Antiche saghe islandesi
Prefazione / Introduzione
Le saghe islandesi non possono essere valutate esclusivamente quali fenomeni letterati; costituiscono anche una testimonianza cospicua della fase storica, che contraddistinse la società nordica medievale. Nate come riflesso immediato di un rivolgimento politico e sociale, che aveva scosso violentemente l'ordinamento tradizionale, in vigore da secoli nella penisola scandinava, le saghe islandesi ci tramandano il ricordo della reazione decisa che gli spiriti più illuminati opposero al tentativo di sovvertire e soffocare alcuni valori fondamentali, in cui si esprimeva apertamente l'ansia di libertà, di eguaglianza e democrazia delle genti nordiche. Nella Scandinavia molte delle consuetudini, religiose giuridiche sociali, che avevano caratterizzato la comunità germanica primitiva, si erano conservate, con fedeltà tenace, favorite da un singolare isolamento storico e geografico. Non che questa società nordica fosse rimasta estranea a qualsiasi moto evolutivo: ma la sua evoluzione si era compiuta - per quel che sappiamo - nell'ambito di alcune concezioni fondamentali, rimaste pressoché immutate. A partire dal secolo IX - per effetto evidente del movimento vichingo e della nuova situazione politica instauratasi in Europa con l'affermarsi degli stati feudali - la penisola scandinava, e particolarmente la Norvegia, fu scossa da un rivolgimento improvviso, che mirava a sovvertire profondamente le consuetudini vigenti. Il re Harald portò a felice compimento, nel giro di pochi anni - fra l'870 e 1'875 - una vigorosa azione militare, che aveva per fine l'unificazione politica della Norvegia sotto il suo scettro. Forti furono le resistenze opposte dagli avversari - i vari reguli locali - e accanita fu anche l'opposizione che i singoli agricoltori norvegesi manifestarono sul piano giuridico, sociale e religioso. L'affermazione di un sovrano unico in Norvegia significò anche l'accentramento nelle sue mani di tutta la proprietà terriera, confiscata violentemente agli avversari politici soccombenti. Il re Harald aveva, poi, ridistribuito questa terra, ma a titolo di feudo, ai guerrieri che avevano combattuto per lui. Il re Harald decise anche di riorganizzare la società norvegese secondo un criterio rigidamente gerarchico, trasformando gli antichi jarlar e hersar (un tempo dei semplici "primi inter pares" nei confronti dei liberi agricoltori) in funzionari statali, con precise attribuzioni politiche, e dipendenti direttamente dall'autorità sovrana. I culti per le singole divinità, che costituivano il tratto più singolare del tardo paganesimo nordico (catenoteismo), erano pure minacciati dall'opera sovvertitrice di Harald: questi, eliminando i vari centri dell'indipendenza politica, aveva necessariamente soppresso l'autonomia religiosa, che si esplicava in una miriade di piccoli centri cultuali. Hladir (nella zona di Trondheim) diverrà così il cuore della religione nazionale, prescelto dal sovrano, e sarà più tardi, sotto il regno di Olaf, figlio di Tryggvi - e unitamente a Nidaros - uno dei centri più attivi per la diffusione del cristianesimo in Norvegia. L'opposizione, manifestatasi nei confronti del re Harald, fu spezzata definitivamente con la battaglia di Hafrsfjörd, di cui una delle saghe tradotte nel presente volume (Saga di Vatnsdal [Vatnsdoela saga]) ci offre una descrizione esauriente. Molti spiriti liberi e intrepidi preferirono scegliere la via dell'esilio e, quasi guidati da un sentimento comune, volsero le prue delle loro navi verso l'Islanda, l'isola disabitata, che era stata scoperta solo da pochi anni. Essi intesero salvare, così, quel patrimonio ideale arcaico, che manteneva ancora, pressoché inalterati, i valori più schietti, di cui si era alimentata la società nordica e germanica, trasferendolo - per quanto possibile - in una sede nuova e destinandolo a una nuova vita. Le saghe islandesi non sono che la testimonianza e il ricordo, fedeli e appassionati, di questa trasmigrazione, materiale e spirituale, dalla Norvegia all'Islanda, e del rinascere, dopo l'avventuroso trapianto, di un mondo arcaico, che non voleva perire. E quando, per motivi religiosi e politici (l'affermarsi del cristianesimo e l'egemonia dei sovrani norvegesi), il mondo primitivo, ricreato in Islanda, tramonta definitivamente, la saga non ha più nulla da dirci e si esaurisce. Gli eventi narrati dalle saghe hanno dei termini cronologici precisi: iniziano - direttamente o indirettamente - con la forzata migrazione dalla Norvegia e terminano con l'affermazione della religione cristiana in Islanda. Se vogliamo essere ancor più esatti, possiamo dire che l'arco descritto nel tempo dalle saghe si estende dal'870 al 1030 circa: cinque generazioni, che hanno vissuto una vicenda incomparabile e, per molti aspetti, unica. Già negli anni in cui si andarono compiendo gli eventi testé ricordati, sorse spontanea l'esigenza di non lasciarne svanire nel nulla il ricordo. Accanto a notazioni puramente cronachistiche, confluite più tardi nella cosiddetta Landnàmabók (la narrazione minuta degli insediamenti umani in Islanda), si vennero costituendo dei nuclei isolati, riguardanti un episodio, o riferentisi all'esaltazione di qualche fatto che aveva colpito particolarmente il cuore e i sentimenti dei coloni. Forse il fatto di cronaca clamoroso - il duello fra rivali accaniti, la discussione violenta di qualche causa dinnanzi all'assemblea, l'omicidio o il ferimento di un avversario, un matrimonio celebrato con particolare solennità - era stato fissato brevemente nel giro di una strofa, improvvisata da uno dei molti poeti estrosi, di cui era ricca l'Islanda. Attorno ai nuclei narrativi e alle strofe improvvisate si vennero costituendo, per via di intrecci, ampliamenti e giustapposizioni varie, le singole saghe. Può essere che gli stessi episodi siano stati descritti e interpretati in maniera diversa, a seconda delle particolari inclinazioni dell'individuo che prendeva a narrarle; ma è indiscusso che le saghe nascono per un'esigenza storica immediata, mai offuscata dagli interessi e valori artistici innegabili, di cui esse si adornano. Giungiamo cosi al problema più delicato, fra i molti che si riferiscono all'essenza, storica e artistica, delle nostre narrazioni. Le saghe nacquero in un'epoca, in cui la scrittura era sconosciuta del tutto agli Islandesi. I segni dell'alfabeto nordico - le cosiddette rune - valevano al più per fissare alcune brevi iscrizioni. Un vero e proprio alfabeto fu introdotto in Islanda - a quanto pare - nel secolo XII soltanto, quando ormai gli eventi relativi alle saghe si erano compiuti da almeno due secoli. Se le saghe, nei loro nuclei fondamentali, sono pressoché coeve agli eventi che narrano, come spiegare la loro conservazione e la loro trasmissione a un'epoca, in cui la scrittura si era già diffusa? Fra gli eventi descritti dalle saghe, il cui terminus ad quem può collocarsi con tutta sicurezza verso l'anno 1030, e il secolo XII, epoca in cui ignoti scribi provvidero a una redazione scritta su pergamena, si apre uno iato di proporzioni assai vaste, che i filologi sono chiamati a giustificare. L'unica risposta plausibile è quella che riconosce a un complesso procedimento di tradizione orale e mnemonica il merito di aver conservato, fino al momento della redazione scritta, il patrimonio, storico e letterario, che le saghe posseggono in sé.
|