Un ospite d'onore
La recensione de L'Indice
(recensione pubblicata per l'edizione del 1985) recensione di Guidotti, V., L'Indice 1985, n. 9
Appena spenti gli echi del premio Malaparte da lei vinto, si torna a parlare di Nadine Gordimer e del suo romanzo "Un ospite d'onore", scritto nel 1970 e tradotto ora da Feltrinelli. Certamente è uno dei libri suoi più ambiziosi e complessi, che non appartiene al "Johannesburg genre", non è cioè ambientato nel terreno a lei familiare del Sudafrica urbano (il Witwatersrand) ma in un immaginario paese dell'Africa centrale che ha appena raggiunto l'indipendenza e si trova a fronteggiare i gravi problemi che la libertà porta con sé: il neocolonialismo politico ed economico, lo sfruttamento straniero, i dissensi interni, l'opportunismo, la corruzione, il persistente tribalismo. Il libro è la cronaca drammatica di un liberale ex-funzionario coloniale, il colonnello Bray, richiamato per partecipare alle celebrazioni per l'indipendenza nel paese dove aveva vissuto in passato e da cui era stato allontanato in quanto schieratosi a favore dei neri. Impegnato in un inutile incarico, affidatogli dal nuovo governo, di consigliere per l'istruzione, il colonnello rifiuta di accettare il progressivo deteriorarsi di quegli ideali per cui aveva lottato e per cui era tornato, si lascia spingere all'azione e al tradimento dall'opposizione e troverà la morte in mezzo ai disordini e alle sommosse. Attraverso una fitta rete di personaggi, Gordimer viviseziona la difficile situazione dell'europeo in Africa e la relazione tra i due continenti. Questo è il suo modo di fare propaganda: nessuna delle numerose interviste, niente di ciò che dice sarà così vero come la sua opera narrativa anche se recentemente sembra essere meno sulla difensiva, soprattutto all'estero, forse perché non si sente giudicata e fraintesa come le accade a Johannesburg. Qui i neri la criticano perché scrive di loro come se sapesse cosa vuol dire esserlo, gli Afrikaners - discendenti dei boeri - non l'accettano perché dissentono delle sue posizioni e fino ad ora l'hanno per la maggior parte ignorata (o si sono occupati di lei per bandire i suoi romanzi, come è accaduto per "Occasion for loving", "Burger's daughter", "The late bourgeous world"), e così fa il partito federale progressista. Perciò le attese di un ristretto gruppo sono spesso frustrate sia che l'incontro avvenga nelle zone residenziali bianche a nord della città, che frequenta in quanto appartiene all'"élite" culturale e artistica progressista, inglese ed ebrea naturalmente, o ai vernissage nella galleria d'arte del marito Reinholdt Cassirer - conoscitore e mercante tra i più raffinati. Gli abiti africani che spesso indossa, la fanno sembrare più minuta e fragile, ma, al di là di questa apparenza e del suo desiderio di estraniarsi e passare inosservata, emerge la sua personalità fredda e decisa; è aliena dal discorso politico nelle occasioni mondane (argomento in cui inevitabilmente si scivola), è pronta a parlare di letteratura su cui ha preferenze e idee ben precise e definite anche per la narrativa italiana. Al suo credo estetico, già enunciato nel 1968 in "Desk Drawer literature", si mantiene fedele a distanza di anni. "Poesia, narrativa, pittura non scaturiscono dagli avvenimenti, ma dagli echi suscitati da essi; in quanto artista non sono interessata alla propaganda, non voglio provare niente ma esplorare l'interazione fra personaggi e situazioni e le ripercussioni sulla vita privata"; e ancora in "Arts and Africa Broadcast": "Non cerco di cambiare niente, non credo che questo sia lo scopo di nessun artista, si può essere visceralmente coinvolti in una causa, ma tutto ciò che si può fare è affinare le percezioni del pubblico: lo aiuti così a vedersi nella sua società e dalla critica viene la coscienza di se stessi e forse una spinta all'azione". Il coinvolgimento e l'impegno investono i suoi quaranta e più anni di attività letteraria in quel grande "club privato per bianchi" che è il Sudafrica. Se avesse scelto l'esilio in Europa o negli Stati Uniti, il dilemma fra i due credo assoluti che l'hanno accompagnata fino ad oggi - e cioè che il razzismo è il male peggiore e che lo scrittore è una persona la cui sensibilità non può accettare separazione tra il mondo interiore e quello esterno, fra arte e politica - non esisterebbe. Ma Gordimer è rimasta a casa, pur avendo accarezzato, dopo Sharpeville, l'idea di trasferirsi in Zambia che nel 1964 aveva acquisito l'indipendenza. L'illusione di esservi accettata come africana bianca (l'unica vera identità che sente di possedere), favorevole ad un governo a maggioranza nera, si dissolse ben presto nella consapevolezza di essere considerata un'europea qualsiasi, arrivata in Africa il giorno prima. "Un ospite d'onore" fa uso di questi temi. L'autrice si trova nella necessità di liberarsi del peso della tradizione liberale coloniale, di cui l'ethos migliorista ed i valori di continuità con l'Inghilterra dell'ottocento costituivano un crudele inganno, se confrontati con la deprimente realtà del Sud Africa. "L'Africa è un paese arido in molti sensi": "Un ospite d'onore" rappresenta l'uscita dalla condizione di inaridimento - per dirlo con Dennis Brutus - che la opprimeva. La situazione interna aveva pesantemente aggravato la crisi personale della Gordimer: il paese di Vorster non era più quello di Smuts, il "Censorship Act" era stato introdotto nel 1963, il partito liberale si era disciolto nel 1968. A causa di leggi sempre più repressive gli scrittori bianchi si trovavano in crescente isolamento culturalmente e politicamente; la "Black Renaissance" ebbe vita breve: Abrahams, Mphahlele, Temba, Modisane furono ridotti al silenzio, alcuni morti altri in esilio; i Sestigers, cioè l'"avant-garde afrikaans", si dedicarono ad una specie di esistenzialismo letterario. Fu quindi Gordimer, con "Un ospite d'onore" e soprattutto con "The Conservationist" del 1974, che segn• un nuovo punto di partenza, accelerando la crescita di un modo di scrivere più autenticamente africano che superasse le barriere fra neri, "coloureds", bianchi afrikaner e inglesi. L'approccio e l'argomento non possono che essere diversi, questa è la tragedia del paese, ma è la realtà che conta e la letteratura deve rifletterla. A M. Mutloase, che nello "Star", il quotidiano più diffuso, ripeteva la solita accusa che i bianchi scrivono dei neri per pura esercitazione accademica, Gordimer rispondeva che ci sono vaste aree di esperienze reali che bianchi e neri condividono, sia di lotta e conflitti, sia di comuni ideologie, vivendo fianco a fianco da trecentocinquant'anni nonostante le leggi che li hanno tenuti separati, e che questo li porta a conoscersi. Per vivere in Africa bisogna avere una prospettiva africana della storia e l'unico modo per entrare nel futuro è conoscere il passato africano. In "Un ospite d'onore" la soffocante e paralizzante realtà del Sudafrica è sostituita da un mondo immaginato, in cui personaggi, non più intrappolati dall'apartheid, mostrano un'attiva determinazione di raggiungere dignità e libertà. Non per questo Gordimer ci presenta neri particolarmente nobili, ma più oggettivamente credibili: sa chi sono, perché sono così, li mostra che escono dal passato, impegnati nel presente e importanti per il futuro. Con maggior coinvolgimento emotivo (il suo atteggiamento è stato spesso criticamente commentato citando Yeats "cast a cold eye / on life on death") l'autrice sembra chiedersi quanto possa essere adatto alla pace chi ha fatto della rivoluzione la propria vita. Né ci sono bianchi troppo cattivi. Non lo è il colonnello James Evelyn Bray che è chiaramente l'eroe, fisicamente e intellettualmente. Non lo sono i personaggi che lo circondano: la coppia di giovani radicali dell'"Upper class", l'avvocato gallese che, essendosi schierato con i rivoluzionari, ora fa parte del governo, i coniugi che gestiscono l'albergo sono uno spaccato dell'Europa in Africa. Questo è infatti uno dei due temi fondamentali che si fondono in questo romanzo definito da M. Wade "il Nostromo del romanzo africano e il Middlemarch personale di N. Gordimer"; l'altro è quello della lotta politica per l'indipendenza dal dominio coloniale: "Let my people go" già illustrato da P. Abrahams, sudafricano "coloured" ormai da molti anni in esilio, in "A Wreath for Udomo". "Il vecchio sta morendo e il nuovo non riesce a nascere: in questo interregno si manifesta una grande varietà di sintomi morbosi": attraverso il personaggio del colonnello Bray con le sue incertezze ("sono nel buio più completo" dirà a Mweta, il "leader" della rivoluzione e ora presidente) e attraverso la descrizione dell'impegno ideologico di Shinza l'oppositore, Gordimer assume questa idea gramsciana e la svolge (non con il tono di profezia apocalittica, come farà in "Luglio") fino alla morte inevitabile dell'eroe. Morte di cui Bray aveva sentito la presenza, conscio di quanto potessero essere pericolose le energie liberate dai cambiamenti sociali e dalle forze della storia. Morte ambigua ed emblematica i cui risvolti ironici sono raccontati dagli amici: "naturalmente diranno che è stato ucciso dalla gente che amava, cosa altro puoi aspettarti dai neri"; "Naturalmente stava con Shinza, povero diavolo, questi liberali bianchi cosi carini che si immischiano in cose che non capiscono" . La stessa connotazione ironica è nel titolo: l'ospite è Bray, ma al pranzo del Golden Plate sono gli africani l'"élite" governativa, sono loro ad essere accolti con onori e cortesie. Quasi una sorpresa quindi questo romanzo di accettazione e attesa, una fuga non dalla realtà ma nella realtà che, con una tecnica narrativa essenziale, postula un futuro per l'Africa e con impazienza allontana definitivamente l'accusa di intrattenimento per il "bianco mondo borghese".
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Nadine Gordimer, nata nel Transvaal nel 1923, con Doris Lessing è l'altra voce femminile di lingua inglese della letteratura sudafricana. Vivere in Sudafrica ha significato per lei vivere in una società divisa: l'unico contatto che i bianchi avevano con i neri era quello con il personale domestico e con i fattorini. I suoi genitori avevano un negozio in città e quindi preferivano tenersi lontani dalla politica e tenerne lontani i figli. Già da molto piccola, per incoraggiamento della madre, leggeva molto e questo, unito alla sua curiosità, l'ha spinta a riflettere su quanto la circondava. Così Gordimer capì che cosa volesse dire razzismo e ingiustizia: aveva accompagnato sua madre ad acquistare delle lenzuola in un negozio in città; il commesso mostrava ad entrambe differenti qualità di tessuti che loro esaminavano e toccavano più volte. C'era nel negozio un altro cliente, nero; costui doveva segnalare con un dito quello che gli interessava, ma non poteva toccare alcun tessuto. Naturalmente il suo denaro, quello sì, veniva accettato senza scrupoli. Gordimer cominciò a chiedersi chi fosse quella gente che le sembrava così straniera. Capì che in realtà la straniera era lei; essi erano africani, mentre lei rappresentava la prima generazione della sua famiglia nata lì. Cominciò a scrivere. Si recava in treno a Johannesburg, dove seguiva alcuni corsi all'Università. A un certo numero di studenti neri era permesso frequentare l'Università: velocemente si rese conto che aveva più punti in comune con quei giovani che con i bianchi della sua città natale. Aveva fame di idee, ma non aveva con chi scambiarle. Conobbe anche musicisti, giornalisti e aspiranti scrittori neri. Pochi anni dopo si trasferì a Johannesburg e tramite quei contatti cominciò ad impegnarsi nella politica, nell'African National Congress (ANC). Nella narrativa è stata un'autodidatta, si è formata su Cechov e Proust. È autrice di romanzi, racconti, saggi. I suoi primi romanzi: Un mondo di stranieri, 1958; il protagonista di questo romanzo, Toby Hood, è un giovane intellettuale inglese che vorrebbe confrontarsi con il mondo dei bianchi - gli stranieri - di Johannesburg, al di là delle costrizioni della razza e della politica. Seguono Qualcosa là fuori, e Occasione d'amore del 1963. Anche quest'ultimo è ambientato nell'esplosiva realtà del Sud Africa. Attorno a Tom e Jessie, tipici rappresentanti della borghesia anglosassone di Johannesburg, s'intrecciano vicende che non possono prescindere dalla realtà della segregazione razziale. La storia di Ann, contagiata dall'entusiasmo un po' missionario di Jessie e innamorata di un giovane artista di colore, si specchia in altre storie collaterali, in diverse "occasioni d'amore" che subiscono condizionamenti e frustrazioni: è in gioco "l'integrità dei rapporti personali contro le distorsioni delle leggi e della società". Altri romanzi: Il defunto mondo borghese (1966), Un ospite d'onore (1971), Una forza della natura, Il mondo tardoborghese, Storia di mio figlio, Il salto, Il conservatore (1974). La figlia di Burger del 1979, è ambientata nel clima di feroce lotta politica del Sud Africa degli anni settanta. La storia è ispirata alla vicenda di un famoso avvocato afrikaner costretto alla clandestinità per il suo impegno contro l'apartheid; segue la lenta maturazione politica ed esistenziale di sua figlia, Rosa Burger. La morte del padre Lionel - da sempre in lotta per la libertà dei neri - la trasforma definitivamente nella "figlia di Burger". Attraverso la presa di coscienza di questa nuova identità, Rosa sarà costretta non solo a fare i conti con la sua vita privata, ma anche a modificare il rapporto con il suo paese. Il libro, messo al bando poco dopo la pubblicazione, ottenne in seguito un prestigioso premio letterario sudafricano. E poi ancora: Luglio (1981), e Una forza della natura (1987) in cui la protagonista Hillela è una donna bianca tutta votata alla sua utopistica causa. Storia di mio figlio è del 1991, anno in cui le è stato assegnato il premio Nobel per la letteratura. Del 1993 è invece Nessuno al mio fianco, dedicato al tema del ritorno degli esuli nel Sudafrica del dopo apartheid. Fra le raccolte di novelle: A faccia a faccia del 1949, La voce soave del serpente del 1953, I compagni di Livingstone del 1972, e Qualcosa là fuori del 1985 (dieci racconti che si distaccano dal tema abituale dello scontro socio-politico per addentrarsi nel mondo privato dei sentimenti e del rapporto di coppia). Nei suoi romanzi e racconti, caratterizzati da una notevole analisi psicologica, ha espresso la rivolta contro la politica razzista sudafricana, descrivendo le devastazioni e i conflitti morali che essa ha suscitato nella popolazione bianca e nera del suo paese, senza cadere in un riduttivo manicheismo o in un facile patetismo. Ricordiamo anche le raccolte di saggi Vivere nell'interregno e Scrivere ed essere- Lezioni di poetica del 1995. Non è vero che c'è un tempo per vivere e un tempo per scrivere, dice Gordimer, ci sono nazioni, periodi storici, situazioni politiche in cui la letteratura ferisce chi la fa e chi la legge. Che ne è delle più raffinate teorie sulla letteratura quando queste sono messe in pratica in contesti sociali ad altissima temperatura conflittuale? Qui la rappresentazione letteraria serve a contestare la realtà e a dare voce all' utopia contro i crimini del potere. Gli episodi impressionanti, le riflessioni e le analisi critiche dedicate a Naghib Mahfuz, Chinua Achebe, Amos Oz e alla propria opera mostrano quanto può costare caro scrivere e vivere oggi in Egitto, Nigeria, Israele - e in Sudafrica prima dell'avvento della democrazia. Il volume raccoglie le Norton Lectures tenute da Gordimer nel 1994 ad Harvard, il prestigioso appuntamento annuale al quale sono stati invitati Italo Calvino, Umberto Eco e Luciano Berio; in appendice presenta il discorso pronunciato in occasione del conferimento del premio Nobel nel 1991 e un saggio su Joseph Roth. Nel 1999 è uscito in Italia, per la Feltrinelli, il suo ultimo romanzo Un'arma in casa (The House Gun). Come in tutti i suoi libri, la realtà del nuovo Sudafrica è filtrata attraverso una particolare lente d'ingrandimento, la psicologia di vite umane a confronto: una coppia di bianchi della medio-alta borghesia il cui figlio è arrestato per omicidio, un avvocato nero di nuova generazione, una comunità gay, una giovane donna autodistruttiva. L'idea che sta alla base di Un'arma in casa è quella della responsabilità implicita in un rapporto d'amore: fino a che punto ci si può spingere per aiutare l'altro? Se tuo figlio commette un omicidio a sangue freddo come puoi scusarlo? Come devi agire? A questo si aggiunge la considerazione che nulla di ciò che accade ad un essere umano accade nel vuoto; come in una legge del contrappasso nel libro il brillante avvocato nero Hamilton Motsamai esercita un'influenza decisiva sul destino di Duncan (l'omicida) e su quello dei suoi genitori. I bianchi hanno sempre avuto tutti i privilegi. Sono stati i padroni, quelli che decidevano, per tantissimo tempo. Mano a mano che la società si muove verso una maggiore giustizia sociale, dovranno perdere qualcosa. Dovranno arrivare a confrontarsi con una situazione in cui il dirigente di una fabbrica sia nero. Gordimer non avrebbe mai pensato che nella sua vita sarebbe riuscita a vedere la fine del tunnel. Nel 1994, con le prime elezioni libere, il Sudafrica è uscito dal regime segregazionista; ma il suo compito di scrittrice impegnata non è finito. L'apartheid ha lasciato una pesante eredità: violenza, distorsioni psicologiche. Il compito dello scrittore nella nuova realtà del Sudafrica è lo stesso di prima: raccontare la verità come la si percepisce. Nel far questo bisogna cercare di essere onesti con se stessi, di non essere prevenuti. La verità è qualche cosa di enorme; non riusciamo mai ad arrivare a tutta la verità, possiamo solo tentare di capirne dei tratti. Nel gennaio 2000 esce l'ultimo libro di Nadine Gordimer: Vivere nella speranza e nella storia, una raccolta di tredici saggi in cui l'autrice approfondisce i temi che più l'hanno appassionata, dal travagliato percorso sociale e politico compiuto dal Sudafrica negli ultimi quaranta anni, ai suoi scrittori, ai momenti che hanno scandito la storia tragica dell'ultimo secolo. I saggi ripercorrono anche i suoi incontri con alcuni autori contemporanei, da Joseph Roth a Nagib Mahfuz, da Günter Grass a Leopold Senghor, con un'attenzione particolare a Kenzaburo Oe, il Nobel giapponese con cui la Gordimer ha tenuto un fitto scambio epistolare. Scritte in tempi diversi, le sue pagine finiscono per comporre una sorta di testamento spirituale per i contemporanei. Uno dei compiti dello scrittore, dice Salman Rushdie citato nell'epigrafe, è dire l'indicibile, fare domande difficili.
Incontro con Nadine Gordimer: «La bellezza degli uomini neri è superiore» di Rory Carroll, tratto da “Il Corriere della Sera”, 25 maggio 2003 Johannesburg - E' un altro pomeriggio torrido a Johannesburg e il viale a tre corsie è immobile, silenzioso e vuoto. La casa senza campanello è di Nadine Gordimer, scrittrice, premio Nobel per la letteratura. Il suo cane percepisce una presenza al di là del muro e i latrati fanno comparire un giardiniere al cancello, che dopo qualche incertezza mi fa entrare. Nadine Gordimer molto tempo fa fu definita il simbolo della coscienza irrequieta dei bianchi in Sudafrica e oggi - l'apartheid ormai un ricordo e la scrittrice che si avvicina all'ottantesimo compleanno - è questo ciò che rimane: un simbolo. Della donna, però, si sa poco. La figura agile e snella, i lisci capelli argentati che incorniciano un viso senza trucco e inaspettatamente giovanile. La severità è attenuata dagli orecchini d'oro e da due anelli. Siede diritta sul divano, prendendo una breve pausa prima di rispondere a ogni domanda. C'è un libro nuovo da promuovere. I lavori più noti della Gordimer ( Un mondo di stranieri , Un ospite d’onore , Luglio , tra gli altri) furono scritti durante l'apartheid e analizzavano le sfumature dei rapporti razziali con prosa asciutta. Loot ("Bottino"), dieci racconti che saranno pubblicati il mese prossimo in Europa, è stato scritto in anni recenti e guarda altrove. Il racconto che dà il titolo alla raccolta descrive una comunità costiera che scende sul fondo dell'Oceano dopo che un terremoto ha fatto arretrare il mare, lasciando allo scoperto relitti di navi, candelieri, monete, una poltrona da dentista, televisori: il bottino. E ossa umane dei dissidenti politici uccisi e buttati in acqua dal regime innominato. Il mare torna ruggendo, travolge tutto, compresi i raccoglitori di bottino. "Viene da una cosa vera che ho visto. Mi trovavo in Cile, nella zona dove c'era stato questo terremoto. Mi raccontarono questa cosa straordinaria, che il mare si era ritirato e che lì c'erano tutte quelle cose affascinanti". Potrebbe anche essere una metafora per gli scrittori che hanno saccheggiato gli orrori e le ambiguità del Sudafrica, per restare poi arenati alla caduta del dominio della minoranza bianca? "Perché parlavamo dell'apartheid?", dice Nadine Gordimer. "Il bottino di uno scrittore, come di un pittore, di certo è composto dai temi che vengono dalla vita attorno a te". Dal 1994 è destino degli scrittori sudafricani sentirsi domandare cosa sia loro rimasto da dire. "E’ una questione che viene sempre posta: cosa scriverai adesso che la vita si è fermata perché è cessato l'apartheid. Ma non è così: i problemi sono tanti nel nuovo Sudafrica, quanto nel vecchio". La Gordimer, membro di vecchia data dell'African National Congress, oggi al governo, si considera un alleato critico. La corruzione, lo scandalo legato a un traffico d'armi e le controverse idee del presidente Thabo Mbeki sull’Aids non sono motivi per abbandonare il partito. "La vera lealtà al tuo Paese e al tuo partito deve essere critica. Essere una donna o un uomo che dice sempre di sì per compiacenza non fa alcun bene a nessuno. Porta alla dittatura. Sono molto critica rispetto alle posizioni del presidente sull'Aids. Sono molto delusa perché ne ho un grande rispetto". Ma pensare che le questioni dell'alloggio, dell'impiego e dell'educazione potessero essere risolte in meno d'un decennio non era realistico... "Io sto aspettando. Siamo ancora all'inizio". In ogni caso, la libertà ha portato i suoi problemi. "Che cosa vuoi farci? Hai paura di non riuscire a realizzare tutti quei sogni meravigliosi". Gordimer riconosce che chi è stato partecipe della lotta non ha previsto pienamente la criminalità e lo sconvolgimento sociale giunti con la liberazione delle persone che erano state intrappolate nelle cosiddette "homeland" (zone rurali isolate in cui furono segregati i neri negli anni dell’apartheid, ndt ). "Naturalmente, come i poveri di ogni parte del mondo, sono andati verso la torta per assaggiarne un po’. E noi non ci avevamo pensato". Se i bianchi accettano il governo della maggioranza nera hanno un futuro in Sudafrica ma, secondo Gordimer, lo sviluppo più incoraggiante è il rapporto interrazziale. "Per una come me è splendido vedere questo cambiamento, vedere una coppia di razza mista passeggiare nel parco e abbracciarsi e baciarsi all'improvviso". Una vista che lei ritiene più comune in Sudafrica che negli Stati Uniti. E aggiunge: "Trovo gli uomini neri tanto più belli degli uomini bianchi".
Traduzione di Laura Toschi |