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La via dei re

Una illusoria sfida alla morte per dare un senso alla disperazione umana

Malraux André


Editeur - Casa editrice

Distribooks Inc

Asia
Sud Est Asiatico
Cambogia


Pagine - Pages

222

Titolo originale

La Voie Royale

Lingua originale

Francese

Lingua - language - langue

Italiano

Edizione - Collana

Livre de poche

Ristampa - Réédition - Reprint

Adelphi 1882 ed. italiana

Prefazione

Rpberto Cantini


La via dei re La via dei re  

Malraux contro la morte. Rileggere oggi la Voie royale
Tratto ds "Lw città del silenzio"Recensendo nel 1931, sulla rivista «Solaria», La Voie royale, il libro che André Malraux aveva da poco pubblicato per Grasset e che sarebbe stato accolto in Italia, non tra i capolavori, solo nel 1952, per Mondadori, Leo Ferrero isola un elemento che ritiene peculiare del testo: il porsi di fronte alla vita nel segno del disprezzo (o forse, meglio, differenza),di quella peculiare “tensione” nichilista avvertita da uomini per i quali agire è prova della loro esistenza. Uomini che rischiano per sentirsi vivere. La morale aristocratica permea il tessuto narrativo e trascina nel cuore della cultura francese tra le due guerre la concezione greca di una morte “bella”, eroica, non ordinaria. Come dovrebbe esserlo la vita, d’altronde.
La morte è pertanto il tema-chiave dell’opera e proprio la riflessione sul senso della morte, più che su quello della vita, consente di apprezzare un’esotica storia d’avventura senza troppe velleità, nella quale Malraux fa confluire, per poi manipolarle, fonti di varia provenienza e natura, innestate su una trama dall’inequivocabile matrice autobiografica. Come è noto, La Voie royale scaturisce dal controverso caso giudiziario in cui fu implicato lo scrittore all’inizio degli anni Venti e che gettò su di lui un’ombra greve, mai del tutto dissipata.

Il “caso” Malraux -Nel 1923, Malraux organizzò una spedizione nella foresta cambogiana, per portare alla luce antichi reperti, da immettere nel mercato dell’arte americano. Vi presero parte Clara Goldschmidt, moglie dello scrittore dal 1921 al 1947, e Louis Chevasson, vecchio amico e compagno di scuola. Come il “sacro cammino” medievale, che univa le Fiandre a Compostela, era punteggiato da cattedrali giunte fino a noi quasi del tutto intatte, accanto a piccole cappelle in gran parte scomparse, così la Via dei Re – dal Siam alla Cambogia, dai monti Dângrêk fino ad Angkor – era un percorso fitto di grandi templi sopravvissuti, già descritti e inventariati, ai quali se ne affiancavano altri, minori, ancora sconosciuti.
Ininfluenti sulla determinazione di Malraux gli enormi rischi correlati all’impresa, che tuttavia non potevano sfuggirgli. In attesa della stagione secca, dopo quella delle piogge, lo scrittore trascorreva il tempo studiando, in biblioteca o nelle sale del museo Guimet. Riuscì perfino a ottenere alcune lettere di raccomandazione, oltre a una sorta di “mandato” ufficiale (una dichiarazione che lo riconosceva esperto di arti orientali), con l’intesa che eventuali scoperte sarebbero state comunicate alle autorità francesi. Per collocare più facilmente ciò che pensava di recuperare durante la spedizione, contattò un mercante di quadri, anticipandogli la disponibilità di statue khmer originali.
Venerdì 13 ottobre 1923, la nave Angkor salpò da La Joliett per l’Indocina. A quell’epoca, Saigon distava circa quattro settimane di navigazione dalla Francia e vi si giungeva passando per la Sicilia, Port Said, il canale di Suez, il Sinai, Gibuti, Singapore. Obiettivo di Malraux era, principalmente, Banteay Srei, sito di straordinaria importanza, scientificamente consacrato dagli studi di Henri Parmentier, pubblicati sul prestigioso «Bulletin» dell’École Française d’Extrême-Orient, che ebbe sede dapprima a Saigon, poi ad Hanoï, infine a Parigi. Non va peraltro dimenticato che, grazie alla sua spedizione (e all’eco che ne derivò), Malraux agevolò il pieno recupero dell’area di Banteay Srei, che i francesi conoscevano dal 1914, e del tempio voluto dai brahmani, terminato nel 967 grazie al fattivo intervento di Yajnavaraha e Vishnukumara.
Nella notte tra il 23 e il 24 dicembre, a Phnom Pehn, al rientro dalla spedizione, funzionari doganali trovarono, nella stiva del battello utilizzato dai viaggiatori francesi, casse contenenti frammenti di edificio, nello specifico bassorilievi asportati.
L’arresto e il processo conseguenti sono fatti conosciuti, così come l’eroica abnegazione con la quale Clara, dopo aver simulato un tentativo di suicidio con il gardenale, aver trascorso settimane in ospedale e, infine, essere fortunosamente rientrata in Francia, riuscì a sensibilizzare gli influenti ambienti culturali parigini in favore del compagno (Breton fu tra i primi intellettuali a interessarsi al “caso Malraux”. Sostenne la causa del giovane scrittore anche attraverso la petizione apparsa sulla stampa parigina e firmata da molti intellettuali, tra i quali Gide, Mauriac, Mac Orlan, Paulhan, Jacob, Gallimard, Soupault, Aragon, ai quali si aggiunsero in seguito altre adesioni, come quella di Jean Painlevé, figlio di Paul, allora Presidente del Consiglio). Clara, supportata dall’editore René-Louis Doyon e da Marcel Arland, dovette anche vendere quanto era possibile – libri, gioielli, quadri – per raccogliere le somme necessarie a sostenere tutte le spese di questa onerosa impresa, ma alla fine ottenne per Malraux il rilascio e il rimpatrio, anche se non l’assoluzione.

 



Biografia

(Parigi 1901 - Créteil, Parigi, 1976) scrittore francese. Appassionato di archeologia, studente alla Scuola di lingue orientali, pubblicò il suo primo libro nel 1921: Lune di carta (Lunes en papier, nt), viaggio fantastico tra misteriosi oggetti quotidiani, ispirato alla poetica del cubismo. Dopo una missione archeologica in Estremo Oriente, si recò in Indocina e poi, nel 1925, in Cina, dove partecipò agli avvenimenti che sfociarono nella guerra civile del 1927-28. Dalle esperienze di quegli anni nacquero tre delle sue opere principali: il saggio La tentazione dell’Occidente (La tentation de l’Occident, 1926) e due romanzi che lo resero famoso: I conquistatori (Les conquérants, 1928), sullo sfondo della lotta antibritannica a Hong Kong, e La condizione umana (La condition humaine, 1933), ambientato nella Shanghai del 1928, durante la lotta tra i comunisti cinesi e i seguaci di Chiang Kai-shek. Motivo comune ai due romanzi è l’affermazione che la libertà umana può esprimersi unicamente nell’azione individuale: ne deriva un’estetica del mistero e dell’eterno, che privilegia la sensibilità artistica sulle diverse forme della sopravvivenza degli uomini. A questo clima intellettuale è riconducibile anche il romanzo La via dei re (La voie royale, 1930), ambientato in Indocina.
Nel 1935 M. si recò in Germania assieme ad A. Gide, schierandosi a favore del dirigente comunista G. Dimitrov imputato dell’incendio del Reichstag. Da lì ricavò il racconto Il tempo del disprezzo (Le temps du mépris, 1935), ambientato nella Germania nazista. Nel 1936 si arruolò nelle brigate internazionali a fianco dei repubblicani spagnoli e rimase ferito nel 1937, anno in cui vide la luce il romanzo La speranza (L’espoir), dedicato agli avvenimenti spagnoli. Chiamato alle armi nel 1940, cadde prigioniero dei tedeschi, ma fu liberato poco dopo da un commando partigiano. Successivamente fu a capo della brigata Alsazia-Lorena; era conosciuto nella resistenza come il «colonnello Berger». Le vicende della guerra e della resistenza gli ispirarono il romanzo I noci dell’Altenburg (Les noyers de l’Altenburg, 1943), primo di un ciclo rimasto incompiuto.
Aderì poi al gollismo e fu ministro dell’informazione nel governo provvisorio del 1945-46.Nel dopoguerra si dedicò alla politica e a studi di estetica e filosofia dell’arte: Le voci del silenzio (Les voix du silence, 1951), Il museo immaginario della scultura mondiale (Le musée imaginaire de la sculpture mondiale, 1952-54), La metamorfosi degli dei (La métamorphose des dieux, 1957). Col ritorno di De Gaulle al potere, fu nominato ministro della cultura. Pubblicò nel 1967 un’opera autobiografica, Antimémorie (Antimémoires) in cui si esprime compiutamente la sua concezione del mondo, basata su una ricerca dell’assoluto che si accompagna all’ossessione della morte.