Le condizioni di vita nei campi di concentramento diventano subito precarie per la mancanza di cibo e di risorse; uomini e animali sono costretti a vivere gli uni accanto agli altri in spazi ristretti. Dalle testimonianza di due sopravissuti. "Ci davano poco da mangiare. Dovevamo cercare di sopravvivere con un pugno di riso o di farina e spesso eravamo troppo stanchi per lavorare" (testimonianza di Reth Belgassem); "Ricordo la miseria e le botte. Ogni giorno qualcuno si prendeva la sua razione di botte. E per mangiare ricordo solo un pezzo di pane duro del peso di centocinquanta o al massimo duecento grammi, che doveva bastare per tutto il giorno" (testimonianza di Mohammed Bechir Seium). Le condizioni sanitarie sono altrettanto drammatiche. A Soluch per esempio, per ventimila internati, c’è un solo medico, che deve occuparsi anche dei tredicimila reclusi del campo di Sidi Ahmed el Magrun. Scoppiano le epidemie di tifo a cui non si riesce a far fronte efficacemente per l’assoluta mancanza di medicinali, medici e strumenti basilari, come le semplici pentole per sterilizzare le vesti e le vettovaglie. I reclusi di Soluch scendono in poco più di un anno da 20.123 a 15.830, quelli di Sidi Ahmed el Magrun da 13.050 a 10.197. Tra il 1930 e il 1931 muore il 90-95% del bestiame. La popolazione del Gebel, una volta rinchiusa nei campi, diviene un facile serbatoio di manodopera a basso costo (il salario è di tre volte inferiore di quello degli italiani) da utilizzare nelle opere pubbliche, soprattutto stradali. Per togliere ai ribelli l’aiuto che proveniva dall’Egitto (dove si sono rifugiati circa 20.000 libici), alle popolazioni della Cirenaica viene proibito ogni tipo di commercio con l’Egitto. A questo scopo dall’aprile al settembre 1931 viene innalzata una barriera di filo spinato, alta quattro metri, lungo i 275 chilometri tra il porto di Bardia e l’oasi di Giarabub, il cui tracciato viene controllato per mezzo di fortini e voli aerei. Inoltre i santuari locali dei Senussi vengono chiusi, sequestrate le loro rendite e confiscate le loro proprietà terriere. Viene instaurato un vero e proprio regno del terrore: migliaia di esecuzioni, villaggi saccheggiati o costretti a piegarsi per fame, rappresaglie selvagge contro le comunità beduine se uno qualsiasi dei loro membri si univa al nemico. Tratto dal Sito dell'ANPI - Le guerre coloniali del fascismo |
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