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«Siamo settanta milioni, e di gran lunga più omogenei di qualsiasi altro popolo indiano. Anzi, i musulmani sono il solo popolo indiano a potersi fregiare del titolo di nazione, nel senso moderno del termine». Con queste parole Muhammad Iqbal (1877-1938), grande poeta e filosofo del Punjab propose nel 1930 la formazione di «uno stato integrato nord occidentale musulmano ed indù» considerato come «destino finale dei musulmani od almeno di quelli dell'India nord-occidentale». In quello stesso periodo a Cambridge un gruppo di studenti indiani musulmani diede alle stampe un opuscolo intitolato «Adesso o mai più», in cui la patria islamica in India veniva per la prima volta chiamata Pakistan, parola urdu di derivazione persiana che significava «Terra dei puri» (Pak vale infatti per ritualmente puro). Il termine veniva anche presentato come un acrostico: P per Punjab, A per Afghania (la North West Frontier Province), K per Kashmir, S per Sind e Tan per l'ultima parte di Beluchistan.

I primi abitanti

L'acqua ha sempre giocato un ruolo sacrale nella vita del subcontinente indiano. Le acque del bacino fluviale dell'Indo, il cui affluente minore è il Soan, divennero la culla della civiltà nell'India settentrionale; così come le valli del Punjab (Terra dei cinque fiumi) e del Sind, il cui fango è portato dai torrenti che sono un dono perenne dei ghiacci e delle nevi eterne della Grande Catena Himalayana e del Karakorum.

Le tracce dei primi insediamenti umani nell'Asia meridionale sono schegge di pietra ritrovate lungo la vallata del Soan (Pakistan meridionale). Questi attrezzi, o armi, primitivi sono l'unica traccia dell'uomo paleolitico nell'India del Nord. Essi stanno ad indicare che nel corso di un periodo interglaciale (fra i quattrocento ed i duecentomila anni fa) alcuni individui passarono nel subcontinente attraverso l'Hindu Kush se non addirittura attraverso gli alti valichi himalayani, provenendo dai loro originari insediamenti dell'Asia Centrale e dell'Asia orientale.

Accanto a questi primi abitanti giunsero nel subcontinente anche altri popoli. Essi erano probabilmente gli antenati dei Dravidici del sud dell'India e giunsero attraverso il mare dall'Africa orientale spinti dai venti che ogni anno portano nell'India meridionale il ristoro delle piogge monsoniche.

Una seconda ondata di migrazioni dall'Africa orientale o dall'Europa meridionale sembra essersi verificata nel corso del mesolitico (circa trentamila anni fa) dopo l'inizio del definitivo regresso dei ghiacci che per tanto tempo avevano ostacolato il progresso dell'umanità. Numerosi ritrovamenti di microliti sono avvenuti nel Punjab e nel Deccan (India). Queste piccole armi di pietra, chiamate attrezzi pigmei, assomigliano a quelli trovate anche in Europa ed Africa orientale ed inducono a ritenere che fossero usate da popoli dediti alla caccia ed alla raccolta di cibo. Erano dunque popolazioni ben più evolute da quelle del Paleolitico che provenivano dall'Asia centrale.

Fra il 9<198> ed il 5<198> millennio a.C. le vicine popolazioni della Mesopotamia, dell'Egitto e della Persia effettuarono quella che è definita la rivoluzione agricola: il passaggio dalla caccia e dalla raccolta di cibo alla coltivazione del suolo. Le donne furono protagoniste di questa innovazione che mutò dopo milioni di anni la storia del genere umano e segnò l'ingresso nel Neolitico e l'avvento della civiltà. I primi insediamenti neolitici nella regione sarebbero avvenuti nel Beluchistan e risalgono ad un periodo a cavallo del quattromila a.C., ma forse esistono anche altri insediamenti, non ancora portati alla luce che permetterebbero di indicare una datazione precedente, contemporanea agli insediamenti preistorici in medio oriente.

La cultura dell'Indo

Le pianure formate dall'Indo sono, dal punto di vista ecologico, assai simili a quelle del Nilo e del Tigri-Eufrate, che furono la culla della civiltà neolitica. Regione semiarida, non richiedeva utensili di ferro per approntare il terreno dei nuovi insediamenti ed il fango delle alluvioni è un ottimo fertilizzante naturale (alcuni autori ipotizzano uno scenario differente: la regione sarebbe stata coperta da foreste poi scomparse con un mutamento climatico dovuto allo spostarsi della zona monsonica).

La grande civiltà urbana dell'Indo è stata probabilmente preceduta da un periodo di cultura di villaggio, all'incirca contemporaneo a quello del Baluchistan. Il primo di questi villaggi, Amri, venne scoperto nel 1929 nel Sind. E' impossibile dire quanto tempo sia occorso affinché la cultura dei villaggi raggiungesse il livello di civiltà urbana, sviluppando in modo adeguato l'approvvigionamento di grano ed orzo delle città nonché sviluppando quelle capacità necessarie per un salto, in quei tempi prodigioso, nel giro di un breve periodo, forse cinquecento anni, forse di più. Ad Amri si notano le fasi di passaggio dal vasellame modellato a mano alle ceramiche più tarde, lavorate al tornio ed ornate di complicati disegni geometrici. Accanto alle costruzioni di mattoni di fango si trovano già elementi caratteristici della civiltà urbana. Il più recente ritrovamento di villaggi di questa fase è a Kot Diji, ad un'ottantina di chilometri a nord est di Mohenjodaro.

I monumentali lavori di scavo di Mohenjodaro («tumulo della morte», vedi pag. 000), e della città gemella di Harappa (vedi pag. 000) sono stati una fonte importante per la ricostruzione della storia del subcontinente.

I ritrovamenti effettuati hanno permesso di comprendere che i dasa, o schiavi prearii, la cui pelle più scura costituiva il segno distintivo rispetto al «colore» degli Arii, erano più progrediti, raffinati e tecnologicamente avanzati delle orde semibarbare degli Arii invasori la cui «civiltà» sembra ridursi solo ad un miglior armamento ed all'utilizzo di cavalli imbrigliati.

La civiltà dell'Indo, della quale è stata trovata traccia in almeno settanta località, si estendeva sopra un milione e trecentomila chilometri quadrati (quattro volte l'Italia) nel Punjab e nel Sind, dalle zone di confine del Baluchistan agli attuali deserti del Rajasthan (India), dalle colline ai piedi dell'Himalaya alle montagne del Gujurat (India). Avamposti della civiltà di Harappa, scoperti lungo le coste del Makran ed in Iran, testimoniano i contatti e gli scambi commerciali con i Sumeri, specie ai tempi di Sargon di Akkad (2334-2279 a.C.). Sono alcuni sigilli dell'Indo, trovati ad Ur, ad indicare che dagli enormi granai di Harappa e Mohenjodaro i mercanti esportavano l'eccedenze di cereali fino a Sumer e forse oltre.

È in questo stesso periodo, oltre quattromila anni fa, che nella valle dell'Indo si iniziò a filare il cotone ed a tesserlo per farne stoffe che poi venivano anche tinte. É l'inizio di una attività industriale e commerciale che tutt'ora caratterizza il mercato del subcontinente ed è anche uno dei maggiori contributi che questa civiltà diede al mondo intero.

Durante il periodo della cultura dell'Indo scomparvero sia l'economia di sussistenza basata su caccia e raccolta di cibo, sia quella dei piccoli villaggi: vennero sostituite da una economia basata su più raffinate tecniche agricole di irrigazione ed inondazione, e su commerci in larga scala da poter sopperire alla numerosa popolazione urbana. V'erano raccolti di frumento ma anche di riso, piselli, datteri, semi di senape e sesamo. Inoltre iniziò l'allevamento di alcuni animali e la convivenza con altri: cani, gatti, cammelli, pecore, maiali, capre, bufali d'acqua, zebù ed elefanti.

L'arrivo degli Arii

Intorno al 2000 a.C. le tribù seminomadi, che in origine parlavano l'indoeuropeo e vivevano probabilmente fra il Mar Nero ed il Mar Caspio, vennero sospinte via dalle loro terre forse da un disastro naturale. Questi antenati dei popoli che avrebbero parlato i linguaggi italici, greci, germanici, celti, iranici, indoarii rifluirono verso le zone della attuale Russia meridionale. Erano tribù piccole, comunità chiuse che si spostavano con il loro bestiame di armenti e mandrie: la loro migrazione aprì un capitolo nuovo nella storia dell'Europa e dell'India. Fra le tribù che si spinsero ad oriente alcune raggiunsero la zona dell'attuale Iran (nome da collegarsi agli Arii che vi portarono la lingua indoiranica fra il 1800 ed il 1500 a.C.). Successivamente alcune tribù, quelle che oggi indichiamo come indoarie, si spinsero ancora più ad est, valicando l'Hindu Kush e raggiungendo le pianure dell'Indo. Non vi sono ritrovamenti che illustrino la cultura materiale di queste popolazioni nel periodo fra il 1500 ed il 1000 a.C. ma in aiuto dell'archeologo vengono i Veda, i Libri della conoscenza della religione aria che vennero tramandati oralmente dai cantastorie e poi per iscritto fino a che non vennero redatti definitivamente attorno al 600 a.C. . Il più antico di questi testi è il Rig-Veda (lett.: Veda degli inni), mille e cinquecento inni in sanscrito, la più antica letteratura indoeuropea, nel quale si supplicano doni dagli dei arii.

Dai Veda sappiamo che gli Arii vivevano con le loro greggi migranti in villaggi tribali. Le case, costruite con bambù o legno leggero non sono sopravvissute al tempo, gli Arii non usavano mattoni, né di fango, né cotti, e non avevano quell'organizzazione cittadina caratteristica delle popolazioni prearie. Riuscirono veramente a sopraffare gli abitanti delle città o fu una lenta assimilazione? Certamente erano più forti fisicamente, induriti dalla vita nomade, capaci di superare a piedi nudi i valichi di montagna, avvantaggiati dall'uso del carro e dei metalli come il bronzo con il quale forgiavano asce. I Veda parlano delle loro vittorie sulle «città fortificate» (pur) dal cui interno la gente di «pelle scura» (dasa), cerca invano di difendersi dagli Arii dalla pelle «color del grano».

I Veda sono testi religiosi e quindi forniscono informazioni più su questo aspetto della cultura aria che su altri ma permettono, ad ogni modo, di conoscere alcuni aspetti dell'organizzazione sociale. Il termine arya significava all'origine nobile o avente alta nascita, mentre la gente comune era indicata come vis ed era suddivisa in tribù jana. Le tribù, unite nell'assalto alle città, erano spesso in guerra fra loro e venivano governate da rajà. Le lotte fra rajà cugini della tribù più famosa, quella dei Bharata, sono al centro del poema epico Mahabharata (Grande poema dei Bharata) scritto in epoca successiva. Come ogni tribù era governata da un rajà di sesso maschile, così anche la famiglia veniva controllata dal padre, il cui ruolo di dominio su moglie e figli sarebbe diventato il modello normale dei rapporti di parentela di ogni famiglia indiana, dove la supremazia dell'uomo sulla donna  e la gerarchia basata sull'anzianità sarebbero rimaste la regola.

Il territorio abitato dagli Arii, al momento della stesura del Rig-veda, era conosciuto come Saptasindhava (terra dei sette fiumi), ne facevano parte i cinque fiumi dell'attuale Punjab e l'Indo che allora riceveva un anche un altro affluente, la Sarasvati, oggi ridotto ad un torrente nel deserto del Rajastan. Gli Arii pare che non conoscessero il Gange ed impiegarono ben cinque secoli ad occupare i territori fra il passo Kyber e la piana di Delhi. In questi cinquecento anni il processo di lotta, cooperazione ed assimilazione fra genti arie e prearie determinò i caratteri fondamentali di quella che sarebbe stata la cultura di tutto il subcontinente. La società aria si modificò: i villaggi si ingrandirono, la struttura tribale divenne più complessa, nacquero le prime forme di  istituzioni politiche, si passò a strutture stanziali con agricoltura. Il sistema delle classi delle popolazioni arie si compenetrò con le distinzioni fra le classi delle popolazioni preesistenti. Il pantheon di divinità legate alla natura (una trentina di dei fra i quali Indra, Varuna, Agni, Soma) si arricchì di nuove divinità superiori le cui caratteristiche di omnicomprensione sono più simili al dio monoteistico che ad uno panteistico. Sotto la spinta di una classe sacerdotale sempre più potente e libera di dedicarsi ad attività speculative e filosofiche la cultura degli Arii iniziò a porsi domande ed a trovare soluzioni ai problemi destinati a rimanere impenetrabili in sincretismo con le preesistenti ed antiche forme locali di religione.

Un millennio di mutamenti

Più di mille anni furono necessari per compiere il processo di assimilazione e di mutamento storico. In questo periodo il centro del potere nel settentrione del subcontinente era slittato verso oriente, fino alla regione dell'odierna Patna. Questo processo di disboscamento di enormi foreste riuscì grazie soprattutto alle nuove tecnologie portate dagli Arii  che permisero la costruzioni di grossi e pesanti aratri, trainati da buoi e con il puntale di ferro. La metallurgia del ferro giunse dall'altipiano iranico dove le popolazioni indeuropeo ne avevano sviluppato le tecniche di lavorazione. Sono ancora i testi religiosi a fornire le uniche fonti della storia di questo periodo lungo secoli: i commentari Brahamana ai Veda, il Mahabarata con il Ramayana, le Upanishad.

La civiltà era in marcia ed agli inizi del 6<198> secolo a.C. vi erano sedici reami maggiori, più o meno forti, ed oligarchie tribali nell'India settentrionale, dal Khabhoja in Afghanistan fino all'Anga in Bengala. In questi regni la crescita di grandi centri e città, lo sviluppo di comunicazioni e vie commerciali nell'India settentrionale, come pure la fondazione di nuove scuole di filosofia religiosa non ortodossa, costituirono quindi il risultato dell'impatto della tarda arianizzazione sulle tribù e sulle abitudini indigene delle pianure fra l'Indo ed il Gange. Il tempo e la distanza non solo indebolirono la resistente fibra originaria degli Arii ma ne trasformarono il modello socio-economico di insediamento culturale. Il brahamanesimo si era saldamente radicato sulle credenze popolari, i villaggi di tronchi erano stati sostituiti da potenti città circondate da mura, simili ai grandi insediamenti urbani della civiltà dell'Indo. In una di queste potenti mahajanapada (grandi regioni tribali) nacque nel 540 a.C. il Buddha Sakyamuni ed i frutti della sua predicazione segnarono alcuni caratteri dei grandi imperi che stavano per sorgere.

Fu così che nel 4<198> secolo a.C. le tribù ed i bellicosi reami dell'India settentrionale vennero unificati in un unico e potente impero assai più grande di quanto che potesse esser stato quello di Harappa. Ma prima che ciò si compisse una meteora doveva passare sulle pianure dell'Indo.

Alessandro Magno

La regione di Ghandara, con capitale Taxila, cadde sotto la dominazione persiana nel 518 a.C.. Come ventesima satrapia dell'impero achemeide di Dario, l'India pagava ogni anno un tributo di non meno di trecentosessanta talenti in polvere d'oro: così almeno riferisce Erodoto, che narra nelle sue Storie parecchi racconti fantastici sull'India, fra i quali la descrizione di formiche giganti che lavoravano come cercatrici nei deserti cosparsi d'oro. Proprio racconti come questo potrebbero aver risvegliato gli appetiti di Alessandro, invogliandolo ad avventurarsi fino all'Indo. Secondo fonti bibliche, «avorio, scimmie e pavoni» vennero portati dalla terra di Ophir via mare al tempio di re Salomone: si trattava delle prime testimonianze giunte al mondo occidentale riguardo alle ricchezze esotiche della terra che si stendeva lungo i confini orientali della Persia. La gloria, il potere e la ricchezza raggiungibili con la conquista di quel regno così vasto e lontano spinsero il più abile e giovane condottiero del mondo a frantumare il potere persiano e lanciare il suo formidabile esercito oltre il fiume Indo. L'armata che nella primavera del 326 a.C. superò il fiume a nord di Attok, era composto da circa venticinquemila soldati fra cavalieri macedoni e fanti greco- asiatici. Il rajà di Taxila, un saggio governante di nome Ambhi, salutò l'irresistibile armata di Alessandro senza scagliare neppure una freccia ed aprì le porte della città davanti all'esercito di invasori.

Avanzando con le truppe verso oriente, Alessandro si trovò presto di fronte ad un altro fiume, il Jhelum (Hydaspes): sulle sue rive si estendeva il regno ario del grande rajà Poro (Puru), che invano tentò di difendere la regione. Poro poteva disporre di duecento elefanti da guerra, i carri armati naturali dell'India e li aveva schierati secondo lo schema tradizionale della duplice prima linea di difesa militare indiana: muraglia di elefanti in prima fila ed fanteria ammassata dietro. L'incontrastata cavalleria di Alessandro caricò di fianco gli elefanti e li terrorizzò con frecce incendiarie inducendoli a girarsi ed a calpestare la fanteria di Porro. Dopo questa sconfitta disastrosa nessun rajà indiano si oppose seriamente all'esercito di Alessandro, ma quando egli si mosse verso oriente attraverso il Punjab, alcune ribellioni minacciarono la retroguardia delle sue stesse guarnigioni, prima nel Khandahar, poi nello Swat. Quando Alessandro raggiunse il quinto grande fiume, il Beas (Hyphasis), gli arrivò certamente notizia delle grandi ricchezze  del lontano regno di Magadha e sicuramente progettò di avventurarsi verso il «mare orientale», che probabilmente era il Gange. Secondo Giustino e Plutarco, Alessandro trovò a questo punto un «giovane adolescente» chiamato Sandracottus, il cui nome venne fin da allora identificato con quella di Chandragupta e potrebbe essere davvero il fondatore dell'impero Maurya che, secondo la leggenda, aveva studiato a Taxila in quel periodo. Giunte al Beas, le truppe di Alessandro si rifiutarono di avanzare ulteriormente verso oriente. Alessandro era stato leggermente ferito in una scaramuccia presso Multan, si era ripreso, ma forse anche questo aveva influito sul morale delle truppe che ormai da dieci anni erano lontane da casa.

Il grande stratega dovette piegarsi alla volontà delle sue milizie e, nel giugno del 326, si incamminò sulla strada del ritorno ma non sarebbe vissuto abbastanza per arrivare in patria. Lasciava alle sue spalle diverse migliaia di coloni che però finirono per disperdersi alla notizia della sua morte avvenuta nel 323 a.C. in Persia.

Proprio quando la marea del potere macedone si ritirò, si elevò ad occidente il primo grande impero del'India settentrionale.

I grandi imperi

Il monarca che riuscì nell'impresa di unificazione fu Chandragupta Maurya (dal pali motia=pavone), che regnò dal 324 al 301 a.C.. Proprio come l'impero achemenide di Ciro il Grande (558-530 a.C.) sembra aver ispirato al suo contemporaneo Bimbisara (540-486 a.C.) la fondazione del regno del Magadha, così il sogno di Alessandro di creare un immenso impero potrebbe aver acceso nel primo grande unificatore indiano l'idea di trasformare il Magadha in un grande impero che occupasse tutto il subcontinente. Il giovane sovrano era guidato dal brahamano Kautilya che descrisse i metodi del buon governo nell'Arthasastra (lett.: scienza del guadagno materiale), un testo che ricorda la politica del Principe di Machiavelli, e le cui regole furono spesso applicate da sovrani ed imperatori dei successivi due millenni. Chandragupta consolidò l'impero raggiungendo le zone ad ovest dell'Indo e fissò i confini all'Hindu Kush in un trattato con Seleuco Nicatore, sovrano greco erede di Alessandro in Asia. In cambio di cinquecento elefanti da guerra Seleuco ritirò le ultime truppe greche dal Punjab.

Bindusara, successore di Chandragupta è ricordato per la strana richiesta che inviò ad Antioco I, successore di Seleuco: vino greco, fichi e... un sofista. Antioco mandò vino e fichi ma gentilmente spiegò che da loro non c'era mercato di sofisti.

Ma è con Ashoka (senza dolore)(269-232 a.C.) che l'impero raggiunge il suo apogeo. I suoi editti furono scolpiti su rocce e pilastri lungo tutti i confini dell'immenso impero ed è grazie ad essi che conosciamo su Ashoka molto più che su tutti gli altri imperatori. Un'amministrazione accurata, ministri ed ispettori efficienti ed ottime vie di comunicazione raggiunsero i confini fino oltre le piane dell'Indo. La religione buddista influenzò tutto il suo operato (il suo stemma erano i leoni sormontati dalla ruota della legge, simboli della supremazia della legge divina sul potere temporale). Protettore del buddismo si dice che abbia fatto erigere più di ottantamila stupa in tutta l'India e fra questi quello di Taxila.

I Bactriani e Kushana

Nei cinque secoli che seguirono alla caduta dell'ultimo Maurya (circa 184 a.C.) le regioni dell'attuale Pakistan subirono l'influenza di imperi posti ad occidente. Nel 250 a.C. la regione nord-occidentale della Bactriana aveva dichiarato la sua indipendenza dai Seleucidi e nel 190 a.C. invasori greco-bactriani conquistarono Peshawar. In una decina di anni estesero la loro supremazia all'intero Punjab. Questi eredi di Alessandro coniarono stupende monete raffiguranti Ercole, Giove, Apollo. Le forze greche si spinsero fino all'attuale Patna che controllarono per circa dieci anni.

Questi re, fra i quali famoso rimase Menandro convertitosi al buddismo, furono sopraffatti verso il 175 a.C. da una seconda invasione guidata da Eucratide che dalla valle di Kabul in Bactriana si mossero verso Taxila controllando la regione di Gandarha per più di un secolo.

La classica e caratteristica arte buddista, che prese il nome dalla regione, rappresenta la più durevole eredità del processo di sincretismo indo-greco che sorse a Gandhara, dove molte altre correnti di pensiero indiano ed occidentale confluirono al seguito dei notevoli traffici commerciali.

A metà del 2<198> secolo a.C. nell'Asia centrale gli Hsiung-nu invasero le terre degli Yueh-chih (la stirpe lunare)  che a loro volta si spostarono nei territori dei Saka costringendoli ad invadere Bactrian e Gabdhara dove soppiantarono la dominazione greca verso il 140 a.C..

Agli inizi della nostra era i Kushana, la più forte tribù degli Yueh-chih, giunse nel Gandhara. Sotto il re kushanide Kaniska I,  il vittorioso,  l'impero si estende dall'Asia centrale al golfo del Bengala. Con la sua conversione il Gandhara comincia ad essere considerato una sorta di terra santa del Buddismo e si definiscono i lineamenti ed i caratteri peculiari dell'arte gandharica.

Ma anche quest'impero tramontò e nel 262 d.C. sappiamo che il Sind era nuovamente controllato dal  re sasanide Sahpuhr I (Sapore) che ad occidente riesce a sconfiggere limperatore romano Valeriano.

Nei secoli che seguono l e attuali terre del Pakistan divengono ora  principati indipendenti, ora potentati vassalli  di sovrani hindu.

L'impatto con l'Islam

La nascita dell'Islam, avvenuta fra le sabbie dell'Arabia saudita nell'anno 622, era destinata a cambiare radicalmente il corso della storia del subcontinente. Nessuna delle molteplici invasioni che fecero seguito alla diffusione degli Arii più di duemila anni prima, incise così profondamente sull'Asia meridionale quanto quelle che portarono in India la religione del profeta Muhammad. L'eredità storica di quello scontro si coglie non solo in Pakistan ed in Bangladesh, ma anche nei settanta milioni di Musulmani nei vari stati dell'Unione Indiana.

L'India rimase beatamente ignara dell'esistenza dell'Islam nei primi due decenni della vigorosa crescita della nuova fede. I mercanti arabi portavano comunque dall'Asia meridionale ricchezze sufficienti a stimolare gli appetiti dei guerrieri musulmani, ma una prima spedizione del 644 riportò al Califfo informazioni e valutazioni pessimistiche. Ma un attacco piratesco ad una nave da carico musulmana nel 711 infuriò a tal punto il governatore ommayade dell'Iraq da armare, contro i rajà del Sind, una spedizione forte di seimila cavalli siriani ed altrettanti cammelli iracheni. Mohammed Bin Qasim, governatore di Bassora, aveva allora diciannove anni, e si rivelò un ottimo condottiero. Entrò in Pakistan dal Beluchistan , conquistò il porto di Debul (presso l'odierna Banhore). Da lì si diresse a nord verso Nerun (Hyderabad) trascinandosi le pesanti catapulte capaci di lanciar pietre a più di cento metri di distanza: erano strumenti da guerra mai visti prima in queste regioni. Sconfitto il rajà locale ed annientato il suo esercito di 20.000 fanti e 10.000 cavalieri si diresse verso Multan.

L'esercito arabo conquistò rapidamente tutto il Sind ed il suo comandante ebbe cura che gli infedeli (kafir) si convertissero all'Islam o morissero.

Purtroppo Qasim governò per poco il nuovo territorio: caduto in disgrazia presso il califfo, venne richiamato a Bagdad e giustiziato.  Qualche anno dopo, quando gli studiosi arabi conobbero meglio la religione indù, venne concesso anche lo stato di dhimmi, cioè di stato protetto. Questa condizioni era già stata estesa in Iran agli zoarastriani (i Parsi) ed ora il tributo venne pagato anche dai popoli del Sind che volevano conservare la propria fede. Dalla regione dell'attuale Pakistan, l'Islam si mosse lentamente verso oriente, fino a raggiungere le lontane isole degli arcipelaghi fra Oceano Indiano e Pacifico. Ma la vera via di penetrazione dell'Islam fu il Sind: la piattaforma di partenza dell'espansione islamica in Asia meridionale fu il trampolino afghano del passo Kyber. Alla missione di Qasim, che governò con giustizia reintroducendo forme di governo caratterizzate da spirito di evangelizzazione come il grande Ashoka, seguirono invasioni dove la conversione avveniva a filo di spada.

Nel 10<198> secolo l'islam si era modificato: un unico Califfo non riusciva più a controllare gli immensi territori, molti schiavi turchi (mamelucchi, mamluk) erano divenuti liberi ed avevano raggiunto i vertici politici e militari. Il primo regno islamico turco venne fondato nella fortezza afghana di Ghazni e la dinastia durò due secoli. Dal 997 Mahmud di Ghazni (971-1030) guidò quasi una ventina di incursioni in terra indiana promovendo jihad (guerre sante) con la promessa di un paradiso (ed anche di un ricco bottino...). Lasciata la fortezza in Afghanistan Mahmud scendeva in Punjab e poi in India distruggendo templi e saccheggiando città. I Ghaznavidi furono solo i primi fra i musulmani turco-afghani che invasero le regioni settentrionali distruggendone l'autonomia.

Centocinquantanni dopo la morte di Mahmud la stessa Ghazni venne conquistata dai turchi Ghuridi, un'altra feroce popolazione nomade dell'Asia centrale. Il sultano Muhamad di Ghur e lo schiavo luogotenente Qutb-ad-Din Aibak compirono la prima razzia nel 1175, distruggendo il presidio ghaznavide di Peshawar nel 1179 e proseguendo alla conquista di Lahore nel 1186 e di Delhi nel 1193. Qutb-al-Din si autoproclamò sultano di Delhi nel 1206 e la dinastia che fondò (amluk, schiava) fu la prima di una serie di dinastie islamiche nell'Asia meridionale. L'India si trasformò da Dar-al-Harb (terra di guerra) in Dar-al-Islam (terra di sottomissione) ed il sultanato di Delhi durò trecentoventi anni sotto il governo di cinque successive dinastie turco-afgane. Il sultanato venne definitivamente abbattuto dall'invasione delle armate asiatiche di Timur-i-Leng (Tamerlano, Timor lo zoppo) che attraversarono Peshawar ed il Punjab nel 1398.

I Moghul

La frammentazione ed il caos giunsero a tal punto che Lahore spalancò le porte in segno di benvenuto quando Babur, re di Kabul (1483-1530) scese in aiuto del governatore della città. Ma la «Tigre», discendente da Timur per parte di padre e da Gengis Khan per parte di madre, divenne ben presto il primo padishah (imperatore) dei Moghul quando il 21 aprile 1526 si impadronì di Delhi e dei tesori in essa accumulati.

Babur non solo era un brillante stratega, ma fu anche poeta di elevata sensibilità ed appassionato di giardini e fontane. Il suo regno non fu quello di un despota orientale, dalle sue memorie si ricava l'idea di un uomo capace di unire l'ambizione del regno all'umiltà ed i modi raffinati alla capacità di rapide decisioni.

Il figlio Humayun, sebbene ne ereditasse la sensibilità, non fu altrettanto deciso nel governare il grande regno. E' indicativo della sua personalità il fatto che morì non per veleno, né in battaglia, ma cadendo dal suo osservatorio astronomico.

Akbar (lett.: il grande) successe al padre Humayun nel 1555 alla età di soli quattordici anni. Su di lui ebbe un grandissimo influsso Bahram Khan, tutore e reggente, che lo consigliò fino alla maggiore età quando, nel 1560, assunse il comando diretto. In quarantacinque anni allargò i confini dell'impero fino alla baia del Bengala ad oriente ed alla frontiera con la Persia ad occidente. Aveva anche il dominio di gran parte dell'India meridionale, del Kashmir, del Baluchistan e del Sind. Il suo regno fu grande come il suo nome, si accattivò gli indù abolendo nel 1562 la maggior parte delle restrizioni loro imposte e successivamente tolse la jiiza nel 1579, un testatico sui non musulmani, abolì la tassa sui luoghi di pellegrinaggio ed inoltre consolidò ed amministrò con giustizia gli immensi territori ampliando i confini dell'impero del nonno Babur.

Akbar salì al trono come devoto musulmano ma morì in un certo senso eretico. Fu estremamente tollerante verso le altre fedi ma poi acconsentì che attorno alla sua persona si sviluppasse una forma di culto. Suo desiderio era che questo culto divenisse una sorta di religione universale che comprendesse le migliori caratteristiche di tutte le altre fedi dell'impero e ciò lo pose in contrasto con i suoi consiglieri. Akbar chiamò questo credo Dine-Ilahi, cioè la fede divina, una fede che ebbe un suo ruolo, seppure di breve durata, nel consolidare l'amministrazione dell'impero.

Alla sua morte, nel 1605, salì al trono il figlio Jeangjir (lett.: conquistatore del mondo), che in ventitré anni di regno si guadagnò la reputazione di re giusto. La saggezza della sua amministrazione, unita alla simpatia che seppe attirarsi dal popolo per alcune infelici storie d'amore vissute in gioventù, ne fanno una delle personalità più amabili fra i Moghul.

Nel 1628 sale al trono Shaha Jahan che elimina il fratellastro Shaharuar ed ogni altro pretendente. Nonostante il cruento inizio si dimostra un buon sovrano e soprattutto un ottimo mecenate delle arti e dell'architettura. Suoi il forte rosso di Delhi e il Taj Mahal di Agra in memoria della moglie Mumtaz Mahal, forse uno degli edifici più belli al mondo. In Pakistan è possibile ammirare i giardini Shalimar di Lahore ed lo Shish Mahal (la stanza degli specchi) nel forte di Lahore, che fu costruito come residenza ufficiale dell'imperatrice. Il suo regno segnò l'apice dell'impero moghul, le eccedenze economiche dovute alla prosperità furono impiegate per finanziare imprese artistiche.

Purtroppo i suoi ultimi anni di regno videro la lotta per la successione scatenatasi fra i quattro figli. Nel 1658 Aurangzeb risultò vincitore e Shah Jahan venne rinchiuso nel forte rosso di Lahore da dove poteva scorgere il mausoleo dell'adorata consorte.

Aurangzeb usò il pugno di ferro per governare l'impero. Austero ed intransigente nelle abitudini personali e mussulmano ortodosso nella fede, continuò e rafforzò il ritorno alla fede islamica iniziato dal padre. Di tutti i Moghul Aurangzeb fu quello che più si avvicinò all'ideale di uno stato islamico sull'India. Per suo volere una commissione di studiosi compilò un nuovo codice di giurisprudenza attinente alle condizioni di vita del tempo. La sua interpretazione dell'ortodossia si tradusse in uno scarso interesse per le arti, ciononostante lasciò alcune bellissime opere architettoniche come la moschea Badshahi di Lahore, con un cortile che allora era il più grande del mondo.

Dopo la sua morte, avvenuta nel 1707, l'impero iniziò un rapido declino. Sebbene i Moghul conservassero nominalmente il controllo di parte dell'India fino alla metà del 19 secolo, i vari imperatori non riacquistarono mai la dignità e l'autorità di un tempo ed il loro declino consentì lo sviluppo di nuovi influssi sul subcontinente.

Il persiano Nadir Shah riuscì a saccheggiare Delhi nel 1739 impossessandosi del «trono del pavone» che in seguito divenne vanto degli shah di Persia. Altra invasione avvenne nel 1756 da parte del re afghano di Kabul, Ahmed Shah Abdali. Nella seconda metà del 18 secolo i Sikh divennero una potenza considerevole nel Punjab da dove cercarono di controllare anche le regioni del Sind fino al confine afgano.

E' in questo secolo che iniziò ad estendersi l'influenza degli Inglesi, dapprima in maniera strisciante, ma ben presto l'opera della John Company (la compagnia delle Indie) portò ad un controllo totale su quasi tutti i regni fra l'Himalaya e Ceylon.

La John Company ed il raj britannico

L'India fu di gran lunga il maggior bottino conquistato durante la spartizione dell'Asia da parte delle potenze europee e fu un bottino inglese. All'inizio dell'800 la Compagnia britannica dell'Asia orientale era saldamente installata sulle coste indiane con centro a Calcutta, approfittando delle difficoltà francesi durante il periodo rivoluzionario e napoleonico essa aveva eliminato quella pericolosa concorrente. La Compagnia realizzava ottimi affari controllando il commercio di esportazione delle preziose merci indiane ma l'immenso subcontinente promette molto di più. L'India era frammentata in una pluralità di stati formalmente sottomessi all'impero del gran Moghul ma di fatto indipendenti; economicamente ricchi, essi erano debolissimi sul piano militare e politico, lottavano per il loro controllo dinastie di principi musulmani ed indù, vi regnava la corruzione, continue invasioni di popolazioni bellicose provenienti dalle frontiere dell'Afghanistan, della Birmania, del Tibet, vi spargevano il terrore ed il disordine.

Di fronte a questa situazione la Compagnia decise di cambiare la sua politica, fino ad allora esclusivamente commerciale: oltre a sviluppare il commercio di importazione verso l'India si potevano sfruttare le ricchezze di quell'immenso paese, sia mettendo tutta lo sua attività economica al servizio degli interessi della Compagnia stessa, sia raccogliendo direttamente tasse e tributi. Per un'impresa gigantesca come la conquista di un paese di più di cento milioni di abitanti, la Compagnia disponeva di notevoli mezzi finanziari, di uomini politici abili e senza scrupoli, di un piccolo ma efficiente esercito composto in buona parte di mercenari indiani e naturalmente dell'appoggio della flotta inglese. Essa usò i conflitti fra i sovrani locali mettendoli gli uni contro gli altri per infiltrarsi man mano negli affari interni dei vari stati. I principi messi sul trono con il suo aiuto finivano per dipendere del tutto dai dirigenti della Compagnia finché venivano deposti e sostituiti da un governatore inglese, conservando il loro titolo onorifico.

In pochi decenni tutto il paese cadde così sotto il controllo diretto od indiretto degli amministratori inglesi che gli fecero subire profonde trasformazioni, in certi casi catastrofiche. Poiché l'industria tessile inglese aveva bisogno di cotone e di juta, si crearono enormi piantagioni di queste piante al posto della tradizionale agricoltura di piante alimentari che aveva permesso nei secoli la sopravvivenza dei villaggi indiani, ne seguirono tremende carestie, che causarono in pochi anni la morte per fame di milioni di contadini. Per agevolare l'importazione dei prodotti tessili dall'Inghilterra venne distrutto il tradizionale artigianato indiano che aveva assicurato la prosperità di intere regioni. Furono spediti in Inghilterra milioni di sterline in metalli e pietre preziose ottenuti saccheggiando i tesori delle corti principesche ed imponendo pesanti tasse alle popolazioni sottomesse. Per qualche decennio la politica della Compagnia non trovò grandi resistenze, sia per l'efficacia repressiva delle sue truppe, sia per l'appoggio che le davano i principi locali specie musulmani che avevano bisogno del suo appoggio per continuare il proprio sfruttamento delle masse contadine.

«The great mutiny»

Nel 1857 scoppiò una grande rivolta promossa inizialmente dai sepoy, le truppe indiane al servizio della Compagnia. La rivolta ebbe motivazioni religiosa. Le cartucce per i fucili che gli inglesi distribuivano erano unte con grasso di vacca e il grasso per le canne era di maiale, suscitando in tal modo lo sdegno sia di indù che di musulmani. Si intendeva così protestare contro la violazione delle tradizioni locali operata sistematicamente dai conquistatori. Ai sepoy si unirono presto masse esasperate di contadini ed artigiani ridotti in miseria, la rivolta fu repressa dopo un anno di duri combattimenti e richiese l'intervento di ingenti forze inglesi. Essa segnò comunque la fine del dominio della Compagnia: nel 1858 l'India passò sotto l'amministrazione diretta del governo inglese e fu governata da un viceré che rispondeva direttamente al governo di Londra.

Non cessò per questo lo sfruttamento dell'India, tuttavia esso venne condotto in modo più razionale e si tentò di compensare il peso fatto gravare sulle masse indiane con alcuni vantaggi propri della civiltà europea. Si creò un'efficente amministrazione accettando nei livelli inferiori della burocrazia anche personale indiano, che venne istruito in scuole inglesi per farne un valido alleato del regime coloniale, si costruirono grandi ferrovie e le prime industrie, si pose fine alle invasioni ed ai disordini che avevano a lungo devastato il paese. Il governo inglese si presentava quindi agli Indiani come garante dell'ordine e della pace interna, come promotore dello sviluppo economico e culturale. Grazie a tutto questo l'India restò per quasi cento anni un suddito fedele oltre che la colonia più ricca dell'Inghilterra.

La Lega mussulmana

Sir Sayed Ahmed Khan, letterato e uomo accorto e sagace, è la figura principale del periodo che seguì al «great mutiny». Non essendosi associato alla rivolta egli fu in grado di esercitare sugli Inglesi un'influenza che altri capi potenziali non avevano. La sua capacità politica lo portò, nel 1875, alla fondazione ad Alighar dell'Istituto superiore Anglo-Orientale Maomettano che successivamente divenne l'Università musulmana di Aligarh. Sayed Khan sperava di farne un centro si attività dal quale fiorisse il progresso culturale e scientifico dei Musulmani. Questi giovani sarebbero stati la colta classe dirigente che avrebbe guidato i musulmani nel momento in cui l'India sarebbe divenuta indipendente e, a suo parere, si sarebbero formate due nazioni costrette a convivere sullo stesso territorio.

Il sub-continente era ormai in subbuglio, non si trattava più di sporadici episodi locali o della solita resistenza delle tribù delle provincie di frontiera. Sotto la guida di intellettuali, ricchi commercianti e nobili, i giovani indiani si stavano organizzando per liberare la «Grande Madre» dal giogo Inglese.

Le spinte indipendentistiche si coagularono nel Congresso Nazionale Indiano dove la componente indù era chiaramente in maggioranza. Per questo, nel 1905, venne fondata la Lega musulmana di tutta l'India, una organizzazione a carattere politico intesa a sostenere e portare avanti i punti di vista musulmani. Nata con obbiettivi modesti la lega andò sempre più disilludendosi sulle possibilità di un dialogo sia con gli Inglesi che con gli indù. Due fortissime personalità emersero e si rafforzarono lottando per l'indipendenza e per la difesa dei Musulmani in questi primi anni del nostro secolo. La più importante è sicuramente quella di Muhammad Ali Jinnah, oggi riconosciuto come il fondatore della nazione pakistana. Altro ruolo decisivo ebbe Muhammad Iqbal, grande poeta islamico, che nel 1930 fu il primo a delineare una piattaforma politica per lanciare il concetto di una patria musulmana separata dal resto del subcontinente. Per tutti gli anni "20 Jinnah aveva cercato di appianare le differenze fra Congresso e Lega Musulmana, scontrandosi spesso con il Mahatma Ghandi il quale prefigurava un'unica India dove Musulmani, Indù, Sikh, vivessero assieme liberi dagli Inglesi ma anche liberi dal bisogno. Negli anni "30 una serie di amare esperienze portò Jinnah ad avvicinarsi gradualmente alle opinioni più radicate di Iqbal e nel 1940 si adoperò per convincere la Lega a far propria l'idea di Iqbal di uno stato separato per i Musulmani. Non veniva chiesta la semplice autonomia, si chiedeva una netta separazione in due differenti nazioni.

Al termine della guerra il Partito del Congresso e la Lega Musulmana ebbero entrambi contatti ed esercitarono pressioni sul governo britannico e sul viceré lord Mountbatten. La lega voleva che le sei provincie mussulmane dell'India, il Punjab, la Provincia della frontiera del nord-ovest, il Baluchistan, il Sind, il Bengala e l'Assam fossero raggruppate in un Pakistan autonomo prima dell'indipendenza.

D'altro canto, su come dividere l'India in modo ottimale, c'erano almeno sei proposte. Ma la situazione precipitò e lord Mountbatten fu costretto a concedere l'indipendenza un anno prima di quanto fosse stato previsto e senza neppure avere il tempo di compiere progressivamente la spartizione sotto il controllo delle truppe inglesi.

Il 14 agosto 1947 avvenne il passaggio formale del potere al Pakistan con Jinnah quale governatore generale del nuovo stato.

Il Pakistan nazione indipendente

Le lotte ed i sacrifici di mussulmani, indù e sikh che abitavano nei territori spartiti o dove erano minoranza, furono momenti di violente agitazioni e di spargimenti di sangue che offuscano la storia sia della nazione indiana che di quella musulmana. I treni che trasportavano i profughi verso i nuovi territori in cui sarebbero stati accolti venivano regolarmente assaliti da fanatici di religione avversa. I vari eserciti seppero non intervenire lasciando che i vari fedeli sfogassero rancori ed odii. Più di un milione di mussulmani persero la vita nel tentativo di raggiungere quella terra promessa che era il Pakistan.

Presto però il conflitto scoppiò anche a livello ufficiale coinvolgendo gli eserciti delle due nazioni. Il tentativo da parte pakistana di occupare il Kashmir fallì. Solo una piccola parte della verde valle di Srinagar non venne annessa all'India e formò l'Azad Kashmir, il libero Kashmir, successivamente inglobato nella repubblica pakistana. Il 1 gennaio 1949 iniziò il cessate il fuoco sotto il controllo delle nazioni Unite.

Questi primi anni di indipendenza furono per il Pakistan caratterizzati da momenti di tensione e di instabilità politica. Jinnah, il «Grande Capo» (Qa'id-i-Azam) morì il primo settembre del 1948 lasciando un Pakistan sul punto di essere lacerato da conflitti regionali e dalle dispute ideologiche. Un punto di accordo fu il varo della Costituzione, ma anche Liaquat (1905- 1951), collaboratore e successore di Jinnah scomparve presto, assassinato il 16 ottobre 1951, forse vittima degli ortodossi musulmani avversi al suo modernismo o dei separatisti della N.W.F.P.. Il Pakistan venne quindi governato da una serie di burocrati di formazione britannica, per poi cadere, dopo il 1958, sotto il tallone della legge marziale. In questo periodo i governi non riuscirono a risolvere il problema di dare maggior rappresentatività al Pakistan orientale senza alienarsi l'appoggio della classe dirigente sindi e punjabi occidentale e quello di ammodernare il paese senza scontrarsi con la leadership ortodossa islamica. Il governo venne rovesciato con facilità nel 1958 dal colpo di stato guidato dal generale Muhammad Ayub Khan (1907-1974). Già con l'adesione del Pakistan alla SEATO (South East Asia Treaty Organization) ed al CENTO (Central Treaty Organization), i governi degli anni "50 si erano legati alla politica statunitense  ricevendo da Washington copiosi aiuti militari. Fu Zulfikar Ali Bhutto (1929-1979) a trattare con Nehru per una soluzione del problema del Kashmir ma il governo indiano respinse la proposta di un plebiscito. Si giunse così nel 1965 ad una nuova guerra che iniziò nel Rann (pianure salate) all'estremità meridionale del confine indo-pakistano per poi continuare nel settore del Karakorum. Con alterni movimenti si giunse al cessate il fuoco il 23 settembre "65: l'India aveva conquistato meno di milletrecento chilometri quadrati di Pakistan, mentre il Pakistan affermava di controllarne tremila novecento indiani. L'India rimase così sulla sua intransigenza nel vietare un plebiscito in Kashmir come riaffermò al vertice di Tashkent nel gennaio del "66.

Ma ben più gravi erano divenuti nel frattempo i problemi con il Pakistan Orientale. Dopo ventuno anni di indipendenza un abisso separava le due regioni.

Il distacco del Bangladesh

Povero ed economicamente sottosviluppato, il Pakistan orientale non solo accoglieva più del 55% dei 120 milioni di abitanti del Pakistan pur rappresentando solo il 15% del territorio nazionale. Inoltre riceveva da Lahore meno fondi per lo sviluppo industriale rispetto alla valuta pregiata che affluiva in Pakistan grazie alle sue esportazioni di cotone. In pratica il Pakistan orientale era una colonia di quello occidentale, amministrato da burocrati che parlavano urdu anziché bengali e controllato da un esercito con ufficiali pathani, baluchi e punjabi. Fatima Jinnah (1893- 1967), sorella del padre della patria, cercò di formare un'oppozione democratica al potere di Ayub, ma una modifica alla costituzione, voluta da quest'ultimo, concedeva il voto solo a ottantamila democratici di base, scelti nelle file del proprio partito. Nel Pakistan occidentale anche Bhutto cercò di coagulare attorno a sé una maggioranza con un programma di socialismo islamico, liberazione del Kashmir, collaborazione sino-indiana e fondò il Partito Popolare Pakistano La spinta di questi partiti costrinse Ayub alle dimissioni e venne sostituito da Yahya Khan che indisse elezioni per l'ottobre del 1970.

Nel luglio dello stesso anno un'innondazione aveva prostrato definitivamente l'economia del Pakistan orientale e quando il 7 dicembre la lega Awami, guidata dallo sceicco Mujib-ar-Rahman (1920-1975) si accaparrò 160 seggi dei 162 concessi in parlamento al Pakistan orientale la situazione precipitò. I colloqui fra Bhutto, Yahya e Mujib non sortirono effetti di pacificazione, nella notte del 25 marzo 70 l'esercito trucidò migliaia di cittadini mentre la popolazione insorgeva al grido di «Jai Bangla!». Il Bangladesh era nato ma la suapresenza nel subcontinente portò all'ennesimo conflitto indo-pakistano. La sera del 5 dicembre gli Stati Uniti annullarono crediti per un valore di 171 milioni di dollari in favore dell'India che aveva da poco steso un trattato di assistenza ventennale con l'Unione Sovietica. Gli USA miravano ad un riequilibrio della regione in favore del Pakistan. La sera stessa gli aerei pakistani attaccarono dodici aeroporti militarti indiani. La risposta indiana fu fulminea ed in pochi giorni schiacciava l'esercito pakistano nel Bangladesh. Era un successo personale della politica del raj di Indira Ghandi.

Da questa terza guerra mai dichiarata il Pakistan uscì con la superficie, la popolazione ed il reddito dimezzati. Yahya si dimise ed al potere andò Bhutto.

Purtroppo anche Bhutto scivolò sul problema delle lezioni. Vennero mosse accuse di brogli, ricevendo in alcuni distretti più voti del totale dell'elettorato, mentre membri dell'opposizione erano spariti od erano morti in circostanze misteriose. All'inizio del "77 la mancanza di fiducia del paese verso la sua guida politica aveva creato nel Pakistan un tale stato di agitazione che il comandante in capo dell'esercito, il generale Zia-al-Haq (1917-1988) prese il potere il 5 luglio guidando un colpo di stato militare incruento seguito dall'arresto di Bhutto che venne processato e condannato a morte per impiccagione il 4 aprile "79.

La repubblica islamica del Pakistan, sotto la guida di Zia a partire dal 1980 si è mossa diplomaticamente più verso le altre nazioni musulmane del Medio oriente che sulla strada di una possibile pacificazione con l'India, anche se nel 1986 vi sono stati amichevoli colloqui fra Zia e Rajid Ghandi. Gli scontri in Kashmir sono continuati. Zia ha ospitato diverse volte la Conferenza Islamica Multinazionale e ne è stato eletto alla presidenza.

La guerra afghana e gli anni 90

Il conflitto russo-afghano ha coivolto il Pakistan in vari modi. L'invasione sovietica ha spinto più di due milioni di rifugiati nei campi profughi del Pakistan nord-occidentale e del Beluchistan, gravando enormemente sulla economia e sui servizi sociali. Il pakistan è inoltre stato dapprima il punto di passaggio di un'infinità di aiuti provenienti dal mondo occidentale e diretti alle varie fazioni della resistenza afghana. Il generale Zia ha cercato ripetutamente di controllare tutto il movimento di resistenza attraverso forti aiuti militari ed economici ad alcune fazioni. L'incidente aereo in cui è morto nel luglio dell'88, verosimilmente un attentato, non ha posto fine all'interesse del Pakistan nei confronti della situazione afghana.

Nel settembre 1988 si sono finalmente svolte libere elezioni che hanno visto il trionfo dell'opposizione, impersonata agli occhi dell'occidente da Benazir Bhutto, personaggio di attualità il cui impegno di primo ministro donna in un paese islamico non fu sicuramente facile. Il suo governo dovette affrontare numerosissimi problemi: da quelli di un'economia che stenta a crescere a quelli dell'opposizione dei mullah ad ogni innovazione, dalla resistenza dei vertici militari a sganciarsi dal conflitto afghano agli attriti fra le varie componenti etniche, dall'irrisolto conflitto indo-pakistano alla lotta fra le varie fazioni islamiche. Ben presto perse il potere, ma fu rieletta alle elezioni del 1993.
Durante il suo mandato, Benazir Bhutto viaggiò in diversi paesi, ma la dilagante corruzione politica contribuì ad allontanarla dal cuore del suo popolo.

Il Presidente Farooq Leghari nel 1996 le revocò la carica di primo ministro. Le elezioni del 1997 videro il ritorno del suo oppositore Nawaz Sharif. Ai test nucleari condotti dall'India, il Pakistan rispose con l'esplosione di cinque bombe atomiche nella regione del Baluchistan. Questa risposta provocò reazioni di condanna in tutto il mondo e le sanzioni internazionali rischiano di far precipitare l'economia.

Il colpo di stato di Aziz Pervez Musharraf

Aziz Pervez Musharraf è uno dei dirigenti del clan dei Sudhan, forte di 75mila elementi, noto per la sua solida tradizione religiosa e guerriera. Sono loro che controllano il distretto di Poonch, nella parte pakistana del Kashmir. All'inizio del 1999, il generale Aziz, grazie alle sue radici nel Kashmir, pianifica e organizza l'invasione della regione di Kargil, dal lato indiano della linea del cessate il fuoco. Prima e dopo la guerra in Afghanistan, ha sempre diretto le attività dei servizi segreti pakistani in questo paese. Ha organizzato campi di addestramento al confine tra Afghanistan e Pakistan per due reti di organizzazioni islamiste. Il più importante, Lashkar-e-Taiba, è formato per lo più da pakistani, ma anche da numerosi afghani membri della polizia politica dei taliban incaricata della repressione degli oppositori.
Il generale Pervez Musharraf commentando il suo colpo di stato dell'ottobre 1999 dichiarò di voler salvare un'economia disastrosa; depose Nawaz Sharif e prese il controllo delle istituzioni.

Gli ambigui legami del Pakistan

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Una approfondita analisi

In Pakistan, quale Islam per quale nazione?

Un articolo di di JEAN-LUC RACINE Direttore di ricerca al Cnrs (Centro di studi dell'India e dell'Asia meridionale). Autore di La question identitaire en Asie du Sud, Editions de l'Ehess, Parigi, 2001.


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