Empietà
Pakistan. Una città congestionata, vicoli angusti e affollati, bambini che giocano a campana sguazzando dentro acquitrini pieni di zanzare, donne che siedono di fronte alla loro porta mondando lenticchie o sgusciando piselli. In una casa tra questi vicoli, Herr, adolescente di soave bellezza, riceve tramite la madre una proposta di matrimonio. Pir Sain, il Santo, uno dei capi religiosi più eminenti della comunità, un uomo di trent'anni più anziano di lei ma "ritto e alto come un albero, con in testa il turbante nero inamidato che si apre a ventaglio" l'ha chiesta in sposa. Herr deve dimenticare in fretta Ranjha, il ragazzo col pullover rosso, per il quale il suo cuore canta ancora "canzoni mai udite prima". Troppo grande è infatti, l'onore di quella proposta perché sua madre non si senta di colpo, e con immensa gioia, libera dallo sguardo sprezzante e indifferente dei parenti che "se la passano meglio". Herr deve sposarsi e recarsi con Pil Sain al Santuario, la dimora del Santo, il centro di controllo della vita religiosa e sociale della città... "Mi tenne in vita, a malapena, la pura volontà di esistere": così Herr commenterà, qualche anno dopo, il suo matrimonio con Pir Sain e il suo soggiorno al Santuario. Anzichè onore e liberazione, umiliazione e dolore. Anzichè la sorte benigna di giovane sposa dell'"uomo di Allah", del Santo che può salvare la comunità, l'orrore e la crudeltà dell'impostura. Pir Sain si svelerà, infatti, come un "demonio che si nutre dei deboli", un parassita che "si pasce del Libro Sacro", un "violentatore e assassino" di creature innocenti. Accolto al suo apparire come "un romanzo coraggioso che non è contro l'Islam, ma contro il suo uso blasfemo" (The India Club), "Empietà" è, innanzi tutto, la spietata denuncia, ispirata a una storia vera, di una casta religiosa che, in spregio al dettato vero dell'Islam, arroga a sè il diritto di vita e di morte su popolazioni inermi.
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