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22/11/2024 02:22:52

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Il paradiso ai piedi delle donne

Le donne e il futuro del mondo musulmano

Caferri Francesca


Editeur - Casa editrice

Mondadori

Medio Oriente
Africa del Nord
Oman


Città - Town - Ville

Milano

Anno - Date de Parution

2012

Pagine - Pages

164

Titolo originale

Il paradiso ai piedi delle donne. Le donne e il futuro del mondo musulmano

Lingua originale

Lingua - language - langue

italiano

Edizione - Collana

Strade blu. Non Fiction


Il paradiso ai piedi delle donne Il paradiso ai piedi delle donne  

Viaggio nel mondo musulmano visto attraverso gli occhi delle donne: dall'Arabia Saudita al Pakistan, passando per Egitto e Afghanistan, una serie di ritratti ci mostra come il ruolo delle donne in questa regione sia profondamente cambiato negli ultimi anni e perché non ci fosse nulla da stupirsi nel trovarle in piazza durante i moti della primavera araba. Le protagoniste dell'economia, della società, della cultura distruggono infatti gli stereotipi che l'Occidente ha su di loro e ci aprono la porta di realtà spesso sconosciute, come quella dello Yemen, in cui è nata Tawakol Karman, prima araba a vincere il Nobel per la pace.
Tawakol Karman è una delle donne che Francesca Caferri, da dieci anni inviata della "Repubblica" nel mondo musulmano, ha incontrato per questo libro in cui ci mostra come le imprenditrici dell'Arabia Saudita, le giornaliste marocchine, le attiviste pachistane stanno quotidianamente guadagnando spazio nell'economia, nella politica e nella società, ma in cui ci racconta anche la loro vita privata e le loro sfide quotidiane.
Il Paradiso, inteso come il futuro del mondo arabo, giace in buona parte sotto i loro piedi, come diceva Maometto. E la loro battaglia è fondamentale anche per noi. Perché se è vero che lo scontro sui diritti femminili è ancora aperto in molti Paesi, in nessun luogo esso è fondamentale come nel mondo musulmano: è dall'esito di questo braccio di ferro che si capirà chi vincerà la sfida fra conservatori e riformisti.
Recensione di Bernardo Valli Su Repubblica

Se gli occhi delle donne possono cambiare l'Islam



 


Recensione in altra lingua (English):

La manager si muove con decisione: firma documenti, controlla la mail sul BlackBerry, chiede aggiornamenti, convoca una riunione. Poi si accorge di essere in ritardo: dall'attaccapanni afferra un velo nero e chiama l'autista. Prima di partire si copre la testa con il velo e dal sedile posteriore dà indicazioni. Non può guidare l'auto che la porterà all'appuntamento: siamo in Arabia Saudita e nonostante diriga un gruppo dal fatturato milionario, Khlood al-Dukheil deve sottostare alle rigide regole del protocollo, che prevede che le donne si mostrino in pubblico solo velate e avvolte da una lunga tunica nera e non possano sedere al volante.
Quello con Khlood al-Dukheil è solo uno degli incontri di questo libro: dall'Arabia Saudita allo Yemen, attraversando Egitto, Pakistan, Afghanistan e Marocco, Francesca Caferri, giornalista da sempre attenta a questi temi, ci guida in un viaggio nel mondo musulmano visto attraverso gli occhi femminili. Pagina dopo pagina le protagoniste di questo libro distruggono stereotipi e ci spiegano perché, come disse Maometto, "il Paradiso è ai piedi delle madri". E delle donne. Seguire i loro passi è fondamentale anche per noi.
Perché se la sfida sui diritti femminili è ancora aperta in molti paesi, in nessun luogo è importante come nel mondo musulmano: è dall'esito di questo braccio di ferro che si capirà chi vincerà lo scontro fra conservatori e riformisti. E quali scenari futuri si apriranno per questa del mondo così densa di contraddizioni.
"dalla terza di copertina"



Recensione in lingua italiana

La forza è donna o la donna è forza?

«Eravamo cinque donne. Sedute intorno a un tavolo, in una sera di primavera, a mangiare all’aperto: abbiamo riso e scherzato su tutto. Le calorie e la golosità, le prossime vacanze, le richieste dei figli, la difficoltà di conciliare vita privata e lavoro, i vestiti e le scarpe. Poi siamo passate ai discorsi seri: un divorzio, un marito troppo geloso ma amatissimo, la politica. Non la finivamo più. A un certo punto il cameriere, divertito, ci ha portato una seconda porzione di dolci, omaggio della casa: sul vassoio non ne abbiamo lasciato uno. La serata si è conclusa con una foto ricordo che conservo ancora. Cinque volti sorridenti. Tre con i capelli appena coperti da un velo nero, gli altri due scoperti: sfacciatamente simili nell’allegria di quel momento.
Questo libro è nato lì, nel febbraio 2010, sulla terrazza del Ristorante O a Riyadh, capitale dell’Arabia Saudita. Dalla cena con le tre amiche saudite che ci avevano aperto i loro cuori e le loro vite, io e la collega americana che mi accompagnava tornammo incredule. Entrambe, senza incontrarci prima, avevamo percorso in lungo e in largo il Medio Oriente e i paesi dell’Islam, raccontando di guerre e violenze. Ma anche di studentesse testarde, decise contro tutto e contro tutti a studiare per costruirsi un futuro, di donne che andavano al lavoro ogni giorno anche se minacciate di morte per questo, di rivoluzionarie, di madri di famiglia indomite. Eppure mai come quella sera ci sembrava di avere scoperto un mondo. Come se l’ironia delle tre amiche e le loro battute sulle abaye, le lunghe tuniche nere che – come noi visitatrici – erano costrette a indossare ogni volta che mettevano il piede fuori di casa, avessero acceso un raggio di luce sulle decine di storie che ciascuna di noi aveva raccolto nei suoi viaggi.
Di viaggi in questi anni ne ho fatti parecchi. Sono una giornalista. Ho sempre voluto occuparmi di altri mondi, parlare di come si vive là fuori: circa dieci anni fa il mio sogno si è realizzato. Ho lasciato l’arido ma istruttivo mondo del giornalismo finanziario e sono approdata alla mia vera passione: gli esteri. Era il 2001, l’anno che ha cambiato tutto. Frotte di reporter si precipitarono a raccontare il mondo da cui il disastro dell’11 settembre aveva preso origine: l’Arabia Saudita dei severi wahabiti, l’Egitto degli ambigui Fratelli musulmani, il Pakistan culla dell’estremismo. E, su tutti, l’Afghanistan dei barbari talebani, un paese che dal 1996 viveva nella stessa disastrosa condizione economica e sociale, e che per anni la stampa aveva – con qualche lodevole eccezione – ignorato. Il risultato furono fiumi di inchiostro e ore di trasmissioni radio e tv: alcuni notevolissimi, altri francamente da dimenticare.
Da allora e per anni, ho avuto l’impressione che la maggior parte dei giornalisti raccontasse la stessa storia, come un disco rotto: l’estremismo fanatico, le scuole religiose che incitano all’odio, la sottomissione del sesso femminile, le poche eroine controcorrente. Così, un po’ per spirito di contraddizione, un po’ per rabbia sono arrivata a occuparmi di mondo musulmano e di donne.
Da tempo viaggiavo in Medio Oriente e in Asia per interesse personale: eppure, quando ne leggevo sui giornali, mi sembrava che di alcuni paesi non ci arrivasse che un ritratto parziale, che non coincideva, se non in parte, con la mia esperienza. Continuavo a chiedermi come mai non ci fosse qualcosa di più da dire, un passo avanti da fare: come poteva l’Islam che aveva nutrito il genio medico e filosofico di Averroè, creato quella meraviglia assoluta che è la moschea di Cordoba, dato vita ai tesori di conoscenza ancora oggi nascosti fra le sabbie di Timbuctu essere diventato solo terrore e minaccia? Come era possibile che le eredi di Khadja e Aisha, le amatissime moglie del Profeta, si fossero trasformate negli esseri miseri e passivi di cui leggevamo sui giornali? Davvero quello stesso Corano che lodava la saggezza di Bilqis, regina di Saba, al cospetto del re Salomone, imponeva la sottomissione delle donne? Interrogativi come questi negli anni hanno guidato i miei viaggi: alla ricerca delle risposte, ho conosciuto persone da cui ho appreso enormi lezioni di vita e di dignità.
Molte di loro sono donne. Giovani o anziane, che percorrono le strade del mondo a modo loro, non come vorremmo noi. Che spesso non rientrano nei nostri schemi e per questo non sempre ci piacciono: persone come Nadia Yassine, figlia dello sceicco Abdessalam Yassine, oggi alla testa di Giustizia e Carità, il più popolare movimento politico marocchino, messo al bando perché di stampo islamico e critico nei confronti della monarchia. Nadia – a cui è stato più volte negato il visto per l’Europa, a causa delle sue idee controverse – è la figura femminile più popolare del paese, molto più della principessa Lalla Salma, moglie del re Mohammed VI, idolatrata dai magazine. È a lei e, sul fronte opposto, alle giornaliste scomode di “Femmes du Maroc”, il settimanale che nel 2009 ha messo in copertina per la prima volta nel mondo arabo una donna nuda e incinta, che dobbiamo guardare per provare a capire dove va il Marocco.
Oppure ragazze come l’egiziana Asma Mahfouz, l’eroina – velata – del 25 gennaio 2011, un’impiegata ventiseienne che, con un video girato da sola e messo su YouTube, ha spinto in strada migliaia di compatrioti contro il regime del presidente Mubarak. E che in piazza si è ritrovata fianco a fianco con Nawal al-Sa’dawi, 80 anni, psichiatra, laica, femminista, per anni esiliata per aver affiancato nei suoi scritti parole come donna e sessualità. O, infine, donne come Tawakkol Karman, la giornalista yemenita che ha guidato in maniera pacifica la rivolta del 2011 in uno dei paesi con il maggior numero di armi pro capite al mondo: per il suo ruolo nella Primavera di Sana’a, Karman ha ottenuto il premio Nobel per la Pace, prima araba a ricevere questo riconoscimento.
È di loro che questo libro vuole parlare. Donne come Nadia, Asma e Tawakkol negli ultimi dieci anni le ho incontrate in Pakistan, in Yemen, sotto le abaye dell’Arabia Saudita e in tanti altri paesi. Sono l’avanguardia di un movimento che con molta fatica, ma con successo, sta cambiando la faccia del mondo musulmano e che ancora di più lo farà nel futuro. Lo sta facendo negli uffici e nelle università, nelle piazze dove manifesta e nei Parlamenti ai quali è riuscito a imporre leggi più favorevoli alle donne; non tutte vengono applicate, ma oggi sono scritte sulla carta. E rispetto al passato è già un passo avanti.
Questo movimento rivendica le sue origini, le sue tradizioni, la sua religione; e non si limita a scimmiottare il modello occidentale. Nella Sunna, la tradizione che raccoglie gli hadith, i detti di Maometto, ovvero gli episodi della sua vita e i pareri che diede a chi andava a parlare con lui, c’è la storia di un giovane che si recò dal Profeta per chiedergli consiglio prima di unirsi a una spedizione militare: “E la sua risposta fu: ‘Tua madre è viva?’. ‘Sì’ disse il giovane. ‘E allora resta con lei, perché il Paradiso è ai suoi piedi.’”. La visione dell’Islam a cui le protagoniste del mio libro si ispirano è questa».