Le grandi civiltà del Sahara antico
La edizione 2000 include le più recenti attività del professor Mori svoltesi in Libia dopo il 1990, anno della riapertura agli stranieri del paese Africano. La storia degli uomini degli ultimi ventimila anni, con particolare riguardo ai massicci centrali del Sahara di Libia - cui l'autore ha dedicato quasi cinquant'anni di studi - rivela una serie di drastici mutamenti climatici e culturali che, con corsi e ricorsi lentissimi, hanno profondamente alterato le condizioni di vita e i parametri di adattamento dei vari gruppi umani. Nella prospettiva adottata in queste ricerche, in cui lo studio multidisciplinare dei reperti si accompagna a quello delle varie nicchie ecologiche, la cultura non può essere considerata come un qualcosa di "superorganico" o di "extrasomatico ", e la dicotomia natura-cultura sembra piuttosto scaturire da quell'antropocentrismo che pervade in forme sempre più accentuate tutta la nostra storia. Le testimonianze eloquenti e numerose delle civiltà illustrate in questo volume ricostruiscono questo passaggio decisivo nella storia delle civiltà, che l'autore affronta ponendo sul tappeto il discorso intorno alle componenti biologiche di tutto il comportamento umano:da quello più intimamente legato all'attività materiale a quello che gradualmente se ne discosta per giungere a ciò che chiamiamo arte e agli altri prodotti della mente,in primo luogo quelli attinenti al "religioso". Nel Sahara antico l'uomo vede le divinità e le dipinge, con aspetti chiaramente antropomorfi,nel quadro di una cosmogonia a noi per sempre ignota ma forse non priva di rapporti con quella dell 'antico Egitto. Nel paesaggio affascinante di una zona iperarida ricchissima dei segni del passato l'autore e con lui il lettore si trovano di fronte ai "primi " segni di atteggiamenti quali l 'antropomorfismo, la neolitizzazione,il distacco dalla natura, l'arte rupestre o tutte queste cose insieme.
L'autore Fabrizio Mori (1925)si è dedicato dal 1955 alle ricerche sulle civiltà preistoriche del Sahara e fino al 1997 ha insegnato Etnografia preistorica dell 'Africa presso l 'Università di Roma "La Sapienza". Fondatore del Centro interuniversitario di ricerca sulle civiltà e l'ambiente del Sahara antico (cirsa), è autore fra l'altro di "Tadrart Acacus. Arte rupestre e culture del Sahara preistorico" (Einaudi, 1965).
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Fabrizio Mori, Le grandi civiltà del Sahara antico. Dal sito di Nigrizia L’autore, dal 1955, si è dedicato a far luce sulla preistoria del Sahara, utilizzando le più evolute metodologie e tecniche scientifiche per l’analisi del passato. Come caso particolare di un immenso subcontinente, quale doveva essere il Sahara verde dei primi popolamenti di Homo sapiens (Paleolitico medio con industria ateriana, intorno ai 70.000 anni fa), Mori, con missioni congiunte italo-libiche ripetute negli anni, ha studiato a fondo il bellissimo massiccio del Tadrart Acacus e il vicino Amsak Settafet, ai confini sud-occidentali della Libia. Qui i depositi antropici (ancora scarsamente scavati) si accostano a ripari sottoroccia su cui, da oltre dodicimila anni, i cacciatori-raccoglitori prima, e i pastori poi, hanno graffito e dipinto straordinarie figure di animali, esseri mitici, uomini, geometrie. Il quadro ambientale e antropologico che Mori è riuscito a ricavare da queste testimonianze è accurato e minuzioso, per quanto sia consentito in una disciplina storica che mai riuscirà a "replicare" sperimentalmente le teorie: gli eccezionali pittori e incisori del Sahara parlano solo attraverso le loro opere e, a detta di Mori, "le valenze semantiche si sono costruite e modificate nel tempo", attraverso così tante trasformazioni da impedirci ogni comprensibile contatto con le percezioni, il senso di parole e gesti, la consapevolezza individuale e di gruppo di tali "artisti". Nel libro, la grande quantità di fotografie e illustrazioni (con accurati rimandi nel testo) ci mette in contatto diretto con le opere sahariane, facendoci ben comprendere la difficoltà e, forse, l’impossibilità dell’interpretazione secondo canoni attuali di arte e religione. Pur raccomandando e sottolineando di continuo (anche eccessivamente) ogni cautela nell’interpretazione, Mori non resiste alla tentazione e afferma che le pitture sahariane segnano "il distacco dell’uomo dalla natura e la nascita delle religioni antropomorfe". La scrittura di tono accademico non riesce a nascondere il grande amore per il deserto, il cui ambiente attuale è abbondantemente illustrato. Purtroppo gli uomini del Sahara attuale, i tuaregh, non hanno nulla a che vedere con le raffigurazioni rupestri, frutto di culture di savana e prateria: la loro conoscenza del territorio non è pertanto utilizzabile per scoprire i parametri comportamentali e cognitivi degli autori preistorici. È evidente come gli apparati scientifici utilizzati nelle missioni dirette da Mori (paleoantropologia, geologia, palinologia, archeologia, geografia, ecc.) siano imponenti e interdisciplinari; occorrerebbe però scrollarci di dosso l’idea che un semplice accumulo di catalogazioni e dati statistici (numeri e non fenomeni sperimentali) possa chiarire i segreti del Sahara "artistico". Le interpretazioni che si rifanno alla struttura cerebrale comune a tutte le popolazioni di Homo sapiens, a partire dal Paleolitico antico, e gli omologhi etnologici (pur con tutte le cautele del caso), possono fornire un contributo altrettanto valido per ricostruire il mondo perduto nella roccia graffita e dipinta, nel Sahara come nel resto del mondo. Bollati Boringhieri, Torino, 2000, pp 349, Lit 150.000. (Alberto Salza) |