di Gino Bernardi
«Quando si intraprende un viaggio nell'est è opportuno partire da una città che ha un ricco bazaar. E' opportuno fissare anche la data di partenza ma deve essere sottolineato che in questi paesi la partenza effettiva è decisa dai portatori e dai servitori»
Colonel R. Schonberg, «Between Oxsus and Indus rivers» 1936
1° giorno. In volo per Rawalpindi, Marisa attacca discorso con un commerciante del paese che uditi i nostri progetti, preoccupatissimo tenta di dissuaderla. «Non sapete cosa fate, in quelle valli sono tutti banditi, ci sono continue lotte tribali, viaggiare da quelle parti è pericolosissimo». Queste notizie più quelle relative all'impiccaggione, avvenuta in quei giorni dei quattro che nel vicino Chitral avevano nel "77 accoppato per rapina una coppia di giovani svizzeri, ci fanno rammaricare di essere solo in otto.
2° giorno. Faccio conoscenza con Nazir Sabir, la nostra guida per il trekking e discuto con lui i dettagli dell'organizzazione logistica che oggi dovremmo mettere in piedi. Nazir mi prospetta il trek come di media difficoltà, senza particolari problemi alpinistici, ma premette che avremo problemi con i portatori: « I portatori della valle sono gente dura, difficile. Non puoi fare conto su di loro, preferirei di gran lunga i portatori di X,Y,Z». (Altra gente in seguito ci darà di questi un quadro altrettanto negativo).
Nazir è anche preoccupato per il possibile andamento dei rapporti interpersonali fra i Membri (della spedizione - elegante dizione per dire Noi - si contrappone a «portatori»), rapporti che quando la stanchezza cresce rapidamente si deteriora. La sua esperienza è di grandi scazzate. Non mi preoccupano troppo; mi danno più fastidio e sono più distruttive le punte di spillo e gli attacchi obliqui. Una scazzata (se non si conclude con vie di fatto) può essere chiarificatrice e comunque liberatoria. A sera i prodromi, quando all'insegna del «non sapevo che il mio bottino pesasse poco finché non ho sentito il tuo» alcuni membri ti vengono in camera ed inquisiscono su tutto ciò che porti e perché lo porti.
3° giorno. A Saidu Sharif vado a rendere omaggio al prefetto, mi dimostro sensibile ai suggerimenti ed ottengo la promessa di un intervento sulla polizia di Kalam affinché ci aiuti nelle trattative con i portatori. Viene intanto ingaggiato un paracuoco dell'Hotel Swat: Amir è un bell'uomo barbuto, bellissime mani, pochi denti, fiato pesante, molto pio. Crede di avere trentacinque anni (manca l'anagrafe) e si aggrega a noi perché non è mai stato in montagna e vuole poter fare da guida al suo vecchio padrone, un italiano che lavora a Riad e che questo autunno verrà in Chitral per fare escursioni. Realizzerà il suo desiderio, mentre sarà frustrata l'aspirazione di fare il cuoco per noi, un po' per problemi di spezie, un po' perché i portatori ne avevano più bisogno. Fungerà inoltre da interprete fra la guida ed i portatori, molti dei quali parlano solo dialetti locali. Poiché parla inglese comprensibile, anzi ricercato anche se limitato nel vocabolario, sarà la porta attraverso cui potremo recepire un po' del vissuto dei portatori.
4° giorno. A Kalam la polizia, avvertita, ci da una scorta fino a Maltiltan. A sera compaioni i primi candidati e con l'aiuto di due poliziotti si sottoscrive l'accordo: 40 rupie al giorno per portatore per 14 portatori, più cibo ed eventuale mancia, oltre al capo tribù che non porta niente che garantisce l'ordine e risponde dei furti. La trattativa è stata lunga: alcuni Giapponesi hanno qualche tempo fa offerto (e messo per iscritto) 100 rupie e le aspettative quindi erano alte. Solo la minaccia (resa concreta dal pulmino appositamente trattenuto) di andare ad assoldare altri portatori a Kalam, ha consentito la firma del contratto.
5° giorno. Nazir ripartisce i pesi e predispone i fagotti, operazione che verrà ripetuta più volte in seguito, man mano che caleranno le provviste, poi si ditribuiscono i capi previsti dal regolamento (calze, scarpe, impermeabili, occhiali). Allegra confusione: alcuni hanno scarpe di numeri diversi, uno protesta perché ha due sinistre (ma da qualche parte ci devono pur essere due destre) ma in fine di giornata gli scambi avranno rimesso a posto tutto. La distribuzione dei carichi non è altrettanto allegra: grandi scazzate fra i portatori, intervento della polizia. Le scazzate riprendono all'uscita del villaggio, assenti le autorità. Lasciamo a Nazir ed al capo tribù, di sistemare le cose, anche perché, fedeli al cliché, questa gente dai visi duri, alcuni anche feroci, ci viene dietro armata: due fucili e due revolver palesi, altri si indovinano. Lo fanno, ci assicurano, per nostra sicurezza: devono avere molte pendenze singole e collettive nel circondario. D'altronde gli uomini che incontriamo sono armati; i più poveri con una scure in spalla, scure che ci assicurano è fatta per fendere crani, non legno.
Si cammina per sei ore seguendo un bellissimo fondovalle con noci, cedri e platani. Il sole è cocente ed il cammino è reso più faticoso da uno zaino personale che uno scopre ora essere stupidamente pesante (e che nei giorni successivi progressivamente alleggeriremo). Ci fermiamo in una bella radura fra due torrentelli e montiamo la tenda giusto in tempo prima che si metta a piuovere. Mi metto a cucinare il minestrone e preparo il battuto di pancetta e cipolle. Amir ha lo sguardo del cane respinto a bastonate (io ti volevo bene, ma tu mi hai offeso gratuitamente, perché?) quando mi dice «sorry», ma lui il porco non lo tocca. Ribatto che non si preoccupi, faccio tutto io. Abbozza ma pretende che usi il mio coltello personale per tagliare la pancetta ed insomma alla fine capisco che devo anche lavargli a fondo le pentole prima di restituirgliele perché la paura del contatto con il cibo proibito gli è stata ben bene inculcata. Più elastici noi imprestiamo tazze e scodelle ai portatori che, sprovveduti, sono venuti via senza niente: richiesti anche i cucchiai ma si incontrano resistenze.
Nella notte la pioggia insistente mi tiene sveglio e mi da modo di pensare a quanto siamo stati idioti a metterci così vicino all'acqua.
I portatori dormono in due capanne un po' lontano da noi: il capo tribù con il fucile ed il pistolero passano la notte sotto un telo di plastica vicino alle tende a nostra protezione.
6° giorno. La tenda è ancora bagnata, ma la facciamo su lo stesso. Alle 8 siamo pronti, ma non si parte. I Portatori hno tenuto Assemblea durante la notte. E' venuto fuori un giovane leader - molto sveglio - che si è imposto ai compagni ed ora tratta un nuovo contratto: 600 rupie forfettarie per tutto il trek. La richiesta cade come una doccia fredda. Prima che i portatori si accorgano del nervosismo che serpeggia tra noi cerchiamo di acquisire un po' di potere contrattuale spostando i Membri al di là del ruscello, separandoli così fisicamente dai Portatori. Un ponticello collega i due gruppi, ponticello che nelle ore seguenti verrà ripetutamente attraversato da Nazir, il go between della situazione.
La trattativa è lunga. In fondo la somma richiesta per 12 giorni non è troppo lontana da quella originariamente pattuita, ma c'è un inghippo: dopo 6-7 giorni è previsto l'arrivo in un altro paese, Laspur - altra zona, altra tribù - e noi sappiamo, e anche loro lo sanno benissimo, che sarà necessario utilizzare i portatori di Laspur per l'ultimo tratto e ciò comporterà in definitiva una spesa che sarà più che doppia sul previsto. Anche se nelle mie trattative professionali mi sono sempre trovato dalla parte dei Portatori, ed a loro in fondo va la mia simpatia, ho almeno imparato un po' come si comporta la controparte e cerco di adeguarmi: una cosa è certa, la trattativa deve essere lunga per dare l'impressione alle parti di avere vinto un degno avversario (o di non avere perso).
Con pazienza lanciamo e rilanciamo nuove proposte ed intanto esaminiamo la situazione: di andare avanti a cercar crumiri neanche a parlarne vista la potenza di fuoco, di cedere alle richieste neppure, di abbandonare il trek preferisco non parlarne. C'è sotto sotto il timore che ci possa essere una progressiva escalation delle richieste, d'altro lato il tempo gioca a nostro favore. Ogni giorno che passa aumentano le rupie che perderebbero se ci abbandonassero. In più in questo paese ove la paga media è di undici rupie/die (1979), noi rappresentiamo una occasione da non buttare via.
Respinti i tentativi di frazionare la retribuzione (400 a Laspur, il resto alla fine), respinti i tentativi di divisione (OK per le 600, ma per andare a Laspur ci bastno 10 persone), i Portatori propongono un compromesso: per 600 rupie ci porteranno dove previsto (Phunder) ma si farà un percorso più corto che durerà solo 8 giorni, passando per un altro passo (Dadalili pass) più basso di quello previsto (Kachi Khani pass, 4625 m.). A questo punto è l'Assemblea dei Membri a doversi esprimere: a naso ho l'impressione che non ci siano grosse obbiezioni per la riduzione della durata del trek, ma restano le preoccupazioni per la possibilità di escalation e resta di contro molto grossa la preoccupazione di non rompere con questa gente dall'aspetto tanto rassicurante. E così si accetta il compromesso un po' come si accetta di consegnare il portafoglio al rapinatore. E buon per noi che nessuno sapeva che il passo proposto era a 5080 metri.
Alle 11 finalmente si parte previa firma del contratto: impressione del pollice del capo tribù e controfirma del giovane leader, Mahammed (da noi ribattezzato Ho Chi Min).
Si cammina sotto un cielo scuro, prima fra boschi di conifere e poi su morena fino alle 16. La sosta è scelta dai Portatori: sassi e piccole piazzole su cui a fatica si monta la tenda, ma la presenza di una grossa caverna in cui i portatori cucineranno e passeranno la notte giustifica la scelta. Un basso muro a secco divide la caverna in due: di qua noi, di là loro. Dopo cena si scherza e si cerca di comunicare, ma i tentativi fanno fatica a superare il muretto. Dopo l'esperienza di ieri sera abbiamo tentato di cooptare Amir dandogli l'incarico di prepararci la zuppa. Siamo dovuti intervenire a metà cottura per eliminare il brodo della minestra - esplosivo - e sostituirlo con nuova acqua. Amir è mortificato perché aveva preso un impegno di star leggero con il peperoncino ed era convinto di esserci riuscito: da quel momento rinuncia ad essere il cuoco e fino alla fine si limiterà a preparare, a richiesta, gli ingredienti.
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