Un punto di riferimento iniziale può essere l’invasione guidata da Alessandro il Grande che arrivò fino al Punjab verso il 326 a.C.. Nel Kashmir non vi sono tribù che si proclamano discendenti dai suoi guerrieri ma sicuramente la regione subi l’influsso, soprattutto artistico, dei suoi successori Seleucidi e l’arte di Ghandara, capitale dello Swat, influenzò la costruzione degli edifici sacri locali. Anche l’impero del grande Ashoka patrono delle missioni buddhiste, fra il 273 ed il 236 a.C. inglobò il Kashmir come ci ricordano i templi costruiti da Jaluka in onore del grande concilio buddhista. Parti e Saka invasero il Kashmir, ma fu un dominio relativamente breve cui segui l’insediarsi delle dinastie Kushanidi alle quali appartengono il sovrano Kanishka ed altri satrapi, fino a quando la dinastia Gupta, conquistata l’India orientale, non rivolse la sua attenzione a quella occidentale e Chandragupta 2° (376-414 d.C.) spinse la sua influenza sulla verde vallata. Nel 625 sulle rive del Jelum compare una nuova dinastia locale, fondata da Durlabhavardhana: l’impero Karkota divenne una potenza formidabile, approfittando della debolezza della dinastia Harshavardhana e della lotta fra Cina e Tibet iniziata nel 650. L’impero raggiunse il suo apice con re Lalitaditya (725-756 d.C.) che abbellisce la vecchia capitale di Pandrethan e fonda la città di Paraspor (Parihasapura) non lontana dall’attuale Srinagar. I templi di Wangtat sono opere di questo periodo di pace e nel Kashmir convivono Buddhismo ed Hinduismo, ma ad occidente è già sorta una nuova forza religiosa e politica: le verdi bandiere del Profeta hanno iniziato la loro penetrazione verso le zone dell’Afghanistan e dell’India. Per qualche anno ancora il Kashmir non sarà toccato dall’impetuosa corrente dell’Islam e la brillante tradizione culturale dei Kashmiri continua sotto nuove dinastie quali i Lohara e gli Uptala che cercano di espandere nuovamente il regno verso il Punjab. La religione buddhista decade ed i riti hinduisti la sostituiscono quasi completamente, favoriti dalle nuove dinastie che rimangono pur sempre tolleranti verso i seguaci dell’Illuminato.
Nel 1337 un principe del Ladakh occupa Srinagar e, convertitosi all’Islam, diviene il primo sovrano musulmano del Kashmir, subito detronizzato nel 1339 da Shah Mir, signore dello Swat. Da questo momento la Raja Tarangiri (storia dei sovrani) racconta solo imprese di signori e re di fede islamica. Nomi rimasti famosi anche nelle storie popolari, come Zain-ul-Abidin, conosciuto come «badshah» (grande re), che in cinquant’anni di regno governò da Srinagar uno stato ormai convertito completamente all’Islam dopo che il padre, precedente sovrano, aveva posto brutalmente termine alla convivenza fra le tre grandi religioni.
La presa di potere dei Moghul portò ad un nuovo periodo di stabilità ricco di fermenti culturali. Gli imperatori scelsero il Kashmir come sede estiva della corte e tutt’oggi possiamo ammirare i giardini di Akbar e Jehangir dove l’abilità degli architetti ha creato alcuni fra i più mirabili esempi di architettura moghul.
La decadenza dell’impero provoca il distacco dall’India ed un breve momento di transizione che vede il Kashmir rendersi indipendente, per poi essere annesso dapprima all’Afghanistan (1756) e successivamente essere dominato dai Sikh, chiamati in aiuto nel 1819 per liberare il paese dal protettorato afghano.
La nazione Sikh arroccata nel Punjab aveva approfittato dello sgretolamento dell’impero Moghul per allargare i propri confini ed aveva organizzato un forte esercito sotto la guida di Ranjiit Singh, «il leone del Punjab», aiutato da alcuni ufficiali europei reduci dalle guerre napoleoniche [1]. In questo scorcio di secolo giungono in Kashmir i primi viaggiatori stranieri per esplorare Ladakh e Baltistan. Essi concordano nel definire il regime sikh vessatorio e crudele tanto quanto quello afghano.
Con la guerra anglo-sikh il Kashmir passò agli Inglesi come indennità di guerra ed essi ne vendettero il dominio a Gulab Singh, vassallo di Ranjiit nello stato di Jammu, contro il pagamento di sette milioni e mezzo di rupie. Gulab Singh instaurò la dinastia Dogra (paese d’origine presso Jammu) e divenne maharaja di Jammu e Kashmir ai quali presto unì i territori di Ladakh e Baltistan, conquistati dal suo generale Zorowar Singh fra il 1835 ed il 1843. Il nuovo regime, sotto il protettorato britannico, ridiede al Kashmir la sua fama di verde valle splendente ed a ciò contribuirono e la fertilità del suolo e l’ingegnosità degli abitanti, ma anche la presenza dei pundit [2] e di ex-funzionari inglesi che furono assunti al servizio del nuovo stato.
Il 17 giugno 1947 arriva il momento tanto atteso dall’India: la fine del dominio britannico. Formalmente il Kashmir era uno stato sovrano, ma lo scenario politico progettato da lord Mountbatten non prevedeva un’ulteriore divisione del subcontinente; con pressioni diplomatiche egli cercò di spingere il sovrano regnante ad accostarsi all’Unione indiana. Il maharaja Hari Singh rimase a lungo incerto anche per una sua personale incapacità nel compiere qualsiasi scelta. Il Kashmir fu uno dei tre stati (assieme a quelli di Hyderabad e di Junagadh) che rimanevano fuori dalla spartizione. Comprensibile anche l’indecisione del sovrano, di religione hindù, che governava su uno stato a maggioranza islamica abbastanza ricco da far gola ad entrambi i vicini.
Quando il governo di Karachi comprese che Hari Singh non voleva unirsi all’India, ma neppure al Pakistan, intervenne militarmente. Le bellicose tribù dei Patan, insofferenti ad ogni forma di controllo, si ribellarono al maharaja e marciarono su Srinagar (e del resto non accettarono neppure il controllo Pakistano fino al ‘77...) dove si erano accesi focolai d’insurrezione. Il maharaja volò a Delhi per chiedere aiuto, ma l’inevitabile conseguenza fu l’annessione all’Unione il 24 ottobre dello stesso anno mentre i Pathan giungevano quasi alle porte della capitale [3].
Il conflitto indo-pakistano ebbe una sospensione nel ‘49 e da allora il Kashmir è diviso da una linea di cessate il fuoco controllata dalle Nazioni Unite; una cinquantina di ufficiali italiani partecipano a questa missione dell’O.N.U. che ha quartier generale estivo a Srinagar ed invernale a Rawalpindi. L’assetto istituzionale dello stato prevedeva un governo locale con un presidente ed il primo incarico andòòa Karan Singh, figlio del maharaja. Nel ‘57 il controllo passa direttamente al governo centrale. I successivi conflitti del ‘65 e del ‘71 comportano lievi modifiche alla linea di cessate il fuoco, ma al contempo si sviluppa una forte resistenza al potere federale che sfocia in scontri di piazza e repressioni. Nel parlamento locale la maggioranza era detenuta dal Partito Nazionale, fondato dal grande leader Sheik Abdullah, il leone del Kashmir, deceduto nel ‘75 al quale è succeduto come animatore del partito il doctor Faruk.
Da vent’anni il Kashmir è sconvolto da un’insurrezione armata che ha provocato 300.000 morti. Già dal 1984, gli scontri del Punjab avevano avuto conseguenze anche nel Kashmir, con incidenti fra esercito e rifugiati Sikh, coprifuoco ed esecuzioni capitali comminate dalla corte marziale. Srinagar rimase isolata via terra poiché la grande arteria verso Delhi era insicura e periodicamente, fin dalla primavera 85, ai turisti è consentito di raggiungerla solo in aereo.
Di fronte all’incapacità del governo di Delhi nel rapportarsi con la popolazione, sono nate numerose formazioni armate il cui obiettivo è la liberazione del Kashmir dalla presenza indiana e, per alcune, l’annessione al Pakistan. Il governo di Delhi, sospendendo il parlamento locale, imponendo la presenza di un governatore, inviando le famigerate truppe speciali, ha distrutto ogni residua fiducia da parte della popolazione locale nell’Unione. Le truppe speciali sono state accusate di stupri ed esecuzioni sommarie in una spirale di violenza che ha distrutto il tessuto sociale del Kashmir. La popolazione hindu è quasi completamente fuggita nel Jammu. 90.000 persone hanno lasciato le loro case e con essi i pundit che formavano l’ossatura dei servizi pubblici. Anche numerose famiglie musulmane sono fuggite verso l’Azad Kashmir, il libero Kashmir pakistano (definito dagli Indiani P.O.K.: Pakistan Occupied Kashmir). Il ritorno della democrazia e nuove elezioni non hanno risolto i problemi del Kashmir. La guerra guerreggiata e mai dichiarata del 1999 ha fatto più morti delle precedenti. Le tregue unilaterali proclamate alternativamente dai guerriglieri o dal Governo nel 2000 non hanno sortito effetto [4].
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