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Return to Tibet

Tibet After the Chinese Occupation

Harrer Heinrich


Editeur - Casa editrice

Penguin

  Asia
Tibet



Anno - Date de Parution

1984

Pagine - Pages

352

Titolo originale

Return to Tibet

Lingua originale

Lingua - language - langue

eng

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Return to Tibet

Return to Tibet  

A fusty, indignant report -dated 1983- from Tibet by Harrer (Seven Years in Tibet, not reviewed), the now-celebrated adventurer who briefly returned to his "second home'' 30 years after fleeing China's invasion.
In 1945 the Austrian author escaped from a British prisoner-of-war camp, hoofed it over the Trans-Himalayan range, and eventually arrived in Lhasa, capitol of Tibet. There he found what he took to be an idyll: a sublime mix of Tibetan Buddhism, ancient customs, and dust-free air that made landscape colors incandescent. He became an important figure in the country--chief engineer, tutor of the Dalai Lama--but left as the Chinese commenced their occupation.
In 1982 he was able to revisit Tibet during the "Chinese-staged thaw,'' and he was by turns heartbroken and inspired by what he observed: Valuable cultural treasures had been destroyed by the invaders, and stories of concentration camps, forced labor, and political murders sent him reeling.
Yet the country's religion was still strong, and there continued both armed resistance to the Chinese and an unquashable national will. His two sojourns in the country make for some intriguing before-and-after comparisons, and his comments on particulars of Tibetan Buddhism are revealing. But the tone of the book is dryly nostalgic, when not bitter, and Harrer's opinions sometimes seem jarringly contradictory.
He rails against what the Chinese have done to the countryrazing monasteries, imprisoning and killing nationalsand then inexplicably suggests that China and Tibet might be well served by a partnership, with Tibet happily becoming "part of that enormous yellow state.'' Moreover, every so often he lets the feudalist in him shine through unforgivably in making unfortunate remarks on his longing for a land "where superstition would be the poetry of life.'' The insights are worth the cover price anyhow, despite the authors occasional reactionary comments and his priggishness.

 

Consulta anche: Edizione italiana


Recensione in lingua italiana

Ho letto il volumetto nel 1986 volando da Chengdu a Lhasa. Ci avrebbe aiutato a capire quali erano i cambiamenti fra la Lhasa dei nostri sogni e la città reale. Harrer era tornato con un incarico da parte del Dalai Lama. Oggi anche la Lhasa vista da Harrer nel 1982 è scomparsa. Gli edifici cinesi sono stati abbattuti da nuovi palazzi ferro cemento cinese. Trudurlo e pubblicarlo dopo quasi vent'anni è stata una operazione commerciale. Nel 1982, trent'anni dopo la sua fuga dal Tibet invaso dai cinesi, Heinrich Harrer riesce finalmente a tornare in quella che sente ormai come la sua patria adottiva. Tutto sembra cambiato: i templi rasi al suolo, il panorama sfigurato, la città trasformata in un triste spettacolo costringono l'autore a continui paragoni con il felice passato del Tibet indipendente, che l'aveva visto protagonista delle avventure di "Sette anni in Tibet". Ma Harrer non tarda a capire che, nonostante i tanti anni di occupazione e repressione, il tentativo di "cinesizzare" il paese è fallito. Il saccheggio e la distruzione di tesori unici e di migliaia di antichi monasteri hanno in realtà rafforzato la coraggiosa resistenza di un popolo sempre più ancorato alla sua religione, poderoso vincolo di unione culturale e sociale. Harrer ci accompagna così in un itinerario intenso e commosso, in cui l'amore per il popolo tibetano si intreccia con la difesa della sua misteriosa e saggia civiltà.


Biografia

Harrer Heinrich

Tratto dal sito di Italia Tibet.
L’alpinista austriaco Heinrich Harrer, autore del famosissimo best seller “Sette anni in Tibet” dal quale è stato tratto l’omonimo film diretto da Jean-Jacques Annaud, è morto il 7 gennaio scorso all’età di 94 anni.
Arrivò fuggiasco dall’India e si trattenne a Lhasa per oltre cinque anni durante i quali fu anche “maestro di cultura occidentale” dell’attuale Dalai Lama con il quale instaurò un’intima e personale amicizia.
Harrer era nato il 6 luglio (stesso giorno del Dalai Lama) del 1912 a Knappenberg in Corinzia. Figlio di un postino, aveva studiato geografia all’Università di Graz.
Fu atleta olimpico ai giochi invernali del 1936 nella combinata alpina ma la sua impresa più importante, come alpinista, risale al 1938 e fu l’ascesa della terribile parete nord dell’Eiger (Alpi Svizzere) che gli valse l’incarico, da parte di Himmler e del governo nazista, di guidare la spedizione austro-tedesca alla conquista del Narga Parbat in Kashmir.
Siamo nel 1944 e in questo momento comincia la storia che ha reso Harrer famoso in tutto il mondo.
Si apre così una delle più affascinanti pagine di avventura del XX secolo.
L’arrivo della spedizione a Karachi coincide con la dichiarazione di guerra dei tedeschi all’Inghilterra e Harrer e gli altri sono arrestati dai britannici e incarcerati nel campo di prigionia di Dehra Dun (India del Nord).
Da qui, Harrer e il suo compagno Peter Aufschnaiter riescono a scappare, attraversano l’Himalaya percorrendo 2000 chilometri a piedi e arrivano a Lhasa eludendo pericoli, insidie e anche i divieti per i visitatori stranieri.
Harrer riesce a guadagnarsi la simpatia dei tibetani ed è accolto nell’alta società fino a diventare confidente e precettore dell’allora giovanissimo Dalai Lama al quale insegna la lingua inglese.
Vi rimane fino al 1950, anno in cui il Tibet è annesso alla Cina.
Una volta tornato in Europa scrive il libro che lo ha reso oltremodo celebre Jähre in Tibet (Sette anni in Tibet) che viene tradotto in oltre 50 lingue e pubblicato in tutto il mondo.
E’ questo tra i più grandi contributi di diffusione della cultura tibetana.
Harrer ha poi contribuito alla creazione del "Freunde des Heinrich-Harrer-Museums Hüttenberg" un museo che raccoglie grande parte degli oggetti provenienti dai suoi viaggi e in particolare dal Tibet, paese che nel suo cuore ha sempre avuto uno spazio particolare come testimonia una sua celebre dichiarazione in cui afferma che i suoi anni in Tibet sono stati “i sette anni più felici della mia vita”.
La notizia della morte di Heinrich Harrer è arrivata anche ad Amravati dove il Dalai Lama sta impartendo gli insegnamenti di Kalachakra.
Sua Santità si è detto profondamente dispiaciuto per la perdita del suo caro amico e maestro di inglese oltre che di cultura europea e ha, ancora una volta, ribadito la sua gratitudine anche per quanto Harrer ha fatto per la causa del Tibet e per la cultura tibetana.
Heinrich Harrer, al quale è stata conferita la medaglia della «Luce della Verità» dal governo tibetano in esilio, avrebbe dovuto porre, nel prossimo mese di maggio, la prima pietra del Centro europeo del Tibet nel suo paese natale (Knappenberg).
A margine una spiacevole considerazione.
I principali giornali di tutto il mondo hanno dato risalto, anche con titoli evidenti, alla scomparsa di Harrer, non li citiamo solo per il fatto che sono davvero tanti. Per contro, da una ricerca di rassegna stampa effettuata, in lingua italiana risultano solo tre (!) articoli: una nota dell’agenzia di stampa Reuters, e altri dei portali internet Caltanet e Swissinfo.
Crediamo che dilungarci in un commento al riguardo sia inutile ma non abbiamo potuto fare a meno di notare quanto la stampa italiana sappia essere assente.



Heinrich Harrer, noted Austrian explorer and mountaineer, escaped over the Himalaya from a prisoner-of-war camp in British India with Peter Aufschnaiter and then lived and worked as a fifth-ranked nobleman in the forbidden city of Lhasa. As confident and informal tutor to the young Tibetan leader, the Dalai Lama, Harrer was afforded access to ceremonies and customs that had been rarely witnessed by Westerners.

In the company of the Tibetan nobility, Harrer photographed a virtual family album of their lives, and, in so doing, captured the richness and heart to a people: the moments with friends and family who had long accepted the photographer's eye. The Tibetan's joy at play, the leisure of the nobility, the splendor of the Buddhist rituals, the windswept plains of the high plateau -- Harrer's photographs document with a mountaineer's sense of scale and an explorer's sensitivity to culture.

Heinrich Harrer left Lhasa in advance of the Chinese army in December of 1950. Harrer's memoir, Seven Years in Tibet,has been translated into 53 languages and has sold more than four million copies. In October 1997, a motion picture based on his book, starring Brad Pitt as young Heinrich Harrer, was released to major box-office success and Seven Years in Tibet again soared on best-seller lists around the world.

Harrer has received numerous honors, including the Gold Humboldt Medal and the Explorers Club Medal for his many expeditions and explorations. He has written over 20 books and received credit on over 40 film productions. His body of work spans five decades of exploration over six continents. In addition, Heinrich Harrer has become widely known as an outspoken advocate of human rights.
Heinrich Harrer and the exiled Dalai Lama remain steadfast friends.
Harrer died on 7th January 2006.

Consulta anche: Edizione italiana
Consulta anche: Harrer - Portolio
Consulta anche: Wikipedia: Harrer