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[ Alto Dolpo 95 ] Una bimba in Himàlaya - Mustang (Nepal) ] Dal Kailash alla valle di Humla ] Percorso ]

Ultime Carovane
camminata in Alto Dolpo, terra de "Il leopardo delle nevi"

Alto Dolpo PDF ] leggi l'articolo in PDF

Adamello, 2° semestre 1983 - CAI Brescia (sfoglia l'intero numero in PDF)

di Marco Vasta
CAI Brescia e Avventure nel Mondo
(c) 1996

Padma Sambhava, il prezioso maestro che diffuse il Buddhismo tantrico dall'India al Tibet, preparò alcuni Bö Yul, paesi nascosti dove gli uomini onesti e pii si sarebbero rifugiati quando il male avrebbe minacciato il mondo.

 

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Tanti motivi per tornarci

Le tre valli dell'Alto Dolpo, assieme a quelle del Mustang e di Lii, furono veramente un rifugio per i Kampa che per decenni le trasformarono in santuari della guerriglia tibetana contro l'oppressione cinese (1) e la regione è stata riaperta al turismo solo nel 1994. Nell'estate del 95 con tre amici ho effettuato una lungo «pellegrinaggio himalayano» al monastero di Yang Tsher, a pochi chilometri dal confine con il Tibet. Per tre settimane siamo stati gli unici stranieri con il privilegio di camminare fra valli, valichi e villaggi.

Il percorso si snoda fra guglie rocciose e mammelloni erosi e spesso ci siamo trovati talmente in quota da poter ammirare grandi spazi fino all'orizzonte. Il monsone non ci ha disturbati, fra le nuvole ora candide ora plumbee, squarci di sole ravvivano i verdi, gli ambra, i rossi, tutta la policromia delle quinte di roccia che si accavallano e perdono verso il Tibet, onde di un mare senza fine. Terra scarsamente popolata, fuori dai grandi percorsi commerciali, limitata la presenza degli escursionisti per l'altissimo costo del permesso, l'Alto Dolpo è un mondo intatto dove puoi ancora immergerti nell'affascinante decadenza di templi e monasteri, centri di fede buddhista che qui ebbe una forte rinascita nel 17° secolo quando i lama del Dolpo erano consiglieri dei rajah di Jumla e Lo Montang.

Una lunga attesa

Dolpo è un «luogo» nella letteratura dei viaggi himalayani. Dopo l'apertura del Nepal nel 1949, il Basso Dolpo fu velocemente attraversato da Tucci nel 1953 mentre l'Alto Dolpo venne raggiunto solo da Tony Hagen, dal botanico Polomin e nel 1956 da David L. Snellgrove che in «Himalayan Pilgrimage» racconta i sette mesi trascorsi nelle aree di cultura tibetana del Nepal occidentale e centrale. Con il suo libro nacque il mito del Bö yul, il paese nascosto, dove le pratiche sciamaniche pre-buddhiste del rito bön sopravvivevano nei monasteri di Pungmo, Ringmo e Samling. Quando Peter Matthiessen pubblicò «Il leopardo delle Nevi», sognammo queste valli isolate: Shey Gompa e la «montagna di cristallo» erano l'ennesima identificazione di Shangri-la raggiunta da pochi eletti.

L'Alto Dolpo è stato il mio diciassettesimo viaggio in Himalaya, quello che più mi ha coinvolto in un complessa programmazione. Non esistevano guide, pubblicazioni o articoli che presentassero il percorso fino ad Yang Tsher. Con pazienza, assieme all'amico Piero Piazza, abbiamo riletto i diari di viaggio dei nostri precursori, confrontato le fotografie, annotato ogni loro spostamento. Ne è nato un itinerario su sentieri non segnati sull'unica carta della zona, basata sulle rilevazioni indiane del 1927 e di cui siamo riusciti ad individuare gli errori studiando il tutto a tavolino (2)!

Una flora rigogliosa

Il Parco Nazionale Shey - Poko Sumdo forma una delle maggiori riserve naturali del Nepal. Istituito nel 1984, ha una superficie di 3.555 km2 ed è caratterizzato da un interessante ecosistema himalayano. Popolato da specie rare come il leopardo delle nevi, il lupo, la volpe himalayana e il cervo muschiato, il Parco ospita anche bharam (pecora azzurra), thar, goral e serow. Esemplari difficilmente avvicinabili e l'unico incontro l'abbiamo avuto con due maestose aquile dorate ma l'Himalaya ci ha ricompensati con lo splendore di una fioritura sorprendente. Abbiamo attraversato quattro ambienti differenti: la media montagna con boschi e pascoli, il deserto verticale trans-himalayano con le oasi dei villaggi, l'alta quota con tundra e rocce e il microclima del Phoko Sumdo dove l'aria fredda dei ghiacciai del Kanjiroba, che scendono fino a trecento metri dal lago, favorisce l'accostamento inusuale di piante tropicali e flora di alta montagna.

Basso Dolpo: un piacevole passaggio obbligato

I passi in alta quota in una zona prossima al tavoliere tibetano, il difficile orientamento, l'impossibilità di appoggiarsi logisticamente ai villaggi, anziché scoraggiarci hanno reso ancor più attraente il trekking. I fotografi Valli e Summers lo hanno affrontato con la figlia di soli quattro anni ma non si devono sottovalutare le difficoltà (3). I valichi possono presentarsi innevati fino a stagione inoltrata. Le piogge monsoniche toccano marginalmente il Dolpo ma nevicate e grandinate improvvise colpiscono i passi in quota anche in estate.

Da Kathmandu in volo a Jupal (2.500m). Qui ci aspetta lo staff di sherpa con mr. Ang Choter ed il cuoco Tilly che dal 1989 accompagnano i nostri gruppi sui sentieri del Basso Dolpo. Scendiamo a Dunai (2.200m), capitale amministrativa, sui cui tetti a terrazza sono esposte le statue dei dhauliya, gli dei protettori, «genii loci» assimilati dall'Hinduismo. Le statue sono intagliate nel legno e di fattura molto semplice. Accanto ai nuovi edifici coperti da ondulina, generalmente uffici amministrativi e scuole, il villaggio è composto da case tradizionali nepalesi con un portichetto centrale sovrastato da un balcone e tetti a quattro spioventi coperti da lastre di pietra. Sia all’interno dell’abitato che nei pressi sorgono alcune cappelle, probabilmente dedicate a Masta, divinità della valle inserita nel Pantheon dell’Hinduismo nepalese. Sono semplici edifici quadrati con tetti spioventi e scarso arredo all’interno. Edifici simili si trovano presso alcune case e sono le cappelle di famiglia.

Siamo nella valle Tichurong che con Tarap e Phoko Sumdo forma il Basso Dolpo(4), terra di confine fra i Magar hinduisti ed i Tibetani buddhisti e bön degli altopiani. Risaliamo la valle incassata seguendo le sponde del fiume Bheri ed ecco Taurikot (2.800m), antica capitale di un piccolo regno annesso dai Gorka nel 1700. Il villaggio comprende vari insediamenti, disposti sulle terrazze che la pazienza degli uomini ha ricavato sul versante settentrionale della Catena del Dhaulagiri, il gigante di 8.000 metri che veglia su queste valli (5).

Per acclimatarsi è consigliabile una visita dei templi sparsi nelle frazioni di Dzong (il forte), Ba (nep. Sartara), Tup (nep. Tupara) e Dri'kung (nep. Densa) con il tempio di Dar-sa [centro di diffusione (della dottrina)], il maggior tempio del Tichurong. Da Dzong un'ora di salita porta alla frazione di Dri-k'ung. Localmente è anche chiamato semplicemente «gompa». Per quanto misero Dri-k'ung Gonpa permette, a chi voglia avvicinarsi all’iconografia vajrayana, di individuare sulle pareti spoglie alcune immagini: Padma Sambhava, Il Glorioso gentile, Chenrezi. All’interno vi è anche la Cappella sRung khan [stanza dei difensori (della fede)] con Mahakala, e la Dakini dalla testa di leone (Senge gDongma), in fondo alla cappella vi è il sanctum con una statua in bronzo di Akshobya, l’ imperturbabile, ma non è sempre possibile entrarvi. Il tempio venne ricostruito nel 1951 dal Rimpoché di Shang, protagonista dell’epopea di Snellgrove e che tanto fece per il Dolpo.

Lasciata Dunhai, i declivi sono nuovamente coperti da un fitto bosco e non sono più brulli e spelati dai tagli che l’antropizzazione ha comportato nella parte più bassa della valle. Il sentiero continua in saliscendi, valicando piccoli torrenti e, seguendo sempre il corso del Bheri ora chiamato Barbung Chu, giungiamo alla confluenza con il Tarap Chu sorvegliata dall’ultimo posto di controllo della polizia. La località è indicata come Kani Gaon ma il villaggio è posizionato in punti diversi sulle varie carte. L’unica cosa certa è che qui sorge Sandul gompa (lett. Pacificatore della terra). Alle spalle della caserma un sentiero conduce ai gompa di Kane e di Pär-le (Monastero della svastica nel bosco dei ginepri).

Fra gigantesche conifere ci avviamo sulla «via dei ponti» ora in gran parte sostituita da un sentiero, molto esposto, che evita guadi in fondovalle e che per la sua difficoltà è percorsa solo dalle carovane composte da capre che ricevono il carico a Dunhai, dove giunge con i cavalli o per via aerea, e lo trasportano in tre giorni a Tarap. Lungo il percorso Lahini e e Muwar Pani sono toponimi che indicano alcuni pascoli, punti di sosta per le carovane che giunte a Kamot Karka vengono ricomposte con yak. Man mano che procediamo il paesaggio muta e, lasciate le ombrose fronde dei boschi, attraversiamo dapprima verdi pendii, spesso ripidissimi ed a strapiombo sul torrente, che pian piano cedono il posto ai versanti brulli e rocciosi che si levano fino a vette di oltre cinquemila metri. La scelta della stagione monsonica si rivela sempre più appropriata: oltre ad una flora al massimo del rigoglio, questo è il periodo sia delle carovane.

Al termine del quinto giorno di marcia, dopo l’ennesimo saliscendi per aggirare una gola impenetrabile, un chorten indica il nostro avvicinarci alla méta ed all’indomani siamo in vista dell’ampia conca di Tarap (4.000m) composta da numerose frazioni e templi.

Tarap, una valle in Himalaya

All’estremità meridionale della conca vi è la confluenza con un torrente che proviene da oriente. E’ attraverso questa valle laterale che si possono raggiungere Tsarka (6), Sandakh e Kagbeni. Obbligatoria una breve escursione al villaggio di Do-ro, l'insediamento più ad est del gruppo di frazioni conosciuto come Tarap. Poche case ed un tempietto Nyingma-pa. Sull'altra sponda del torrente (sin. or) sorge il monastero bön di Sh'ip-chhok (Zhib-phogs), un tempio e un gruppo di case dove alcuni lama bön-po risiedono con le famiglie.

Ad un duecento metri dal villaggio di Dho, su un pendio che guarda verso sud, vi è un piccolo gompa Sakya affidato ora ad un lama Nyingma-pa. Il tempio è disposto al piano terreno dell’edificio ed è abbastanza disadorno. L’attuale lama è nipote dell’accompagnatore di Corneille Jest ed la copertina del libro dell’antropologo francese è deposta sull’altare princiopale accanto una foto del Dalai Lama.Vi è anche una cappella a forma di chorten che contiene un... chorten. Da questo punto panoramico dominiamo la valle principale, disposta da nord ovest a sud est, che in questo punto volta verso sud in direzione di Sandul.

All’estremità settentrionale di Dho la pista passa attraverso due chorten-kani, uno Bön ed uno Nyingma-pa ed in un paio di chilometri raggiunge la Cristal Mountain School, scuola patrocinata dal Club Alpino Francese (7). Ed eccoci a Kakar [Ga-ka (Gad-dKar). Purtroppo non possiamo incontrare lama Shyabs che accolse Snellgrove nel 63, il religioso è deceduto a metà di giugno. La frazione è forse la più suggestiva con il suo gompa disposto lungo una cresta che scende verso il villaggio (8). Procedendo si raggiunge la frazione di Ciumag (Uma, Ciumaga). A monte di Ciumaga vi è un secondo ponte che porta a Chamba Gompa. Ancora più a monte vi sono le case di Tok-khyu. [Tok, superiore, Khyu, scorre («Survey of India»: Atali)].

La conca di Tarap segna l'ingresso in un nuovo ambiente, quello dei villaggi tibetani. È un mondo a parte che gravita maggiormente verso l'Alto Dolpo e la Kali Gandaki ed ha legami solo commerciali con il Tichurong appena attraversato. Dalla frazione di Tok-khyu proseguiamo in una valletta laterale(9) e, attraverso il Janga-la (5.200m), ci affacciamo sulla nostra méta.

Attraverso l’Alto Dolpo fino a Yang Tsher

Se la conca di Tarap, circondata da montagne relativamente basse, sembra un catino appeso sotto il cielo, quando raggiungiamo il Jenga-la siamo talemente in alto rispetto all’orizonte che ci sembra di navigare alti fra le nuvole. L’Alto Dolpo si apre sotto di noi e lo sguardo spazia aldilà di vette, alcune più basse del valico, oltre le quali intuiamo i vasti spazi dell’acrocoro tibetano. A due giorni di marcia da Tarap incontriamo i primi insediamenti ed entriamo in un fantastico ambiente fra gli ocra e i gialli delle montagne e il verde smeraldo dei campi d'orzo. E già il primo incontro ci lascia stupefatti: nella stretta gola dell’alto Namg Kong, in crocchi di quindici, venti personaggi, troviamo oltre duecento Dolpa che stanno riposando dalla corvee di manutenzione del sentiero. La sorpresa è reciproca. Donne, bimbi, uomini dagli alpeggi più remoti che non hanno mai visto uno straniero. Anna, la dottoressa del nostra spedizione, è sicuramente il personaggio che più attira l’attenzione di giovani ed anziane Dolpa ma ogni incontro sarà sempre una novità come quello con il venerabile Rimpoché di Tara Gompa che da Nuova Delhi, sta tornando al Kailash dove ritiene di giungere in circa 17 giorni oppure con l’allegra brigata di monaci e suore che si stanno dirigendo a Kathmandu approfittando dell’estate.

La valle di Namg Kong con Tsa, Namdo e Saldang è un prezioso gioiello, una collana tibetana dove il turchese delle oasi si alterna ai rosso amaranto dei tempietti, piccole e semplici gemme costruite dalla fede. Incontriamo donne al lavoro nei campi, carpentieri e muratori, monaci e mercanti. Sulla pista transitano carovane di dieci, quindici yak, ognuno bardato con fiocchi rossi. Il carico è imballato in rustici sacchi a righe nere e marron. Sui tetti o nei cortiletti, scorgiamo donne intente a tessere la ruvida stoffa dei sacchi od i colorati grembiali caratteristici delle donne tibetane. Il primo insediamento di una certa consistenza è la minuscola oasi Tsa di fronte alla quale, su un dirupo, si erge il monastero di Hrap, fondato dal lama «Intelletto Glorioso». Procediamo fino alle poche case di Shogu (Namdosibu? Sibu?). e di fronte a noi scorgiamo il minuscolo tempio di bDa-chen-bla-brang (residenza di grande felicità) raggiungibile con un ponticello.Gli edifici sono colorati in rosso e sorgono contro la parete di una collinetta posta fra il fiume ed una valletta che scende dai grandi declivi della montagna che divide Nang-khong da Ban-tshang. Vi sono alcuni recinti per gli animali, alcuni pioppi e un minuscolo mulino sul torrentello che scende verso il fiume (10).

Raggiungiamo così Namdo che, fra i villaggi attraversati è quello che ha il maggior numero di campi disposti su un unico terrazzo. Vi troviamo un boschetto di pochi alberi in un recinto di circa dieci metri di lato e tre chorten alti fra i cinque e gli otto metri. Più in alto di Namdo, sul pendio opposto della valle (destra orografica) sorge bTsang-khang. Alla fine della giornata la pista entra nella conca di Saldang che scende da nord-ovest ed ospita i villaggi di Saldang e Karang (11).

Saliamo verso Saldang ed incontriamo un chorten kani circondato da altri chorten minori, sul soffitto del corridoio è ancora visisbile un «mandala di gran lucentezza». Il chorten preannuncia Saldang Gompa, purtroppo il tempio Sakya-pa è chiuso. Più a monte bussiamo ad un altro tempio, un ospitale monaco ci riceve e nei suoi lineamenti riconosciamo un Dolpa fotografato da Eric Valli. Incontrare questo personaggio, comparso su una pubblicazione che ci ha affascinato e spinto verso questi luoghi, ci fa sentire ormai immersi nel Bo Yul.

Da Saldang in mezza giornata di cammino conduce a Yang-tsher. La pista corre in saliscendi, passando sotto ai villaggi di Ti-ling e di Kyi di cui scorgiamo il gompa alla testata di una ripida valletta laterale. D’alto dell’ultimo penoso saliscendi scorgiamo Do-Ra Sumdo, la confluenza della valle di Nang-Khong (il rifugio interno) con la più orientale valle di Ban-tshanh (Panzang) (12). E’ un luogo brullo ed i tre diruti chorten, molto alti con camera sottostante, assieme ad alcuni mendong. sono muti testimoni di una terra desolata e senza tempo. Non riusciamo ad immaginarli candidi e dipinti ma ci sembra che siano stati costruiti già diroccati e così destinati a restare in eterno. La portata del Panzang Chu è notevole poiché raccoglie le acque dei versanti meridionali dell’acrocoro, da qui continua la sua corsa verso ovest, scorrendo fra la catena del Kanjroba Himal e l'altopiano tibetano attraverso gole impenetrabili che sigillano l’Alto Dolpo ad occidente.

Lontano ed in alto il grande chorten di Yang-Tsher segnala la méta. Fra ponti, chorteh e muri mani si sale in un paio d'ore a Nyisal («Survey of India»: Nisagaon) ed infine a Yang Tsher, il monastero più a settentrione ed anche il maggiore della regione. Per i carovanieri è ultima tappa prima del valico verso il Tibet. Sotto un cielo terso abbiamo la sensazione di essere al termine di ogni percorso. Eppure Yang Tsher non è «finis terrae», potrebbe essere l'inizio di nuove avventure verso l’altopiano o nella valle del Panzang Chu per poi passare a Sandak nell'Alto Barbung e raggiungere Kagbeni e il Mustang.

Yang-Tsher (gYas-mtsher, lett. insediamento sulla destra) è il nome locale dato al monastero costruito circa 600 anni fa. Il gompa si chiama Isola della Illuminazione, Chan Chub ling (byang-chub gling) (13), un nome classico per i monasteri lamaisti;, e venne fondato da lama Buono e glorioso protettore della religione. Ancora più a monte vi sono l'eremo di Margom, fondato dal lama Intelletto meritevole, ed una fila di chorten. Il complesso sorge su una spianata un centinaio di metri sopra il fiume ed un gran muro di cinta in pietra racchiude tre templi, gli edifici delle cucine comuni, l’abitazione del sagrestano e il Tempio delle suore (chos-mo'i lha-khang). Ma più che i modesti edifici religiosi o la mezza dozzina di casupole sul pendio a monte, ciò che attrae l’attenzione sono il grande chorten, lo spiazzo con file di muri mani e i nove chorten, allineati sul muro meridionale, verso il fiume. Il monastero è chiuso(*) ma noi visitiamo un gompa Nyngma-pa che si trova venti metri ad est del tempio principale e che non è descritto in "Himalayan Pilgrimage".

Genti di montagna

Poche centinaia di persone vivono stabilmente nei villaggi dell'Alto Dolpo, posti sopra i 4.000 metri. L'unico cereale della zona è l'orzo che fornisce l'onnipresente tsampa. La gente, di cultura tibetana, può essere divisa in rung-pa, agricoltori delle valli, e drog-pa cioè nomadi. Vestono l'abito tradizionale tibetano, una tonaca aperta sul davanti a falde sovrapposte, con stoffa filata in casa, lavorando lana di capra, e tinta con colori vegetali che conferiscono un inconfondibile color mattone scuro. Amuleti e collane abbondano al collo di uomini e donne.

Isolati dal lungo inverno himalayano, i Dolpa-pa mantengono intatta la loro identità culturale, vivendo di pastorizia, agricoltura e baratto. In estate le carovane di yak e pecore percorrono le valli su un tracciato commerciale che attraversa l'Himalaya e consente gli scambi non solo di merci ma anche di idee fra l'altopiano tibetano e le valli del Nepal. Dapprima i cavalli dalle pianure fino al Basso Dolpo, poi le capre dal Tichurong a Tarap, infine gli yak che raggiungono il Tibet attraverso l'Alto Dolpo. I carichi vanno e vengono su piste che affrontano continui dislivelli. Oggetti, orzo, grano riso, spezie, in salita. Salgemma e lana in discesa.

La TV via satellite ha cancellato ogni distanza in quasi tutta l'Himalaya ma qui non ci sono centraline elettriche, generatori, radio o televisori, i Dolpa sono rimasti gente semplice con pochissima nozione del mondo aldilà delle montagne e la nostra presenza non sembrava turbarli più di tanto anche se non sono avvezzi ai turisti. Non vi è quella maliziosa insistenza nel vendere oggetti di uso comune o arredi sacri che ormai affligge chi si reca nel confinante Mustang. Laggiù, sulla grande carovaniera, abituati da secoli ai grandi traffici, gli abitanti hanno ottenuto che un terzo dei 700 dollari di permesso pagati da ogni turista sia versato alle loro regione. Difficilmente la comunità del Dolpo riuscirà ad avanzare la stessa richiesta al governo centrale.

I dialoghi con gli abitanti sono stati favoriti dall'ufficiale di collegamento, entusiata del viaggio e desideroso di conoscere anch'egli il paese. Mr. Z.P. anticipava le nostre domande e curiosità chiedendo informazioni molto semplici che non urtassero la naturale diffidenza dei montanari. Molti Dolpa-pa non comprendevano il nepalese ed allora interveniva mr. Ang, il sirdar, che dialogava in lingua sherpa affine al dialetto locale.

Fra lama e maghi Bön

Ma altri giorni ci aspettano, sempre intesi e ricchi di nuove esperienze. Prossima meta è Namgung(15) che sorge anch'esso sulla confluenza con piccola gola che scende da settentrione e che lo divide in due. Il tempio è costruito contro la parete. E' un vecchio tempio ed è significativo che abbia dato il nome a tutta la vallata. Namgung Gonpa era un gompa Kagyupa ma ormai è crollato. Somar Gonpa di Nangung (16), salendo la parete e scendendo poi la traccia lungo la gola si incontra un altro tempio. Il tempio sembrava nuovo nel 1956 ed è Nyingma-pa. Sarebbe stato costruito nel 1945 dal lama di Shang ed è occupato (1956 da un suo discepolo di Mugo). Questo potrebbe essere il monastero segnato sulla carta di Snellgrove come il tempio di Brag-gyam (Tr'a-gyam) dove era esposto il corpo mummificato del venerabile lama di Shang trasportata ora a Pokara.

La grande pista commerciale da Saldang comduce verso lo spartiaccque con la valle del Sibu Chu e, senza scendere a Shey, prosegue verso sud raggiungendo o Tarap o Poko Sumdo (17). Percorrendola ci si alza sempre più di quota ed ancora una volta sembra di navigare alti nel cielo. Al passo di Shey (5.000m), la natura ci gratifica anche con un prodigio semplice come l'inaspettato giacimento di fossili che occupa tutto il valico mentre, in questa giornata di grazia, di fronte a noi si staglia la bastionata dei Kanjroba ed alle nostre spalle, lontanissimi nell'azzurro cupo dell'alta quota, riconosciamo le vette del Mustang, il Tilicho e il complesso degli Annapurna.

Arriviamo così a Shey Gompa, (3.800m) costruito di fronte alla montagna di cristallo. Siamo nella terza delle tre valli dell'Alto Dolpo, quella del Sibu Chu, su cui si affacciano le terrazze del monastero, ed anche questo potrebbe essere l'inizio di altre avventure himalayane ma, devo confessarlo, il Gompa è deludente, non ha quel senso di sacralità e di antico luogo di culto che abbiamo percepito a Yangtsher.

Un altro passo ci divide dall’ultima parte del viaggio e non sarà facile raggiungere Ringmo in tre giorni. Abbiamo assunto come guida un cercatore di erbe per la medicina ayurvedica. Il passo è chiamato dalla nostra guida Chu-rang la (dal nome del fiume sopra Shey che lui chiama Chu - rang) (18). Aldilà ci affacciamo su una valle di origine glaciale. La disposizione delle valli è intricata e comprendo come Matthiessen si sia perso fra gole, cupoloni sabbiosi e nevai. Il sentiero è pericoloso e mal tracciato infatti le carovane non lo percorrono. Costeggiamo il versante orientale della catena del Kanjiroba con il Kanjeruwa che si riflette nel Phoko Sumdo, gemma turchese fra picchi innevati. Non è possibile contornare tutto il lago, incassato fra ripide pareti. Solo un aereo tracciato si inerpica sulla sponda occidentale. Scavato nella parete, il sentiero è fra i più spettacolari dell'Himalaya. Dove non si è potuto aprire un varco sono stati piantati dei pali nella roccia e la passerella procede sospesa sopra le acque del lago (19).

Sulla riva meridionale visitiamo il gompa di Ringmo (3.600m) ormai in piena decadenza. Qui incontriamo gli ultimi sacerdoti del Bön, religione poco conosciuta, sviluppatasi nel Tibet occidentale contemporaneamente al Lamaismo affermatosi poi su tutto il Tibet. I libri sacri sono segreti e si sussussurra che i Bön-po pratichino la magia nera. Nei templi intravediamo le raffigurazioni delle divinità Bön: il maestro Shen-rab, Shen bianca luce, il Puro 10.000 volte 100.000, la dea madre Sa-trik, Dart, Ganacakra e la Guida del cielo. Anche la liturgia, come il Pantheon, è simile a tutto il rituale del Buddhismo tibetano. Per noi profani l’unica differenza evidente sta nella svastica, antico simbolo solare dell'Hinduismo, raffigurata con sviluppo in senso antiorario al contrario di quella lamaista. Uguale è il comportamento nella deambulazione attorno agli edifici sacri, piccoli o grandi che siano. Quanto poi alla forma di saluto

a a dkar sa le 'od a yang om
om ma tri mu ye sale 'du

il significato rimane oscuro anche al fedele come lo è il ben più diffuso om mane padme om.

Quello che a Ringmo invece più sorprende è che il complesso ha una disposizione inusuale per l'architettura monastica tibetana e ricorda molto l'impianto delle Certose. Ogni lama aveva la sua casa con al pianterreno il piccolo laboratorio artigiano, al primo piano la cappella privata ed all'ultimo le stanze di residenza con una terrazza coperta. Solo tre case tempio sono ancora abitate. Una grande fessura ha spaccato a metà uno dei templi maggiori. Tutto sta ormai crollando...
Entro pochi anni il Bö Yul non sarà più un affascinante rifugio. Per questo voglio tornare ed immergermi ancora una volta in questo mondo che si sta dissolvendo.

Alto e Basso Dolpo: Bibliografia

Partecipanti

[1] ) Il Nepal si mantenne neutrale fino al 1973 quando, cambiata la politica USA e gli appoggi della CIA e di Formosa, i Kampa vennero lasciati al loro destino. Militari nepalesi tesero una imboscata a Wangdi, capo guerrigliero, presso il Nara la (Humla) e lo uccisero. (torna al testo)

[2] Attualmente l’unica carta che ha corretto l’errore è la Carta Mandala Jomosom to Jumla ed. 1995-96 che peraltro riporta non correttamente alcuni sentieri che abbiamo percorso.  (torna al testo)

[3] L’esperienza, riportata in National Geografic, december 1993, ha loro permesso la pubblicazione di un ennesimo libro fotografico.  (torna al testo)

[4] Per la grafia dei toponimi usiamo gli elenchi comparativi preparati da Snellgrove per Himalayan Pilgrimage con le correzioni apportate in Four lamas of Dolpo.  (torna al testo)

[5] Il villaggio è spesso indicato come tibetano, in realtà è composto da famiglie di Magar, una etnia nepalese. Un accurato studio dell’insediamento è in Fischer, James F., Trans-Himalayan Traders, Univ. of California, 1986.  (torna al testo)

[6] Tsarka è l’unico villaggio abitato dell’Alto Dolpo che presenta traccia di fortificazioni. Nel 1903 Ekai Kawaguchi, primo straniero nella regione, giunse a Tsarka aggirando così la frontiera di Lo Montang e prosegui per il sacro monte Kailash.  (torna al testo)

[7] Contattare Mme. Marie Claire Gentric, Action Dolpo, C.A.F. Ilde de France, av Laumiere 26 Paris.  (torna al testo)

[8] Vi è un sentiero riva destrache non ho verificato. Riporto le indicazioni forniteci integrate da alcune letture. Un ponte all'altezza di Kakar Gompa porta sulla destra orografica ed ala frazione di Modro. Proseguendo si giunge al Chamba Lhakhang (byams-pa lha- khang), un tempio costruito negli anni 50 e dedicato a Maytreya. Il tempio si trova sulla destra proprio sotto il sovrastante villaggio di Tok-khyu. Per Jest ("The tales of the tourquise" pag.7) della costruzione originale rimarrebbero solo otto chorten  protetti da una costruzione rettangolare. Nell'entrata ruota della vita, guardiani delle quattro direzioni e tradizionali simboli di lunga vita: l'anziano con le offerte, il teschio, il pino, la roccia, la cascata e l'unicorno. Dhukhang (cappella delle riunioni) con statua di Maitreya. Una sola finestra ("The tales of the tourquise"  custode è Jamyang). Più a monte le case di Kaite. Salendo si incontra il monastero di Kun-bzang chos-ling (isola completamente buona della dottrina). Forse il Jaglung di Gondoni. Poco oltre si incontra il «ponte» che viene da Sharing Gompa.  (torna al testo)

[9] Da Tok-khyu il sentiero prosegue verso Shey e verso il lago Poko Sumdo. In quest’ultima eventualità si chiude l’anello che attraversa tutto il basso Dolpo. Riporto la descrizione fattami dalla Guida Alpina Gianni Pasinetti.
Salendo si arriva ai pascoli di Sharing Drong, proprietà del villaggio di Kagar. Vi sarebbe un tempietto detto appunto «Sharing Drong».  (torna al testo)

[10] Lungo il percorso brevi deviazioni conducono al monastero di Sham-tr'ak (shel-brag) che contiene poche immagini e tanka; al «monastero di Zel» [Sal Gompa (gsal dgon-pa: gsal = pulito - puro descritto da Snellgrove in «Himalayan Pilgrimage» pag. 103 e 137)].  (torna al testo)

[11] Non ci è stato possibile visitare né il villaggio posto di fronte a Saldang sulla destra orografica né Karang, con il tempio di dPal-sdings, posta sul sentiero da Saldang al gompa di Samling. Saldang è descritta da Snellgrove in «Himalayan Pilgrimage» a pagina 107. In Four Lamas of Dolpo pag.48 fornisce una nuova grafia di Saldang: Sa-ldang.  (torna al testo)

[12] Il sentiero prosegue lungo la sponda sinistra e in alto a ovest sopra il sentiero si scorge il villaggio di Lho-ri (torna al testo)

[13] Jacdish Behari Lal  e Lalbir Singh Thapa del  «Survey of India» lo posizionarono come Yanjar gompa dove invece sorge Sh'ung-Tsher (Scian scier) sulla sinistra a valle della confluenza fra Panzang («Survey of India»: Panjang Khola) e Namgun Chu («Survey of India»: Namgung Khola). L'errore è ripetuto anche nella carta carta «Mandala 90-91» ed in quella di Gondoni. Corretta è la carta Mandala ed. 95-96.  (torna al testo)

[14] Per una descrizione degli interni rimando a Snellgrove, Himalayan Pilgrimage, pp 85 e 110.  In Four Lamas of Dolpo nella foto 33 viene mostrata una parte in legno lavorato con le nicchie che ospitano, nella fascia centrale un Sakyamuni in padma-asana con la mano destra "a testimone" affiancato dalle nicchie di due divinità in piedi. Alla sua destra "Dorje in mano" (Vajra-pani = Phyag-na rdo-rje) ed a sinistra "Loto in mano" (Padma-pani).  (torna al testo)

[15] Vi sono due percorsi uno da Saldang alta che aggira in quota la costola che divide la conca di Saldang da quella di Namgung ed uno che risale tutta la gola di Namgung partendo dalla confluenza vicono a Saldang.  (torna al testo)

[16] «Himalayan Pilgrimage» pag. 79.  (torna al testo)

[17] Da gNamgung, il prof. Snellgrove procedette verso Shey nel primo viaggio del 1956. In "Four Lamas of Dolpo" indica un giorno fino a Samling.  (torna al testo)

[18] Sulle carte è segnato come Shey pass (5.200m) ma anche «Sebu la » (talvolta detto «Kang la», toponimo che costella l'Himalaya poiché significa «valico innevato», Snellgrove lo chiama Poko Sumdo pass. Matthiesssen in "The Snow leopard" racconta di aver affrontato due valichi e ritiene che Snelgrove ne avvese dimentica uno. In realtà era Matthiessen ad aver sbagliato strada.  (torna al testo)

[19] Per la descrizione della valle del Suli Gad rimando al percorso. Da Ringmo al Poko Sumdo N.P. Head Quarter vi sono due sentieri: uno sulla destra orografica, uno sulla sinistra orografica che porta a Murwa dove si unisce alla pista che scende dalla congiunzione dei sentieri da Shey, Saldang e Tarap per poi finire presso il ponte del Chek point sotto Pungmo. La valle del Suli Gad è boscosa  con numerosi piccoli insediamenti stagionali. Il percorso verso Dunahi è stato modificato nel corso degli ultimi anni ed il sentiero evita le due lunghe risalite e non tocca più il villaggio di Roha. Dei chautara, i sedile in pietra eretti per il riposo dei viaggiatori ed in onore dei defunti non si trova più traccia mentre è da segnalare, quasi allo sbocco della valle, un laptche che ha una base quadrata e quattro piccole aperture. Probabilmente è hinduista e dedicato a Masta. Poco più a valle è ancora eretta una stele con iscirzioni in lingua non nepalese.  (torna al testo)