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Kanrimpoché,
gemma preziosa
delle nevi
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All'alba
dei tempi, quando i primi saddhu attraversarono l'Himàlaya e si
affacciarono sul plateau tibetano, ai loro occhi apparve una slanciata
piramide innevata. Giochi di luce ed ombra tracciavano il simbolo del sole
sulla parete di cristallo: erano giunti al Monte Meru, il mitico asse del
mondo. Per gli Hindu la montagna riproduce il linga di Shiva. Per i fedeli
del Vajrayana essa è il monte Tisé o Kan Rimpoché,
il gioiello delle nevi. Per i viaggiatori è l'epitome di ogni montagna
sacra, ma perché proprio questa e non un'altra? In Himàlaya
si innalzano vette più massicce e ben più alte... Una risposta
la troviamo negli scritti dell'ultimo occidentale che vi giunse in pellegrinaggio
prima che l'invasione cinese bloccasse per ventidue anni ogni accesso di
stranieri.
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Ne "La
via delle nuvole bianche" Lama Anagarika Govinda spiega perché una
montagna diviene sacra. Alcune cime sono ammassi di rocce - egli sostiene
- ma altre sono di più: hanno una personalità dalla quale
traggono una forza che attrae gli uomini. La personalità consiste
in qualità come la consistenza, l'armonia e una singolarità
di carattere. Quando queste qualità si concentrano in un essere
umano egli diviene un grande personaggio, un imperatore o un saggio, come
il Signore Buddha. Quando si manifestano in una montagna essa si trasforma
in un contenitore di potere cosmico. Ma perché il Kailash occupa
una posto così preminente fra le montagne del mondo?
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Non solo è il punto di intersezione fra due delle più importanti
culture, quella cinese e quella indiana ma è anche il luogo più
alto del plateau tibetano, uno slancio fisico verso il cielo. Qui nascono
anche i grandi fiumi che, scorrendo nelle quattro direzioni, simbolizzano
i legami religiosi fra India e Tibet e due di essi, Indo e Brahamaputra
racchiudono il subcontinente indiano in un gigantesco abbraccio. Lama Govinda
enumera le associazioni spirituali di Hindu e seguaci del Dharma con il
Kailash. Per quest'ultimi il Monte è il gigantesco mandala dei Dhyani
Buddha e Bodhisatva descritto nel Tantra di Demciog: il "mandala della
sublime benedizione"; il vicino Manasarovar è il lago Anavapatta
della tradizione buddhista. E come ogni tempio hinduista ha la sua cisterna
dove il fedele si immerge, così ai piedi del Kailash si adagiano
il Manasarovar, solare, maschile e luminoso, ed il Raksha Tal (lett. lago
dei demoni) lunare, scuro e femminile. Anagarika significa senza casa,
nome appropriato per un cercatore spirituale che respinge il concetto di
"conquistare un cima": è la montagna che conquista l'uomo. Lama
Govinda compì il rituale percorso attorno al Kailash e per poi raggiungere
le città ormai dirute di Toling e Tsaparang che tuttora racchiudono
preziosi affreschi, veri gioielli dell'arte tibetana.
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Dal 1981
il governo cinese autorizza ogni anno una yatra dall'India. Trenta fortunati
vengono estratti fra le migliaia di postulanti al pellegrinaggio.
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Per tutti gli altri stranieri la via del Kailash è più semplice.
Una pista risale l'ampia valle del Brahamaputra: più di millecinquecento
chilometri fra pascoli costellati di armenti e tende di nomadi, costeggiando
le scintillanti vette dell'Himàlaya ed infine, valicato il passo
Mayum, ecco apparire la grande piana dove si adagia il lago Manasarovar
con a sud il grande monte Gurla Mandatha ed a settentrione, elegante e
splendente, il sacro Kailash. Dal villaggio di Tarchen, alla base della
montagna, all'alba, decine di pellegrini ogni età iniziano il kora,
il periplo del Kan Rimpocé che compiranno in un paio di giorni.
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Ognuno
lo affronta come vuole, alcuni cantando, altri recitando mantra, altri
progrediscono con la triplice prostrazione e impiegheranno alcune settimane
a ritornare. Alcuni pellegrini camminano, soli concentrati sulle preghiere;
altri procedono festanti in compagnie liete e felici di aver finalmente
raggiunto queste valli. I genitori mostrano ai bambini i luoghi legati
alle vicende di Milarepa ed alle saghe di Gesar di Ling. Tutti sostano
nei tre gompa e venerano le immagini salvate dalla furia delle guardie
rosse. Per quanto la quota possa sembrare alta, il sentiero si snoda facile
ed i pellegrini proseguono nell'aria cristallina, raggiungendo infine il
Dolma-la. Chi compie centootto kora entrerà direttamente nel nirvana
ed a Darchen alcuni tibetani trascorrono l'ultima vita votati a quest'obiettivo.
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Ma i 5.600 metri del valico non sono un punto di arrivo; da qui, per
tutti, praticanti del Dharma o viaggiatori, credenti o atei radicali, inizia
qualcosa di nuovo perché - ci ricorda lama Govinda -
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pubblicato su "Occidente buddhista"