Oriente Express
Fuga in Oriente lontano dall’esotismo
«Qui racconto di fatti, di luoghi, di persone» scrive Renata Pisu in apertura di Oriente Express , raccolta di «storie dall'Asia» che non vogliono comporre «una storia» né esporre una tesi e tantomeno dipingere quell'Oriente misterioso esistito soltanto nell'immaginazione di occidentali che ignoravano la realtà o sulle pagine di astuti mistificatori. «Mi sforzo di non trovare mai nulla esotico» sottolinea l'inviata speciale di Repubblica nel comporre questo mosaico di reportage che spaziano dal Kuwait a Taiwan, dalle foreste dell'Indocina alle steppe della Mongolia. Il filo conduttore non è qualche carattere «tipicamente Orientale», perché ci sono cose solo tipicamente indiane o tipicamente mongole o tibetane, ma l'incontro delle diverse tradizioni con l'Occidente e la modernità. In quale misura la modernizzazione implica occidentalizzazione? Come integrare il passato nel caos del presente? Sono le domande che il lettore si pone e alle quali gli asiatici non si curano di dare risposta. A un vietnamita la giornalista chiede se la colpa della miseria d'oggi sia stata la lunga guerra oppure il comunismo con il suo stupido governo dell'economia: «Non ha importanza - è la replica -. Non serve andare a rinvangare». Le distinzioni sono pratiche in Asia, fra ciò che serve e ciò che non serve. Può servire il ritorno alla fede buddista, dopo la ferita del marxismo «Occidentale», e possono servire, intorno ai templi riaperti, i mercatini, i karaoke, gli Internet caffè, i bordelli. Non c'è contraddizione. Da trent'anni di vita e viaggi in Oriente Renata Pisu ha appreso la saggezza dello scetticismo ideologico e la lezione di Deng Xiaoping: «Cerca la verità nei fatti». Nel capitolo sul Tibet l'onestà la spinge ad ammettere che no, di resistenti agli imperialisti cinesi non ne ha visto nemmeno uno, né segni di contestazione, mentre ha incontrato monaci divenuti commercianti e tanti tibetani «desiderosi di modernità, diciamolo pure, di Cina. Le cose stanno così». RENATA PISU
recensione di Renato Ferraro "Corriere della Sera 29/10/02)
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