Il narratore ambulante
Due voci si alternano per raccontarci i due risvolti di una storia singolare. Da una parte un uomo evoca i suoi ricordi di un compagno di gioventù, soprannominato Mascarita, che era affascinato dalla cultura india e dai suoi segreti. Dall'altra parte un cantastorie, un narratore ambulante, memoria collettiva di tutte la tradizioni di una sperduta tribù dell'Amazzonia, ci racconta la sua esistenza e la storia e i miti del suo popolo. Un affresco, pietoso e sconsolato, del degrado materiale a cui sono sottoposte le tribù indie del sudamerica e il loro tentativo di conservare la propria identità. Un romanzo ricco di poesia e di introspezione psicologica, dove l'invenzione si fonde con la realtà, il sogno e la fantasticheria con il concreto.
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Mario Vargas Llosa è il primo scrittore peruviano a vincere il premio Nobel per la letteratura nel 2010. Da anni nella lista dei favoriti, l’autore ha surclassato quest’anno gli altri concorrenti in lizza secondo i boomaker: Cormac McCarthy, l’eterno Philip Roth e il keniota Ngugi wa Thiong’o, dato per vincente dalle quotazioni dell’ultima settimana. Gli Stati Uniti, insomma, sono rimasti ancora a mani vuote a diciassette anni dalla vittoria di Toni Morrison. Premiato per la descrizione della «cartografia delle strutture del potere, le sue trancianti immagini di resistenza individuale», Vargas Llosa rappresenta anche il rinnovato interesse internazionale per gli autori sudamericani. E non è un caso che un paese come l’Argentina sia in questi giorni protagonista alla Buchmesse di Francoforte. Autore di commedie e romanzi, ma anche saggista e polemista, il premio Nobel, nato ad Arequipa nel 1936, è uno degli scrittori più apertamente “politici” del Sudamerica: nel 1990 si candidò alle elezioni presidenziali venendo sconfitto per pochi voti. «L’ho fatto perché il Perù aveva una democrazia debole e vacillante, minacciata dalla rivoluzione terroristica di “Sendero luminoso”», disse. Ma la politica attraversa in modo esplicito o meno tutta la sua attività: La città e i cani, l’esordio del 1963, che in Perù viene bruciato in piazza, è ambientato in un collegio militare di Lima. Lui stesso da ragazzo studia in un istituto del genere. Il percorso formativo si conclude però a Madrid, ma la vera attrazione è Parigi, dove si trasferisce negli anni Cinquanta. Qui frequenta quello che definirà “il piccolo valoroso Sartre”. E l’amicizia con il filosofo francese non sarà senza frutti e influenze nella poetica. Se García Márquez incarnerà il capofila del realismo magico latinoamericano, Vargas Llosa rappresenterà l’altra faccia della letteratura del suo continente. Come Márquez, però, si avvicina alla rivoluzione cubana, pur mantenendo una posizione critica. La casa verde, Pantaleon e le visitatrici, Conversazione nella Cattedrale e, soprattutto, La zia Julia e lo scribacchino, pubblicati in Italia da Einaudi, sono le opere che gli danno la notorietà e vengono tradotte in tutto il mondo. L’ultimo titolo in particolare racconta dell’amore del giovanissimo Mario per la sua zia acquisita, più anziana di quattordici anni. Tutta la storia è accompagnata dalla passione per la letteratura che anima il protagonista, aspirante scrittore che trova ispirazione in Pedro Camacho, popolarissimo autore di romanzi radiofonici che calamitano l’attenzione del paese intero. Mario e Julia convoleranno a giuste nozze proprio come accaduto nella realtà a Vargas Llosa e sua zia. Autobiografia o fiction? «Non ho mai preteso di essere aneddoticamente fedele a certi fatti e a certe persone anteriori ed estranee al romanzo. In entrambi i casi, come in tutto quanto ho scritto, sono partito da alcune esperienze ancora vive nella mia memoria e stimolanti per la mia immaginazione e ho fantasticato qualcosa che riflette in modo molto infedele quei materiali di lavoro», scriverà l’autore ne La verità delle menzogne, confondendo le acque. Ha detto Vargas Llosa: «Uno scrittore ha anche una responsabilità politica e civile: quella di partecipare in un modo o nell’altro ai dibattiti pubblici. Per questo, mentre facevo il giornalista e lo scrittore, al tempo stesso difendevo in pubblico la democrazia e la libertà». E questo forse è il vero motivo per cui l’Accademia gli consegna il Nobel. Perché mentre la nuova generazione degli autori sudamericani si riappropria della storia dei loro padri - fatta di golpe e dittatura - è bene celebrare chi l’assenza di libertà l’ha patita sulla pelle e quindi raccontata. |