Antica Nubia
Archivio > La Nuova Sardegna 8 maggio 2016 Medico e archeologa Medico e archeologa L’Indiana Jones sarda e gli antichi re del Sudan di LUCIANO PIRAS Mancavano appena tre giorni alla fine degli scavi. «La campagna era ormai conclusa». Aria secca, polvere e sole cocente. Piera Muretti, medico rianimatore all'ospedale San Francesco di Nuoro, volle sgranchirsi le gambe. Era in Sudan da qualche settimana, Africa sub-sahariana, davanti all'Arabia Saudita se non fosse per il Mar Rosso di mezzo. Lasciò l'équipe al lavoro nella sabbia e volle fare due passi. Lì nei paraggi, senza allontanarsi troppo da quella collinetta di Abu Erteila, a meno di cinque chilometri dalla sponda orientale del Nilo. Un piccolo villaggio abitato da alcune famiglie di pastori. «Ad un certo punto, mi sembrò di sentire un rumore di pietra» racconta la dottoressa. Aveva in mano un ramo e con quello grattava la nuda terra, ghiaia e sedimenti di arenaria giallastra. La sensazione diventò sempre più concreta, l'area di scavo sì era anche quella, Piera Muretti si fermò, si abbassò, e iniziò a pulire con un pennello. L'altra Storia dell'Africa nera era lì sotto e chiedeva di riemergere. «Eugenio, vieni qui, vieni a vedere» chiamò subito il medico gallurese di Trinità d'Agultu, da anni di casa a Nuoro. Eugenio. Professor Eugenio Fantusati, archeologo, docente alla Sapienza di Roma, uno dei massimi conoscitori della storia dell'Alta valle del Nilo, condirettore (insieme a Eleonora Kormysheva) della missione italo-russa che dal 2008 cerca di portare alla luce la civiltà nubiana. Una civiltà dimenticata, messa ai margini dal vicino Egitto dei faraoni. Eppure già nota dai tempi dei Romani, che si spinsero fin laggiù, lontanissimi dal Mediterraneo, in quel corridoio che apriva le porte su un altro mondo abitato. È con il team di Fantusati che Muretti è volata dalla Sardegna come volontaria in ben quattro campagne di scavi in Sudan. L'ultima, la più recente, è quella della grande scoperta: un antichissimo basamento di basalto costruito per una barca sacra con sopra un'iscrizione geroglifica. Un monumento databile tra il I secolo a.C. e il I secolo d.C. «Alto circa un metro e mezzo, presenta quattro facce sulle quali risultano incise altrettante figure di divinità femminili raffigurate nell'atto di sostenere un cielo stellato – spiega lo stesso Fantusati –. A fianco di ciascuna appaiono testi redatti in geroglifico egiziano e i cartigli dei sovrani che commissionarono la creazione di questo straordinario pezzo destinato a sostenere un piccolo modello di barca sacra oppure un naos». Una scoperta archeologica, «la più importante dell'ultimo decennio», così l'hanno definita le autorità sudanesi, che ha già fatto il giro del mondo accademico, in Austria come in Giappone, da un capo all'altro, da Mosca a Roma, dove è stato presentato di recente (anche se la scoperta è del 26 novembre scorso) il report di otto anni di lavori patrocinati dall'Istituto italiano per il Medio ed Estremo Oriente (Ismeo) e dall'Istituto di Studi Orientali dell'Accademia delle Scienze russa, con il sostegno del Ministero degli Esteri. «Riverso in terra nell'area più sacra del tempio – spiega ancora Fantusati –, il basamento verosimilmente fu abbattuto, ma non spezzato da chi distrusse intenzionalmente l'edificio in un'epoca ancora ignota». Qualcuno, è chiaro, voleva cancellare la storia dalla faccia dell'Africa nera. Proprio come è successo in Sardegna, in balia degli umori dei dominatori di turno. «Sebbene lo studio e la decifrazione dei testi apposti sulle quattro facce siano ancora in corso – precisa Fantusati –, una prima, sommaria, lettura sembra evidenziare la reiterazione di formule rituali in onore dei componenti della famiglia reale». «I cartigli che appaiono sul monumento sono quelli del re Natakamani e della regina, la candace, Amanitore – va avanti l'archeologo –. Si tratta di una coppia estremamente attiva in Nubia tra la fine del I secolo a.C. e gli inizi del I secolo d.C. Assieme ad essi figura iscritto anche il nome di Shorkaror, loro figlio minore. Contemporanei di Augusto, sotto il regno di Natakamani e Amanitore il paese attraversò un periodo di eccezionale benessere interno riuscendo a mantenere, a livello di relazioni diplomatiche, eccellenti rapporti persino con la Roma imperiale». Instancabile viaggiatore, sempre armato di reflex, il professor Fantusati conosce bene anche la Sardegna. La Sardegna granaio di Roma, terra di pastori, terra di nuraghi e di Giganti nascosti per secoli nel buio della sabbia. È in Sardegna che, con la moglie architetto Maria Rita Varriale (ad Abu Erteila è lei la specialista di rilievi e planimetrie), ha conosciuto la dottoressa di Rianimazione Piera Muretti. Sono diventati amici di famiglia, per questo si danno del tu, si chiamano per nome, si scambiano idee, letture, lei è diventata così "assistente di scavo". Volontaria pronta a rinunciare agli optional che l'Occidente offre ogni giorno, pur di vivere sulla propria pelle l'esperienza della campagna italo-russa a duecento chilometri da Khartum. «Bisogna sapersi adattare» sintetizza Muretti. Adattarsi all'ambiente, adattarsi alla cucina, povera, poverissima. E adattarsi al caldo torrido, agli alloggi di fortuna, ai fastidiosi insetti ronzanti che animano soprattutto la notte, alla lingua, anche se c'è sempre un interprete che riesce a mediare con l'uso dell'inglese. «Non è facile» ribadisce lei che fin dal primo viaggio ad Abu Erteila, dal 22 dicembre 2008 al 15 gennaio 2009, ha trovato due frammenti piccolissimi di ceramiche meroitiche. «Bellissimo il rapporto con la popolazione locale» taglia corto. Figurarsi l'entusiasmo. Chissà quanto alto è salito quando ha richiamato l'attenzione del professor Fantusati davanti a quella pietra nascosta che poi si sarebbe rivelata essere una stele. Un monumento che parla, ora custodito nel Museo nazionale di Khartum, capitale del Sudan, testimone dell'età dell'oro della civiltà di Meroe, quando al trono sedevano il re Natakamani e la regina Amanitore. «A questi due sovrani, costruttori instancabili di templi e palazzi – chiude il professor Eugenio Fantusati –, deve essere ricondotta tutta una serie di ritrovamenti archeologici e documentazioni epigrafiche fondamentali per le nostre conoscenze sulla Nubia meroitica. In seguito al ritrovamento di un altro basamento per barca sacra operato a Wad ben Naga nel 1844 sul quale i due sovrani apposero un'iscrizione bilingue recante i loro nomi redatti sia in geroglifico egiziano sia in geroglifico meroitico, sono iniziati infatti gli studi per la decifrazione della antica lingua indigena di Meroe». Ora c'è un tassello in più. E in quel tassello c'è anche l'impronta di un pezzo di Sardegna.
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