Diretto dall'indiano autodidatta Pan Nalin, 'Samsara' è il racconto fluviale e sontuoso di una verifica, una disamina semplice ma puntuale dei dogmi buddhisti che stregano l'Occidente. Le prove affrontate da Tashi sono quelle di sempre, il tono è didattico se non edificante, ma nel senso migliore del termine. E malgrado il trattamento stile 'National Geographic' dei meravigliosi paesaggi e il cast molto 'global' e occidentalizzato, 'Samsara' incuriosisce e convince". (Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero', 7 giugno 2002) "Il film, diverso da tutti, ha un fascino particolare per il suo argomento e per la perfezione estetica. 'Samsara' significa 'il mondo'". (Lietta Tornabuoni, 'La Stampa', 7 giugno 2002)
"L'esordiente regista indiano Pan Nalin, autodidatta con una carriera da documentarista, cerca di divulgare la contraddizione tra sensi e spiritualità con citazioni enigmatiche. Ma la didascalica visione fotografica, bozzettistica, di monachesimo ed erotismo lascia il prodotto in un commerciale equilibrio tra 'Il piccolo Buddha' e 'Sex & Zen'". (Silvio Danese, 'Il Giorno', 7 giugno 2002
Recensione su leonardo di Samsara
Samsara è il mondo. O meglio è la strada che si intraprende per avere "conoscenza" del mondo. "Samsara" è anche il primo lungometraggio realizzato da Pan Nalin un uomo che da quando ha visto il suo primo film sapeva di diventare regista. Aveva nove anni, tanti quanti c'è ne sono voluti per realizzare questo film. La storia è quella di un monaco buddista (Tashi) che dopo essere stato per 3 anni, 3 mesi, 3 settimane e 3 giorni in eremitaggio, viene riportato alla "vita" dai suoi compagni. E da allora comincia ad avere dubbi sulla strada da intraprendere. Seguirà la strada che gli indicheranno le sue naturali pulsioni sessuali. Ovviamente questo è solo l'inizio del film, anzi l'inizio del percorso che porterà alla conoscenza. Tutto, qui, è trattato con sottile leggerezza, e questo non può che essere un merito. Il percorso che si intraprende è lo stesso che intraprende chiunque si ponga dubbi sulla sua esistenza; fa parte della quotidianità universale di tutti coloro che posseggono un barlume di profondità. Il fatto che tutto succeda in India non ci deve ingannare, potrebbe succedere ovunque. Certo la storia potrebbe sembrare già sentita, poiché ultimamente di personaggi che cercano la loro "via esistenziale" sullo schermo se ne sono visti tanti (e bisogna dire che alcune volte sono stati soltanto dei "fighetti" che si struggevano cercando una profondità che non sapevano neanche cosa fosse). La novità sta nel fatto che, qui tutto il percorso è vissuto con sincera curiosità e allegria. In alcuni punti il film diventa addirittura commedia (c'è una scena che sembra tratta da un film di Bruce Lee), alcuni personaggi sono delle vere e proprie macchiette (in senso buono). All'inizio del film c'è un ragazzino, monaco anche nella vita, che è da premio Oscar, tanto è impunito. Trattare un argomento così complesso in modo così aereo è molto raro. In fondo, non dimentichiamoci che è pur sempre il racconto della vita fisica e spirituale di una persona con tutti i suoi dubbi, i suoi errori e le poche certezze. Anzi di più: è la messa in crisi di una persona che avendo operato una scelta come quella della religione, dubbi non dovrebbe averne, e invece... Forse l'unico appunto che potrebbe essere mosso a questo film è la durata. Qualche volta infatti l'attenzione si perde un pò. Ma è poca cosa in confronto al colpo di scena finale che ci riattacca alla terra facendoci vedere giusto quello che pensavamo sbagliato e viceversa. Forse la chiave del film è tutta in una domanda che, infatti, apre e chiude il film: "Come si può impedire ad una goccia d'acqua di asciugarsi?". La risposta non ve la dico.
Renato Massaccesi |