L' ultimo uomo nella torre
Inaugurata il 14 novembre 1959, nel settantesimo compleanno di Jawaharlal Nehru, la società edile cooperativa Vishram è la nonna di tutti i condomini pucca da allora sorti in un quartiere di Mumbai, Vakola, che decoroso non è affatto. I suoi abitanti, suddivisi in cattolici, indù e perfino qualche musulmano "del tipo migliore", come in una felice applicazione dei valori nehruviani di cooperazione e convivenza, difendono a oltranza quello status borghese, a dispetto degli inequivocabili segni di decadenza mostrati da uno stabile dove i muri fioriscono di umidità, il tetto rischia di cedere sotto la pressione dei monsoni e l'acqua scorre dai rubinetti per poche ore al giorno. Ma a Mumbai il nuovissimo scalza il nuovo alla velocità di un treno in corsa, il lusso scalza il decoro, e chi non salta in tempo può facilmente finire stritolato sotto le sue ruote. Nella folle corsa per accaparrarsi terra da edificare, il grande costruttore Dharmen Shah fa ai condomini un'offerta irrifiutabile: acquistare i vari appartamenti al doppio del loro valore di mercato per poter demolire l'edificio ed erigere al suo posto quel luccicante coacervo di stili che sarà lo Shanghai, il progetto di tutta la sua vita. Sono previsti un "regalino" extra per invogliare i dubbiosi, le minacce del truce "braccio sinistro" Shanmugham per ammorbidire i refrattari, e una condizione per tutti: che l'offerta sia firmata all'unanimità. In un attimo la cooperativa torna ad essere accozzaglia di individui non cooperanti...
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Da Bombay con furore di Wlodek Goldkorn, L'espresso, 30/03/2012 Scheda del libro: L'ultimo uomo nella torre, di Aravind Adiga I buoni romanzi si leggono per tre motivi: per il piacere della parola; perché creano un mondo facendoci sognare; perché narrano la realtà meglio di ogni trattato sociologico. "L'ultimo uomo nella torre" (Einaudi, traduzione di Norman Gobetti pp. 454, E 20) di Aravind Adiga corrisponde a tutti e tre questi criteri. Indiano di lingua inglese, vincitore del Booker con "La tigre bianca", questa volta Adiga ha scritto un capolavoro.
Il libro, ambientato a Bombay, benché corale, ha due veri protagonisti. Il primo, Dharmen Shah, è un impresario edile, un self made man: arrivato nella città scalzo e con poche rupie in tasca, ora è miliardario con case di lusso, servi fedeli e amanti che desiderano soldi e felicità. Shah vuole comprare un condominio malandato ma dignitoso, abitato da gente della classe media, che è poi un microcosmo del Paese: indù, cristiani e musulmani vi convivono in una specie di "armonia conflittuale". Shah pensa di demolirlo e costruirci un grattacielo di lusso e moderno ("Come si fa a Shanghai"). Per effettuare l'acquisto occorre però il consenso di tutti gli abitanti. Ed ecco che uno di questi Yogesh Murthy, un ex insegnante, si oppone. Perché? Non lo sa bene neanche lui, ma sente che occorre dire di no. E mentre tutti i condomini, corrotti dal costruttore e abbagliati dalla visione del denaro che avrebbe risolto i loro problemi, si danno da fare per convincerlo, lui rimane inflessibile.
C'è nostalgia dell'India di Nehru, nel libro. E tanti interrogativi, posti con sottilissimo humour, sull'avvenire di un Paese dove la modernità sta abolendo ogni senso del limite.
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