è fatto da una interminabile serie di vette appuntite verso l’alto come onde in tempesta e io mi sento, in questo momento, solo, al centro di un oceano di materia ed aria. Per un attimo è come se fossi l’unico essere umano su questo territorio di vertici e vertigini delimitato dalla rotondità dell’orizzonte. E su di esso, insieme al cerchio bianco e nero delle montagne è incollata la cupola azzurra del cielo. Più su di questo mondo, ce ne dovrebbe essere ancora un altro, con altre suggestioni ancora più forti e travolgenti o forse incantevoli e senza emozioni.
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Gabriele Maniccia Esperto di comunicazione, lavora a Roma come consulente di management. Ha ricoperto incarichi internazionali per conto del ministero degli Esteri nell’area medio-orientale. Con il patrocinio dell’Istituto Italiano di Cultura di Delhi e il supporto scientifico della Società Geografica Italiana e della Società Euroimage-Telespazio, ha compiuto due spedizioni alpinistiche nella regione himalayana dello Zanskar in Kashmir. Da questa esperienza, che lo ha portato a raggiungere una vetta inesplorata tra le montagne del Miyar, è nato questo racconto di montagna. Nel 1994 ha pubblicato presso l’editore Lacaita il libro Aliante – Il volo della leggerezza che ha ricevuto il primo premio Satùro d’argento di Leporano-Taranto. Ha scritto racconti di volo fantastico pubblicati sulla rivista La Scrittura diretta da Idolina Landolfi. |