L'importanza del Kumbum è duplice: e per la sua
architettura e per le pitture che esso
contiene. Dal punto di vista architettonico il
Kumbum è un mc' od r te n del tipo conosciuto col nome di
bKra sis sgoman «il
fausto stupa dalle molte porten»,
uno cioè degli otto tipi di stupa elencati e
descritti nei trattati indo-tibetani. Dopo quello
che ho detto sui mc' o d r te n (chorten
ndr) tibetani nel
primo volume di lndo-Tibetica e contemporaneamente diceva sugli stūpa
in genere Paul Mus a proposito di Barabudur, è
inutile ricordare il valore simbolico, ma piuttostomi riferirò al valore
psicologico e al significato religioso che venivano a
queste costruzioni attribuiti durante il più tardo periodo
buddhistico, e propriamente da quelle scuole tantriche alle quali si
deve appunto questo notevolissimo monumento
dell'architettura tibetana. Gli edifici tibetani
non interessano soltanto per il decoro
delle linee architettoniche che ora continuano con ardimenti
studiati la roccia, ora ricordano, con il simbolo
della loro struttura, il carattere sacro della terra: essi sono
resi più solenni e grandiosi
dal paesaggio ch'è intorno, dalle
rupi che sembrano fatte d'oro, dalle silenziose distese
di pianori che
corrono levigati fino all'orizzonte quasi per dare a quelli risalto,
dalla solitudine che li circonda come una preghiera, e da un cielo che ha
la trasparente luminosità delle gemme. In
occidente costruire è imaginare e arricchire con im pensate creazioni
della fantasia l'opera della natura:la musica soltanto è un rivivere la
vita cosmica ed una partecipazione immediata al corso eterno delle
cose. Per il tibetano invece costruire - parlo s'intende
dell'arte
religiosa - significa rifare il mondo. Chi edificò il Kumbum, ricreò
l'universo, non nella sua struttura materiale, che non conta, ma nella
sua costruzione ideale, nel l'intreccio delle forze che lo animano, nel
gioco delle energie psichiche che gli dànno varietà e mutevolezza
d'aspetti.
Quest'universo è idea germinata dalla coscienza primordiale, da
quella
luce incolore ed elementare la quale, per un'intrinseca necessità, si
trasforma in imagini concrete, sicchè
l'Uno diventa molteplice, si rifrange e si riflette nell'infinità
delle coseper divenire da ultimo negazione e prigione di se medesimo,
vale a dire materia. In quest'edificio, visitando le cappelle
secondo il
giro rituale da sinistra a destra, siamo ammessi per così dire al mistero
della creazione: le migliaia di dèi che ora ci guardano sereni, ora
incombono con facce paurose, traducono nel simbolo della figura il
confuso tumultuare delle forze cosmiche.
In altre parole
il Kumbum è un gigantesco maṇḍala il
quale contiene in sè, dipinti sulle pareti delle
sue celle, infiniti altri maṇḍala nei quali sono espressi, per
mezzo
di simboli equivalenti, particolari sistemi di mistica che insegnando
come l'universo s'evolve, indicano pure come possa dissolversi
nuovamente nella essenza primigenia. Liberazione infatti
significa consunstanziarsi con la coscienza cosmica e questa
consustanziazione avviene attraverso un'eliminazione
éell'infinito gioco
della maya, regno del «divenire» necessariamente opposto all'
((essere. Questa eliminazione è consapevolezza del processo
universale, perché attraverso la consapevolezza avviene la
purificazione: conoscere il complesso meccanismo per
mezzo del quale la
coscienza primigenia si nasconde dietro l'infinito gioco della sua
libertà magica (maya) significa superarlo e perciò stesso trascendere dal
mondo del divenire a quello dell'essere. Questa è la psicologia religiosa
che determinò la costruzione del Kumbum, nel quale appunto la coscienza
primigenia, simboleggiata dall'imagine di Vajradhara (rDo rje c'an),
posta nella cappella superiore, si proietta in infinite fulgurazioni che
sono il suo vibrare e manifestarsi nel mondo della contingenza, e
insieme la via della redenzione per gli
iniziati che ne abbiano compreso l'arcano operare. |
Né sorprenda se i
mezzi di salvazione sono molteplici: infinite sono infatti le emanazioni
dell'assoluto ed innumerevoli le sue epifanie. Ogni essere o categoria
di esseri ha affinità segrete e inderogabili con una di queste vie
traverso cui l'Uno diventa molteplice; ognuno di noi appartiene ad una
mistica famiglia che fa capo al primo scindersi dell'Uno nella pentade
rappresentata simbolicamente dai cinque Buddha. Più ci allontaniamo
dalla sorgente del Tutto e più complessa diventa questa realtà
apparente
nella quale viviamo: più complesso perciò necessariamente diventa
lo
schema delle forze intellettuali e psichiche che, modellandosi su quella,
la debbono annullare purificandola alla luce della suprema gnosi. La legge
buddhistica è perciò anch'essa varia nei
suoi aspetti, come
varie sono le manifestazioni cosmiche e diversi
fra loro gli individui. Ogni
maṇḍala rappresenta il diagramma di una determinata
evoluzione e
di un particolare sistema che rivelandoci l'evoluzione del cosmo perciò
stesso ci indica come superarlo e trascenderlo.
Il Kumbum è perciò lo
schema del mondo e una silloge dell'esperienza tantrica: vale a dire
delle principali rivelazioni esoteriche che la
tradizione attribuì al
Buddha, cioè al supremo vero divenuto accessibile agli uomini.
Quando,
nella prima metà del XV secolo, il Kumhum veniva costruito
per opera di un
principe pio, il Tibet aveva già sentito la necessità di raccogliere in
trattati organici la scienza mistica del Mahayana. Diversi
maestri
avevano cercato di compilare una Summa delle possibili
esperienze capaci
di sottrarre le creature al dominio della nascita e della morte e di
sollevarle a più alti piani di esistenza. Con questi intendimenti era
già stato scritto il sGrubt'abs rgya mts'o
(trattato inserito nel Tangyur ndr), il quale resta
anche oggi l'opera di
ritualistica fondamentale per le scuole Saskya-pa; in questo libro
l'olimpo mahayanico è interpretato nel suo interiore significato
simbolico e preso come base per le meditazioni che dovevano transumanare
gli iniziati. Poco prima che questo Kumhum fosse costruito, una delle
figure più grandi del Lamaismo, Buston, aveva scritto un suo
digesto dei maṇḍala contenuti nei cicli tantrici più importanti. Quest'opera del
sommo maestro servì sicuramente di guida a chi edificò il Kumbum. Questa
non è una mia ipotesi, ma un fatto indiscutibile, dimostrato, oltre ogni
dubbio, dalle iscrizioni che leggiamo nelle cappelle. In esse non solo
si fa più volte il nome di Buston, ma si citano passi interi delle sue
opere, fornendo così la prova che coloro i
quali disegnarono il piano del
Kumbum a quei suoi trattati si ispirarono.
Il Kumbum, come già il tempio
che Buston aveva fatto costruire a Za lu (Shalu
ndr) è la sintesi visibile di
questa liturgia, così come i testi ne erano l'espressione verbale: ognuno
dei suoi piani conteneva la rappresentazione simbolica, immediatamente
percepibile con gli occhi, delle molte vie che la psicologia religiosa
del tantrismo aveva immagi nato per la redenzione dell'uomo; una specie
di bK a'g y u r
o di bsTan
agyur , nel quale al simbolo delle
parole era sostituito il simbolo della figura e dei
colori.
Quelle summa e dunque e questo Kumbum, come il tempio
di Za lu (Shalu ndr) di cui Bu
ston ha dettato le iscrizioni esplicative, derivano in fondo da un
medesimo impulso e dallo stesso desiderio della comunità lamaistica
dimettere un po' d'ordine nelle dottrine spesso discordanti dei maestri
e degli esegeti. Bu ston, come elencava nello stesso scorcio
di tempo le
opere buddhistiche e dava una forma definitiva alle due grandi
raccolte di
scritture sacre, il bKa' agyur ed il
bsT a n ag yur, così
pure cercava di redigere una specie di codice liturgico che stabilisse,
oltre la pluralità delle opinioni divergenti, un punto di vista ortodosso
e basato sull'autorità di una tradizione sicura. Anche l'arte ne
era
influenzata: in queste scuole esoteriche, la verità, adombrata in
espressioni simboliche,si traduce necessariamente negli
schemi e nei
diagrammi dei maṇḍala vengono per ciò determinate con grande
precisione
il numero delle divinità che compongono ciascun
maṇḍala, il loro colore
ed i loro attributi, eliminando volta a volta le opinioni non sorrette da
una testimonianza autorevole. Quindi ai tempi di Bu ston, come la
letteratura diventa più sicura e la tra dizione più attendibile,anche la
rappresentazione simbolica in parte si rinnova, scartando tutto
ciò che
fosse .arbitrario od incerto e rimodellandosi sulle più sicure
tradizioni indo-tibetane. Così inquadrato in un determinato momento
storico dell'evoluzione religiosa lamaistica, il Kumhum acquista
nuova significazione, alla quale del resto corrisponde anche il valore
delle sue pitture che ci dànno un'idea chiara delle correnti d'arte vive
nel XIV e nel XV secolo in quel di
gTsan, dei centri in cui esse
prosperavano, delle tradizioni che seguivano e dei maestri
più celebri.
Infatti per la prima volta troviamo qui a Gyantse
lunghe liste di pittori che ci
forniscono un documento di prim'ordine per ricostruire la storia e le
vicende dell'arte pittorica tibetana-
Tucci Giuseppe,
Gyantse ed i suoi monasteri, pagg
10-16 |