di Agostino Rossi
«Un'arma è indispensabile per affrontare serenamente la giornata. Per sopravvivere devi possedere un fucile» ascoltiamo questa filosofia di vita, invero a noi un po' strana, la nel ristorante dell'Hotel Green's di Peshawar, fra una fauna di giornalisti, reporter e commercianti. «Nessuno vuole uccidere un altro o derubare qualcun altro perché ognuno sa che sarebbe a sua volta derubato od ucciso. Se ogni uomo ha la sua arma siamo in equilibrio. Se uno avesse le armi ed un'altro no, allora l'equilibrio sarebbe rotto».
Chi parla è un simpatico ed agitato pakistano a cena d'affari con un commerciante italiano che alloggia nel nostro stesso albergo. Apprendiamo così che il blocco di polizia sulla strada per Kohat è stato rimosso e che non occorre più il permesso per recarsi a Darra. Subito Gianni contatta un autista di taxi che, puntuale, si presenta all'alba al nostro albergo.
Dopo due mesi di viaggi su e giù per la via della seta, entrando in Sinkiang o camminando fra le valli isolate del Karakorum, una gita a Darra, finalmente aperta ai turisti, può degnamente coronare questo ennesima visita del Pakistan.
La strada che esce a sud di Peshawar in direzione di Koaht si snoda fra campi e fabbriche per poi inoltrarsi fra le montagne. Cambia il paesaggio e cambia la forma delle case che ora sembrano forti. I loro portali riproducono quello della frontiera di passo Kyber.In poco più di un'ora siamo a Darra Adamkhel, la parola «darr»a significa «valle» o «passo» in pashtu. Gli Adamkhel sono una tribù di Afridi pathan ed il suffisso «khel» indica il clan.
Appena scendiamo dal taxi siamo avvicinati dal poliziotto del paese. Vuole vedere il permesso, che non abbiamo, ci concede un'ora per curiosare e scattare fotografie. Si mostra più severo con dei turisti che arrivano in quel momento con l'autobus di linea. Li fa risalire ed ordina all'autista di non farli scendere se non a Kohat.
Subito ci perdiamo nei negozi che fiancheggianol'unica strada. Come nelle sperdute città del Far-West anche qui le case di legno sono allineate sul polveroso stradone che attraversa il paese: una lunga fila di negozi di armi vistosamente decorati, intervallati ogni tanto da bottega e negozi di articoli vari. Ovunque uomini con il turbante che indossano sandali e calzoni senza forma sostano davanti o dentro ai negozi contemplando quasi amorosamente l'esposizione di strumenti di guerra.
Entriamo in una piazzetta sulla quale si affacciano una decina di negozi. In ognuno vi è un artigiano al lavoro od un commerciante in trattativa. Mentre noi ammiriamo la perizia di un fabbro, mutilato ad una gamba, che lavora di fino su una rivoltella Webley 0.455, nei vicini negozi i clienti sottopongono le armi ad un accurato esame. Uno carica una pistola, un altro prende la mira con uno Sten. Mentre Danilo scatta una fotografia, un colpo esplode proprio affianco alla sua testa, assordandogli l'orecchio e facendolo trasalire: un pathan è uscito nella piazzetta e prova una pistola sparando in aria.
Dopo aver percorso entrambi i lati della strada cominciamo a chiederci dove vengono approntati quei pezzi che è impossibile produrre nei piccoli laboratori. Per trovare una risposta aggiriamo i negozi e ci portiamo sul retro delle case. Qui, in un groviglio di vicoli fangosi e stretti, con edifici dal tetto basso, ci sono le «fabbriche» in cui si costruiscono le armi. In alcune officine troviamo artigiani specializzati in canne di fucili ed in meccanismi da sparo. Più in là vengono approntate cartucce: riempiono a ripetizione bossoli di ottone con polveri altamente esplosive e poi sistemano i proiettili nelle loro sedi a forza di colpi. di martello. In alcune officine più grandi, dotate di torni, troviamo una completa linea di produzione in cui il metallo e il legno grezzi iniziali escono alla fine sotto forma di mitragliatrici o fucili forgiati. Darra è famosa per la riproduzione esatta della carabina inglese Lee Enfield 0.303, di cui vengono ancora prodotte un centinaio di copie al mese. Con macchinari moderni, ma sorprendentemente limitati, gli armaioli fanno copie accurate di ogni tipo di armi, incluse quelle automatiche come le AK47 russe.
Ed ecco da un vicolo sbucare l'ometto che ieri sera era accanto al nostro tavolo. Ci apostrofa allegramente con un «Bugiardi» che sott'intende un «volevate farmi credere di non essere interessati ma io lo sapevo che sareste voluti venire a curiosare...» L'incontro sembra casuale ma la sua presenza a Peshawar ed ora a Darra fa parte probabilmente del suo lavoro. Darra è in realtà un paravento per un traffico d'armi incomparabilmente più grande che avviene fra varie nazioni e la guerriglia afghana. Vecchi cargo stivati con armi vengono fatti arenare sulla costa del Makran e camion sconquassati risalgono verso Darra con il loro carico micidiale.
«Su venite con me, per pochi dollari vi faccio provare un Kalashnikov». Agitato e sorridente ci mostra il catalogo: obici, cannoncini antiaerei di grosso calibro, mine anticarro italiane, mine antiuomo, bombe ananas francesi, mitra israeliani e cecoslovacchi, pugnali russi... e se vogliamo possiamo andare a vedere un elicottero russo nuovo e funzionante in una valle poco distante... Decliniamo l'offerta, ma ormai non riusciamo più a sganciarci. Siamo perplessi ed un po' intimoriti. Ed allora vada per il Kalashnikov. L'ometto acquista alcuni caricatori, un centinaio di colpi, e per viuzze ci porta fra i prati ad una cinquanta metri dalla strada. Lassù, in alto sulla montagna che sovrasta Darra, ci indica una nicchia nella parete rocciosa: sarà il nostro bersaglio. Il tiro a segno dura pochissimo. Ad ogni raffica partono sette od otto colpi. Confesso che per me, che non ho mai sparato, è un'esperienza esaltante che mi da un senso di potenza... La raffica va a segno. Nuvolette di polvere si alzano dalla nicchia. In un attimo tutto è finito, l'ometto ritira i dollari, sempre sorridente saluta e ci invita a non tornare con lui ma ad andare direttamente al taxi che ci aspetta in fondo al paese.
Il ritorno a Peshawar è veloce, un controllo antidroga, con battute in urdu del tipo «ma cosa vanno a fare a Darra se poi non comprano niente?» ed in breve siamo alla stazione ferroviaria dove un tranquillo treno di pendolari ci permette di essere a Pindi in serata.
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