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un libroper una scuola |
Verso il Cuore del Mondo di Claudio Cardelli |
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Saliamo lentamente di quota ed entriamo in una fitta nebbia, I giovani portatori, sono al loro primo ingaggio, salgono silenziosi e furtivi. Siamo madidi di sudore, acqua, procediamo lentamente accarezzati dal fogliame, dalle ragnatele e dalla prorompente e verde vitalità della giungla. Improvvisamente la luce aumenta e in un attimo ci ritroviamo in un bagliore accecante. Un mare di nebbia sotto un cielo cobalto copre tutto il fondovalle. Qua è là aguzze montagne verdognole forano il tappeto candido e si perdono all'orizzonte, infinite. Il paesaggio è immacolato. Non un segno dell'uomo, un campo coltivato, una radura disboscata: è magnifico! Superiamo un piccolo valico e scendiamo di nuovo nella foresta. Ci dicono che siamo ormai prossimi al villaggio. Scendiamo ancora e siamo immersi nel buio quando compaiono sul sentiero, sinistri, alcuni feticci con sembianze umane fatti con rami, paglia e stracci. Nello stesso istante, come una apparizione, tre ragazze spuntano dal nulla. Sono vestite di nero e hanno un copricapo fittamente decorato con monili d'argento. Sembrano vestite a festa ma hanno sulle spalle un carico di legna e stanno rientrando al villaggio. Ci guardano veramente stupite. Abbozziamo un tiepido sorriso di circostanza e le seguiamo discretamente e in pochi minuti, dopo una ripida salita, giungiamo al villaggio Hmong di Ban Namvang. Canti di galli e un ovattato miscuglio di rumori "domestici" preannunciano il villaggio Una sensazione di familiarità e di distensione dopo ore e ore di cupa foresta. I Hmong sono una delle etnie più indipendenti del sud est asiatico. Discendenti di etnie mongole, probabilmente retrovie dell'esercito di Gengis Khan, hanno sviluppato un tipo di cultura che consente loro una totale indipendenza economica. Anche oggi, dato che la loro economia di sussistenza è sufficiente a mantenerli, essi possono isolarsi completamente dal mondo esterno. Ogni Hmong non è solo agricoltore o coltivatore di oppio, ma è capace di fabbricare utensili, costruire case, creare piccoli gioielli. Le donne sanno tessere, ricamare, cacciare con piccoli fucili ad avancarica. E' proprio una donna con un bambino di pochi mesi sul grembo ed un lungo fucile a tracolla che ci viene incontro. Ha un'aria dolcissima e quell'arma, così sottile e quasi leggiadra, non sembra poi così in contraddizione col suo essere donna e madre. Si sta recando ad una fontana all'inizio del villaggio. Luogo di incontro, di socializzazione, di chiacchiere. Il nostro arrivo ha suscitato molto rumore e frotte di bambini arrivano saltellando in mezzo alla vegetazione, gridando e facendo quelle smorfie che tutti i bambini del mondo fanno quando timidamente cercano di attirare l'attenzione. Poi arriva un signore dall'aria importante che si presenta come capo villaggio. Abbiamo del grossi problemi a comunicare e solo la presenza del laotiano Phonpasset, che mastica un po' di francese, riesce a toglierci dagli impicci. Siamo capitati durante le festività del capodanno Hmong, grande ed inaspettata fortuna, e il capo villaggio si dà subito un gran da fare per ospitarci. E' la prima volta che arrivano stranieri da queste parti e a noi tocca la "residenza" principale dove alloggiano alcuni militari, credo incaricati di sorvegliare il commercio dell'oppio in maniera del tutto formale, ma armati comunque fino ai denti. I soldati, visibilmente seccati di questa intrusione, raccolgono in fretta i loro mortai, granate, kalashnikoff e ci lasciano a disposizione la suite: una grande capanna di legno e paglia dove circolano topi grossi come conigli e che, con le loro scorribande, renderanno la nostra notte completamente insonne. La casa, che ha un unico grande pertugio sul tetto dove convergono fumi e odori vari, è teatro di un continuo andirivieni di personaggi variopinti che vogliono soprattutto curiosare tra le nostre attrezzature logistiche: sacchi a pelo, zanzariere, scarponi "tecnici" oltre, naturalmente, alle attrezzature video fotografiche. Da fuori, sommesso e confuso coi versi dei numerosi animali da cortile, giunge fin dentro la capanna un borbottio sommesso, una cantilena frammista a versi strani. E' uno sciamano nella capanna accanto. Stanno uccidendo un grosso maiale per il capodanno ed è necessario propiziare l'evento con riti ed esorcismi. Mi precipito con la telecamera accesa nella capanna e mi si para innanzi una scena incredibile. Un uomo magro ed alto, tutto vestito di nero con una specie di lercio copricapo di stoffa nera che scende completamente sugli occhi e protegge la sua concentrazione, saltella ritmicamente a destra e sinistra emettendo una specie di lamento affranto. E’ di fronte ad un piccolo altare domestico. Accompagnato da sordi cimbalini recita formule magiche, cantilena versi disarmonici per scivolare ogni tanto su note vagamente melodiche. Poi ricomincia i versi fino a compiere improvvisi balzi in piedi accompagnati da grida secche e acute. Viene sorretto da un giovane uomo che mentre gli gira attorno, brucia figure di carta ritagliate e, ogni tanto, sputa per aria un fiotto di un distillato nebulizzato. La scena è straordinaria. Lo sciamano, in trance profonda, non si accorge della nostra presenza e mi dà tutto il tempo e la possibilità di effettuare delle riprese eccezionali. Ad un certo punto ripongo però la macchina e mi siedo in un angolo a contemplare quell'essere che parla col trascendente e che per i Hmong rappresenta il collegamento con la divinità. I Hmong, che credono di essere i discendenti di un fratello e di una sorella unici scampati al grande diluvio, praticano una religione in cui sopravvivono elementi di taoismo frammisti al culto di divinità domestiche e meteorologiche. Scopriamo che quasi in ogni capanna del villaggio accade qualcosa di simile fino al momento in cui tutti escono per i sacrifici collettivi di animali. Colpi di fucile al cielo ormai grigio e sangue di gallo sgozzato e asperso sul terreno pongono fine a questa intensa giornata . Mentre ormai al buio rientriamo alla nostra capanna, sull'uscio di una porta si intravede un piccolo bagliore. Due bambini di non più di due anni se ne stanno lì, attorno ad una candela accesa e sistemata ritualmente su un piattino con delle uova. Un giovane padre, di cui si scorge a malapena la figura, canta delle nenie dolcissime ai due figli che sembrano affascinati dalla debole e magica luce e avvolti teneramente dalle affettuose melodie paterne. E' un quadro struggente di una dolcezza infinita che allontana le sensazioni forti ed inquietanti dei riti sciamanici. C'è tutta una umanità in quel canto di padre, una umanità universale e familiare al tempo stesso che ci scalda il cuore fino al momento in cui improvvisamente uno dei due bambini soffia sulla candela facendoci piombare, il villaggio e noi, nel buio della sera. La contrattazione è veloce all'imbarcadero sul fiume. Con poco più di settantamila lire riusciamo a guadagnarci un passaggio in barca di circa centocinquanta chilometri sul fiume Nam Ou prima e sul Mekong poi. La barca, una piroga malsicura alimentata da un motore di auto collegato alla meglio all'elica, è guidata con maestria da un giovanotto baldo e vigoroso che ostenta al volante, questa volta probabilmente recuperato da un camion, la stessa sicumera di certi nostri "draghi". Ogni volta che usciamo indenni da una situazione di piccole rapide o di scogli semi affioranti non può fare a meno di lanciarmi una occhiata socchiusa e compiaciuta. Poi aspira profondamente la sua perenne sigaretta e si rilancia sicuro giù per il fiume tra aguzze cime sovrastanti e ricoperte di vegetazione, piccoli villaggi di pescatori e paesaggi indescrivibili. Alla fine di questa emozionante corsa approderemo in una delle più affascinanti cittadine del sud est asiatico, dichiarata patrimonio dell'umanità: Luang Prabang. Viaggiare in un paese come il etiopia è una emozione di per sé, ma attraversarlo su fiumi come il Nam Ou e il Mekong rende il viaggiare un qualche cosa che supera il semplice compiacimento estetico. Il fiume è come un vaso, una arteria che tocca i più segreti e misteriosi anfratti di un organismo. Il mondo lassù c'è, esiste; esistono i camion, i fumi, i rumori, i segnali stradali, i villaggi. Ma quaggiù in questa gola, lungo questo serpente azzurro e verde che si snoda tra foreste intricate e cime ardite sembra di essere all'alba dell'uomo. La natura come essa è, e dovrebbe sempre essere, ci nutre della sua selvaggia e dirompente bellezza. Una piccola mandria di bufali si abbevera sulla riva destra. Al nostro passaggio gli animali alzano le teste lentamente. Un bambino solo su una piccola imbarcazione sta pescando in una zona fuori dalla corrente; incrocio il suo sguardo per un attimo. Tutto fugge velocemente e non riesco a trattenere nulla. Adagiato sulla prua vicino al barcaiolo guardo lo scorrere veloce dell'acqua e i riflessi abbaglianti del sole che si agitano sulla sua superficie increspata. Penso a Luang Prabang, la nostra meta lontana ancora ore ed ore, ma vorrei non arrivarci mai e che questo momento non finisse più. I laotiani sono pescatori esperti e l'uso delle reti è quasi un lusso. Sono capaci di prendere pesci con arpioni e persino con i denti. Lungo il fiume è un susseguirsi continuo di queste situazioni. Alla confluenza del Nam Ou con il Mekong si intravede, su una parete di roccia strapiombante sul fiume, una spelonca con elementi strutturali decorativi in muratura, sono le grotte sacre di Pak Ou. Attracchiamo e saliamo all'interno di questo santuario ricco di bellissime e suggestive statue dorate che ritraggono il Buddha in varie situazioni e atteggiamenti. Di varie fogge e dimensioni le centinaia di statue rappresentano spesso degli ex voto di fedeli venuti qui dalle più lontane regioni del sud est asiatico. All'esterno una piccola struttura di ristoro e due malinconiche venditrici di souvenir testimoniano la speranza di questa gente in un prossimo sviluppo turistico. Lontano, in fondo all'orizzonte del placido Mekong ormai arrossato dal tramonto, una guglia ardita di roccia e foresta ci annuncia l'abitato di Luang Prabang. Quasi come se obbedisse ad una invisibile regia il sole, ormai un medaglione di rosso rame freddo, stenta a nascondersi dietro la vetta della montagna; sembra che ci aspetti mentre noi abbiamo tutto il tempo di godere qu |
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Claudio desidera che il ricavato sia versato al
Tibet Children
Village di Choglamsar (Ladakh)
ed alla
Lamdon Model High School
in Zanskar (33%=10€).