Giappone. The passenger Per esploratori del mondo
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Editeur - Casa editrice |
Iperborea |
Asia
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Città - Town - Ville |
Milano | ||||||||
Anno - Date de Parution |
2018 | ||||||||
Pagine - Pages | 192 | ||||||||
Lingua - language - langue | Italiano | ||||||||
Edizione - Collana |
Iperborea | ||||||||
Contributo di |
Illustratore: E. Massa, L. Liverani | ||||||||
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Giappone. The passenger Più di altri paesi altrettanto ricchi e complessi, il Giappone ha la capacità di suscitare sorpresa. L’esasperazione delle vite dei moltissimi abitanti di un arcipelago così piccolo, il monolitismo delle strutture sociali, l’originalità dell’industria culturale, il gigantismo delle multinazionali tecnologiche, la resilienza delle sue tradizioni e la varietà delle sottoculture delle megalopoli post umane ci lasciano meravigliati o perturbati, e ci trasformano in piccoli etnologi che si grattano la testa perplessi. Perché sorprendersi allora se dalla notte dei tempi un’infinità di viaggiatori, entusiasti, reporter e scrittori ha versato fiumi di inchiostro su questo stesso incanto? Lo stupore non è forse uno dei combustibili della miglior letteratura? Le parole più o meno intraducibili un tempo snocciolate dal nerd di turno impallinato di Sol levante fanno oggi parte del nostro bagaglio culturale comune: otaku, karōshi, sararīman, shokunin, gōkon. Ciò nonostante, il Giappone è sempre un puzzle di cui riusciamo ad assemblare alcune tessere, ma il cui disegno complessivo rimane impenetrabile. Questo enigma lo ha reso un generatore senza fine di storie, racconti, riflessioni di cui nelle pagine che seguono si può leggere una raccolta necessariamente soggettiva, ma trasversale: dal culto degli antenati alla scena musicale di Tokyo, dall’alienazione urbana al cinema, dal sumo al maschilismo, per citarne alcuni. Il Giappone, come sospeso tra invecchiamento della popolazione e post modernità estrema, tra immobilismo e sperimentazione del futuro, è un osservatorio privilegiato per capire il mondo che è stato e quello che sarà. A patto che partiamo per questo viaggio senza la pretesa di risolvere il mistero, perché come ricorda Brian Phillips in «Vivere da giapponesi» (pagina 108): «Alcune storie giapponesi finiscono bruscamente. Altre non finiscono proprio, ma nel momento cruciale staccano sull’immagine di una farfalla, del vento o della luna.»
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Recensione in lingua italiana | |||||||||
Gae Saccoccio recensione su L'Ottavo: La casa editrice The Passenger Giappone non poteva che suscitare la nostra più curiosa attrattiva su un paese ricco come pochi di contraddizioni culturali, enigmi psicologi, complessità d’ordine economico, sociale, urbanistico, gastronomico e così via. Si comincia dai numeri. La superficie dell’arcipelago giapponese è di 377.972 km² di poco più grande dell’Italia che invece equivale a 301.338 km². La popolazione attuale è di 26.451,398 abitanti di cui 37,5 milioni vivono a Tokyo che oltre a detenere il primato di città più affollata del pianeta è anche il luogo con la più elevata densità di ristoranti al mondo. Non è mai impresa facile rendere conto della complessità del reale. Il rischio maggiore che si corre è quasi sempre quello di semplificare le infinite trame della vita, le inesauribili storie del mondo banalizzandole in tanti luoghi comuni col fastidioso vezzo di ridurre tutto a macchietta di costume, a rigidi episodi di circostanza. Vedi i falsi miti e i mille clichés da sfatare: la risaputa freddezza dei giapponesi, il maniacale senso dell’ordine, gli eccessi o addirittura gli abusi di cortesia, l’ospitalità esasperata come stile di vita (l’omotenashi è la ricerca dell’armonia, pretendendo di intuire le esigenze dell’ospite). D’altra parte però, come si può, in poche pagine, dar conto della caleidoscopica complessità o civiltà di un intero popolo il cui immaginario collettivo, la cui storia delle idee è stratificata a sua volta in un universo composto da multiformi galassie d’idee ognuna delle quali meriterebbe approfondimenti senza fine: i Samurai, lo Zen, l’ikebana, il kintsugi, l’ukiyo-e, il Teatro Nō, lo shintoismo, il buddhismo, la tecnologia/industrializzazione esasperata, i manga, l’arte dei kimono, gli haiku, le geishe, i kamikaze, l’harakiri, il sake o nihonshu etc.? Questo numero monografico di The Passenger consacrato al Giappone tenta tuttavia un approccio non banalizzante e niente affatto semplicistico alla complessità, proponendo varie angolazioni di lettura, offrendo interpretazioni originali dalla prospettiva di vari autori/autrici, in merito a molte delle questioni più sostanziali circa la realtà – o il sogno? – del Giappone contemporaneo. Ecco i titoli e le tematiche degli articoli raccolti in questo coinvolgente libro-inchiesta sul Giappone: Fantasmi dello tsunami è un reportage dello scrittore e corrispondente inglese del Times a Tokyo Richard Lloyd Parry, focalizzato sul culto degli antenati che è la vera e propria religione interiore di stato per ogni giapponese che si rispetti. Perché il Giappone è immune al populismo del saggista olandese Ian Buruma, grande esperto del Sol Levante, propone una disanima in chiave ottimistica sul nazionalismo di Abe che alla fin fine è sorretto dalla classe media la quale riesce ad assicurare un certo equilibrio sociale. A questa lettura è strettamente connesso l’altro pezzo del giornalista investigativo Jake Adelstein (bisogna leggere Tokyo vice dove racconta in prima persona la sua vita di reporter minacciato dalla Yakuza) sulla setta segreta Nippon kaigi devota a un culto shintoista iperconservatore fondato negli anni settanta del secolo scorso. Ti dico solo grazie della celebre scrittrice Banana Yoshimoto è una malinconica riflessione che poi è soprattutto una dichiarazione d’amore al quartiere di Tokyo Shimokitazawa dove l’autrice ha vissuto per alcuni anni. Il prosciugamento dei desideri dello scrittore e sceneggiatore giapponese Murakami Ryū, famoso in tutto il mondo per aver scritto Tokyo decadence (2004), invece è una meditazione accorata sui temi del calo del desiderio e sull’espandersi della depressione causati a quanto sembra dall’instabilità socioeconomica. Uomini e orsi di Cesare Alemanni scrittore e giornalista che dal 2013 al 2016 ha fondato e diretto la rivista internazionale in lingua inglese The Berlin Quarterly. Qui Alemanni fa luce sugli ainu un popolo preistorico dell’Hokkaidō, l’isola più settentrionale del Giappone. L’etnia ainu è considerata una sorta di aberrazione preistorica che ha subito varie forme di repressione la quale tuttavia è riuscita a resistere ad ogni forma di assimilazione proprio grazie all’ostinazione con cui ha tenuto in vita le proprie tradizioni, abitudini e costumi. Vivere da Giapponesi è un reportage di gonzo-journalism dello scrittore Brian Phillips, un’inchiesta itinerante alla ricerca del senso di una disciplina antichissima intrisa di gerarchie, significati simbolici e rituali pseudo-religiosi come il Sumo. Gli evaporati del Giappone, di Léna Mauger affronta gli “evaporati” un fenomeno inquietante la cui tradizione risale al Giappone feudale per cui uomini e donne decidono di far perdere le proprie tracce e scomparire aiutati da organizzazioni inquadrate per mestiere a far evaporare il passato dalla biografia della gente. Affari di famiglia è una lettura della società giapponese attraverso le rappresentazioni della famiglia nel cinema classico e in quello attuale. Giorgio Amitrano, l’autore dell’approfondimento, è professore all’Orientale di Napoli, traduttore in italiano di alcuni degli scrittori giapponesi più importanti: Murakami, Kawabata, Yoshimoto, Miyazawa. Sweet Bitter Blues, dove Amanda Petrusich critica musicale del New Yorker ed esperta di sottoculture, s’interroga sul significato recondito della passione nipponica per il blues afroamericano. | |||||||||
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