Paropamiso
Una affascinante introduzione al mondo dei kafiri o meglio dei "Kalash". L'unico testo che avevo per accostarmi alle tre valli kalash nel viaggio del 1983 con Avventure nel Mondo e due grandi autori Marco Aime e Stefano ardito. Diario della spedizione romana all'Hindu-Kush ed ascensione al Picco Saraghrar (7350 m), diretta da Fosco Maraini e con la partecipazione di Franco Alletto, Giancarlo Castelli, Paolo Consiglio, Franco Lamberti, Enrico Leone e Carlo Alberto Pinelli. Come il libro sull'ascensione al Gasherbrum IV, racconta la vita di tutti i giorni con i problemi ed i conflitti. Inoltre offre uno spaccato della vita nel Chitral degli anni 60. Descrive Peshawar quasi come l'ho vista nel 1983 e già mutata nel 1987. Corredato di foto, mappe e disegni vari.
L'ombelico dell'Asia
L’Asia ha un ombelico e il suo nome è Pamir. Si tratta di una serie di altipiani che sono come il centro strutturale del continente, il punto di irradiazione di gigantesche catene montuose e fiumi impetuosi, tra i maggiori dell’Asia. Per di più, essendo situato tra Pakistan, Afghanistan, ex-Urss, India e Cina, il Pamir sta al centro dei grandi cicli culturali del mondo: europeo, cinese, indiano e infine islamico. Da lì, inoltre, partono le catene dell’Himalaya, del Karakorum e dell’Hindu-Kush. O meglio, del Paropàmiso, parola che forse viene dal sanscrito pareupairisaena e significa «al di là delle montagne più alte del volo dell’aquila»: così gli autori classici chiamarono quelle montagne in pieno Afghanistan, che Alessandro Magno attraversò nel 326 a.C., durante la sua leggendaria spedizione in India. Questa regione segna il punto più remoto della zona di influenza greco-ellenistica. La ricerca delle memorie di quello straordinario incrocio di civiltà, tra Occidente e Oriente, tra l’antropomorfismo del Pantheon classico, la mitezza del Buddismo e le sure del Corano, vi ha attirato molti viaggiatori d’eccezione, ad esempio Bruce Chatwin (Viaggio in Afghanistan, Bruno Mondadori); e il suo compagno di avventure Peter Levi (Giardino del re angelo, Einaudi) cheha raccontato il suo viaggio sulle tracce di Alessandro Magno e della «Grecia d’Oriente». Adesso la Mondadori aggiunge un altro titolo, forse il più necessario: Paropàmiso di Fosco Maraini, splendido resoconto, pubblicato già 40 anni fa e riproposto in versione aggiornata e arricchita di nuovi testi, della spedizione fra quelle impervie montagne organizzata nel 1959 dalla sezione romana del Club Alpino Italiano e coordinata da Maraini che, oltre ad essere antropologo, orientalista e fotografo valente, era anche un ottimo alpinista. Il viaggio incomincia in Pakistan, nella fornace caotica di Karachi, « un inferno di luce, di calore, di vento» sulle rive del Mare Arabico; da lì la spedizione si dirige verso Nord, verso lo staterello del Chitral (di lì a poco sarebbe stato assorbito dal Pakistan), dove svettano i 7.350 metri inviolati del Saraghrar, uno dei picchi del Paropàmiso che gli italiani riusciranno a conquistare. Ma per Maraini quell’impresa alpinistica si traduce in qualcosa di più, in un’incursione attraverso i «muri delle idee». Perché, spiega agli amici in uno dei dialoghi corali che scandiscono il libro e che sono dei tentativi collettivi di capire l’Asia, «i viaggi possibili sul pianeta terra sono di due specie. Ci sono quelli che si svolgono dentro i confini di una civiltà, e ci sono quelli che ci portano entro i confini di altre civiltà. Quelli che non toccano il muro d’idee, e quelli che lo scavalcano...». All’interno della stessa Asia i muri non mancano. Come a Karachi, dove vive ancora la comunità dei Parsi, discendenti dei fedeli di Zoroastro cacciati dalla Persia dagli Arabi nel VII secolo d.C. Ma il punto vertiginoso, dove più muri si toccano, Maraini lo incontra a Taxila, nel Nord-Est del Pakistan, cuore di quella regione del Gandhara dove per secoli trionfò la Grecia; e dove si rimane di stucco di fronte a teste di Budda che sembrano quelle di un Apollo ellenistico, o alle monete dei re indo-greci: sul verso, teste ricciolute come quelle degli imperatori romani, e sul recto una figurina di Budda, incorniciata da scritte in caratteri greci che a leggerli suonano Boddo. Taxila è uno dei misteriosi ombelichi del mondo: distrutta nel V secolo dalle orde degli Unni, contemporaneamente alle invasioni che piegarono l’Impero Romano, sembra ancora portare il segno di quella grande città cosmopolita che era stata. «Un grandissimo mercato - spiega Maraini, - dove si scambiavano i vetri romani con le sete cinesi, le pellicce dei barbari iperborei con i gioielli dei re di Taprabana», ossia di Ceylon. Così sembra quasi normale imbattersi, in una terra islamizzata a fondo, nelle splendide mura di un monastero buddista del II secolo d.C. Dalla loro disposizione, è ancora possibile farsi un’idea della serena bellezza del luogo: «Ci venne aperto un cancello e ci si aprì dinanzi tutta una serie di sculture in stucco, bellissime. Erano state liberate di recente dalla terra che le copriva. Si erano salvate dal furore iconoclasta dei fanatici musulmani, dei secoli più vicini a noi, soltanto perché celate alla vista». Procedendo, i viaggiatori entrano nella Valle dei Kafir, dove i defunti più importanti sono ricordati con alte statue scolpite «in tronchi d’albero a grandezza naturale». Ciascuno di quei defunti appare a Maraini «un lungo discorso sulla condizione umana. Più li guardavi e più cose avevano da dirti». Con i loro tratti disegnati in modo rudimentale con pochi tagli d’accetta, ma capaci di esprimere ogni gamma dei sentimenti e della psicologia umana, quei personaggi riuniti «in un cimitero disordinato, sconvolto di notte dalle volpi, sperduto nel Paropàmiso selvaggio», appaiono a Maraini, tout court, l’Uomo. Anche gli dei Kafir suscitano in lui pensieri Malinconici: «Dèi così vicini alle capre, ai germogli dei campi, al ventre gonfio delle donne che saranno madri... Sottodèi, dèi da strapazzo, dèi fatti a mano. Dèi inevitabilmente condannati a morire, com’è condannato a sparire il saio color castagna delle donne, il loro kupis ricamato e coperto di conchiglie, il loro flauto, quando anche quassù ci sarà una strada asfaltata...». Giunti infine nel Chitral, i viaggiatori s’imbattono in strane moschee, piccole come case, con porticati di legno intagliato e splendidi mirab (le nicchie rivolte verso la Mecca) decorati da disegni che «di certo sarebbero piaciuti a Picasso». E basta avventurarsi per pochi chilometri tra le vallate per scovare graffiti rupestri raffiguranti la caccia allo stambecco, o gli stupa, sorta di santuari buddisti. Maraini non ci accompagna soltanto in vetta al Saraghrar, sui ghiacciai che formano un «grandioso viale pieno di luce», tra gigantesche valanghe e tramonti viola, ma ci fa entrare nell’anima di una civiltà. Il volume si chiude con una riflessione sui muri d’idee, che più di 40 anni dopo risorgono anziché crollare.
Giuliano Polidori in Giornale di Brescia 20-3-03
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Fosco maraini Nato a Firenze, seppe distinguersi fin da giovane per i suoi studi antropologici sul Tibet e sul Giappone. Fotografo, alpinista, etnologo, poeta, docente di lingua e letteratura giapponese, ha scritto negli anni passati libri famosi e fondamentali come Ore giapponesi e Segreto Tibet, che in nessun modo possono essere costretti dentro la categoria minore della letteratura di viaggio. Nei suoi testi, infatti, analisi di antropologia culturale, considerazioni poetiche, riflessioni filosofiche, ricordi di vita vissuta si fondono in un amalgama equilibratissimo, al tempo stesso lieve e profondo, cioè aereo, arioso, ma capace di cogliere l'essenza di una cultura, di un paesaggio, di un'esperienza mistica o amorosa. Uno stile di scrittura che in Case, amori, universi si arricchisce di un andamento romanzesco, grazie al quale il lettore avanza felice di episodio in episodio, per poi fermarsi più volte estatico di fronte a quella terribile nudità dell'esistenza, cui alludono le righe finali del libro.
Born in Florence, as a young man he developed a strong interest for anthropological studies. A famous ethnologist, photographer, orientalist and writer, Professor of Japanese language and literature, he travelled extensively throughout the Asian continent, especially Tibet and Japan, which then became the main topic of many of his books. Fosco Maraini wrote many essential works such as Ore giapponesi e Segreto Tibet, which cannot be catalogued simply as strict travel literature. His texts are a perfectly balanced mix of cultural anthropology, poetry, philosophy, and personal memories, rendered with an ease and beauty that get to the very essence of a culture, a landscape, and a mystical experience. His latest work, Case, amori, universi, is an enthralling novel, which magnetises the reader from one chapter to the next. |