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Là dove il mito vive di AA.VV.

 In breve: Questo quaderno raccoglie intense riflessioni sul tema, motivate e ravvivate dall'incontro con la parola di Apam Dolo, guida dogon che vive immerso nella tradizione orale della falesia che taglia il Subsahara. Nella sua terra il mito non è reperto, detrito e frammento, sfondo o reminiscenza, ma è presente, palpabile e percepibile: anzi, inevitabile. Il mito permea il linguaggio, il sociale, l'amore tra i sessi, la generatività e il rispetto per la saggezza anziana, le regole dell'ospitalità e i passi della danza.

“Mito in senso stretto significa “parola”, parola che racconta, che narra, consiglia, dispone alla vita, parola che si compone in un racconto, parola capace di favoleggiare e descrivere, parola che pare una dimensione avventurosa e che costruisce mondo, mondo reale e mondo fantastico, perché il mito ricostruisce un mondo raccontandone le origine e le ragioni, i dubbi e le certezze, i fatti e le leggende.
La parola che racconta (mito) in qualche misura si oppone alla parola che spiega, che tratta, che argomenta, che saggia, che analizza e definisce, che svolge e sciorina, a quel Logos che rischiara e svolge. La luce del mito è meno chiara e meridiana di quella del logos perché il mito è la luce del mattino, la luce dell’alba e del tramonto, una luce meno tagliente e netta, una luce che allunga le ombre e quindi accoglie mondo e lo mostra nella sua profondità di campo perché non abbaglia” (Guliano Corti dalla prefazione a “Là dove il mito vive”)

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