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Agra
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Agra, una città indianaIl forte rossoAkbar costruì il forte rosso di Agra (1567-75) presso la Yamuna, allora grande e veloce. Suo consulente fu l’ingegnere idraulico Qasim Khan che costruì le mura d’arenaria e gli edifici su un precedente forte hindu. Le mura sono grandiose, con un fossato tra cinta esterna ed interna. All'estremità sinistra, dove lo spazio tra le due mura è più ampio, Akbar guardava dalla torre ottagonale il suo sport favorito, il combattimento degli elefanti. La Porta di Amar Singh è l'ingresso principale, al di là del ponte levatoio sulle acque maleodoranti del fossato. La porta fu costruita da Shaha Jahan nel 1665, per commemorare l'audacia di Rao Amar Singh, fratello del sovrano rajput di Jodhpur e nobile di corte. Rao Amar, offeso da commenti fatti in presenza dell'imperatore dal tesoriere di corte, lo uccise. Poi, resosi conto di aver commesso una imperdonabile infrazione all'etichetta, balzò a cavallo e saltò oltre le mura. Il cavallo morì e Rao Amar fu messo giustiziato, ma l'imperatore ammirò il suo coraggio. In cima alla rampa, i giardini a destra portano, all'Akbar Mahal (palazzo). II grande bagno sul davanti (1611) risale al matrimonio d'amore di Jahangir con Nur Jahan e fu forse uno dei doni dello sposo. Quando la regina vi si bagnava, veniva riempito di petali di rose, per profumare l'acqua calda che sgorgava dal basso. Il rituale fu all'origine. secondo la leggenda, della scoperta da parte della regina dell'attar (essenza) di rose, che divenne il profumo di tutta la corte. Secondo altre tradizioni, la scoperta si deve alla madre di lei. Anche la facciata di marmo (1605-15), fittamente decorata, fu aggiunta da Jahangir. Oltre l'arcata incontriamo le stanze di Akbar. Poiché hanno caratteri decisamente hindu, Akbar deve essersi ispirato a costruzioni autoctone ed aver impiegato artigiani locali. La corte centrale è su archi, con tetto poggiato su mensole decorate da bizzarri intagli, tra cui incantevoli pappagalli, molto amati dagli Hindu, ma banditi dagli edifici islamici. Le stanze intorno sono riccamente decorate a intaglio. A destra v'è un ambiente di soggiorno, dietro gli appartamenti della principessa rajput (con nicchie per le sue divinità hindu), a sinistra l'harem e diritto davanti tre stanze, di cui la centrale è la biblioteca di Akbar. Qui egli viveva quando non guerreggiava. Dai padiglioni del cortile Akbar guardava i combattimenti degli elefanti, sino a quello fatale, l'anno della sua morte, in cui perirono il figlio e il nipote. Il primogenito, Salim (in seguito divenuto Jahangir) nacque fra manifestazioni di giubilo, ma il principe si lasciò andare ad una vita dissoluta[1], dedito ad alcol e oppio, mentre i due fratelli minori morivano alcolizzati. Diventato imperatore all'età di 36 anni, egli prese il nome di Jahangir (signore del mondo, 1605-27). Qui nel forte l'imperatore decorò il palazzo di Akbar con stucchi levigati e dipinti d'oro ed aggiunse a nord stanze altrettanto lussuose, dietro la lunga facciata. Gli stucchi dorati della stanza centrale, restaurata dagli inglesi, danno un'idea di quanto fosse arricchita la decorazione moghul. Nel 1609, giunto per stringere rapporti commerciali, William Hawkins registrò il modo di vivere dell'imperatore e la precisione che regolava la sua giornata, dalle preghiere del mattino alle udienze pubbliche del pomeriggio. Nel 1615, mentre Jahangir era ad Ajmer, arrivò sir Thomas Roe, inviato da Giacomo II per discutere questioni commerciali (venne in seguito considerato il primo ambasciatore inglese, non ufficiale, in India). Portò bauli di doni diplomatici, ma gli unici a suscitare l'interesse dell'imperatore furono i quadri. I ritratti in miniatura stimolarono nei suoi pittori nuova freschezza e realismo e i quadri di Cristo ispirarono l'idea di aggiungere un'aureola celestiale ai ritratti dell’imperatore. Usciti dalle stanze di Jehangir, giungiamo a tre padiglioni di marmo bianco. Quello centrale a cinque archi è il Khas Mahal, palazzo privato di Shaha Jahan. I due padiglioni a lato sono quelli delle figlie predilette Jahanara (che realizzò Chandini Chawk nella vecchia Delhi) e Roshanara. Tetti curvi allungati di tradizione rajput, marmi traslucidi che filtrano luce, ma non calore. Soffitti in oro e azzurro (restauro del 1875); sui muri erano appesi arazzi e ritratti. All'esterno l'aria era rinfrescata da fontane e profumata da fiori. Attorno al Giardino della Vita (Anguri Bagh) vivevano le donne della casa imperiale, nelle stanze d’arenaria costruite da Akbar. I bagni reali erano nell'angolo nord-est, dotati di due anticamere dette Shish Mahal (palazzo degli Specchi). perché ricoperti di specchi che brillavano alla luce delle candele. La serie di edifici seguenti, sulla piattaforma di marmo, mostra il gusto raffinato di Shah Jahan e testimonia la tristezza della sua vecchiaia. Si tratta di Mussaman Burj (torre ottagonale). Le stanze squisitamente intarsiate formano un mini-palazzo destinato a Mumtaz, con cortile, bagni, soggiorno e terrazzi. Shah Jahan lasciava il Khas Mahal e passava di qui per raggiungere la sala delle udienze private. In seguito, spostatosi a Delhi nel 1648, deposto dal terzo figlio Aurangzeb nel 1658, fu tenuto prigioniero qui, accudito da Jahanara, e poteva vedere oltre le rive dello Yamuna il mausoleo della moglie. Aurangzeb costruì per lui la piccola Mina Masjid. Prigioniero per otto anni, Shah Jahan mori qui nel 1666. Al piano di sopra, affacciato con due troni sull'ampia piattaforma in riva al fiume, si trova lo spazioso Diwan-i-Khas (sala delle Udienze Private, 1637), con stupende colonne in pietra dura. Sul trono bianco gli imperatori ricevevano i visitatori nelle sere estive; quello nero servì quando Jahangir prese il potere, ad Allahabad quattro anni prima della morte di Akbar; in seguito lo usò per osservare i combattimenti di elefanti. Sotto il Diwan-i-Khas era custodito il favoloso tesoro reale. Sotto la piattaforma vi sono le stanze sul fiume, la Malchchi Bhavan (casa del pesce) di Akbar, nel cui spazioso giardino le cortigiane tenevano speciali bazar, occasioni uniche per corteggiamenti pubblici; secondo la leggenda qui Jahangir incontro Nur Jahan e Shah Jahan la sua Mumtaz. Aurangzeb pose fine a questi trastulli e fece scavare stagni per pesci. Si visitano poi la Nagina Masjid e infine il maestoso Diwan-i-Am (sala delle udienze pubbliche) di arenaria con interessanti capitelli e le grate da cui le dame assistevano alle udienze. Chi sopravvive al caldo afoso della giornata estiva può cercare di visitare la Moti Masjid (moschea della perla). A zonzo per AgraRaggiungere il cuore della città vecchia, attorno alla Jama Masjid, permette di camminare in una città indiana, cosa difficile a Delhi ormai trasformata in capitale internazionale. Si passa dai negozi con riproduzioni kitsch del Taj, in saponaria con alberi di plastica gialli e rossi, lanternine e ninnoli di vetro, il tutto racchiuso in scatola. I bei contenitori d'acqua sferici, in ottone o rame, sono ghiacciaie naturali che mantengono l’acqua pura e fresca. Dietro alla moschea si stende il mercato dei tessuti. Donne contrattano sete e cotoni. La strada principale Johri Bazar va verso destra, ed e fiancheggiata da negozi. Più avanti, in Kinari Bazar, ci sono i gioiellieri, mentre fuori dal bazar, a Panni Gali (lo si trova con difficoltà, passando per Fulati Guli) si ammirano i ricami in oro del miglior maestro di Agra. Shams Uddin che lavora con i suoi operai nel suo haveli. Ritornando verso la moschea, un vicolo a sinistra porta a Malka Bazar, la via dei grandi fabbricanti di aquiloni, le cui creazioni, lanciate dai bambini dai tetti piatti, volano sino a che non le intrappoli un albero. Un'altra area interessante da esplorare è Naiki Mandi, a nord-ovest della moschea, attraversata Hing ki Mandi Road. Qui, in piccoli chioschi, lavorano i calzolai, le donne allineano i vasi dell'acqua lungo il canale ad asciugare, le vacche se ne stanno immobili in mezzo alla strada e i marmisti lavorano tranquillamente dietro antiche porte intagliate che si aprono nei muri bianchi degli stretti vicoli. Taj MahalIl più grande monumento del mondo all'amore sorpassa sempre ogni aspettativa. Bagnato dai rossi raggi dell'alba, ammorbidito dal tramonto, persino nella cruda bianchezza dell'abbagliante mezzogiorno è sempre sublime. Quando l'amata Mumtaz morì, nel 1631, Shah Jahan concentrò le sue energie sul mausoleo. Si pensa che 20.000 operai e artigiani, anche europei[2], iniziassero i lavori nell’anno seguente, completando il capolavoro 21 anni dopo. La tomba-giardino moghul, espressa per la prima volta nel mausoleo di Humayun a Delhi giunge a un grado estremo di raffinatezza, ma qui, da lontano, le proporzioni appaiono più armoniose, da vicino il minuzioso lavoro in pietra dura si fa più preciso. Inoltre il marmo bianco puro del mausoleo, in luogo dell'arenaria, si staglia contro il cielo, ulteriormente illuminato dalle acque del retrostante Yamuna. Tre sono le porte d'accesso al complesso: quella occidentale, ove trovate la biglietteria, quella sud cui si giunge percorrendo strette viuzze che contrastano vivamente con la tomba, e quella orientale. da quest'ultima un vicolo scende verso il fiume ove si scoprono altre vedute e da dove talvolta si può prendere un traghetto per l’altra riva. Se non sono cadute le piogge, si hanno splendide viste sul Taj dalle rive, ma fate attenzione a non calpestare cetrioli, cocomeri e meloni di qualche intraprendente contadino locale. All'interno, oltrepassata la scuola che si tiene sui prati e i negozi, un tempo locande per i viaggiatori, l'iscrizione sul grande portale prepara i viaggiatori. È il capitolo 89 del Corano, detto Al Fajr (dell'Alba), che conclude «0 anima che ristai. Ritorna al Signore, in pace con Lui com'Egli in pace con te. Entra dunque come uno dei Suoi servitori. Entra nel Suo giardino». Oltre il portale, in fondo al giardino lussureggiante diviso dai corsi d'acqua e circondato da alberi e da un alto muro, sorge il Taj. Sulla sinistra della piattaforma v'è la moschea, a destra il Mehman Khana (Casa degli Ospiti). Le acque dividono il giardino in quattro parti, il char-bagh. Quanto alle piante originali, erano talmente trascurate che Lord Curzon le fece togliere e ripiantò tutto a nuovo. Saliti sulla piattaforma, l'esterno è ricoperto di versetti del Corano, in sculture a bassorilievo e disegni a intarsio geometrici e floreali, sempre perfettamente equilibrati. All'interno, i monumenti funebri di Mumtaz (al centro) e Shah Jahan (a forma di astuccio) sono situati nella sala ottagonale protetti da grate. Sotto ad essi, in fondo alla ripida e buia scalinata, si trovano le tombe vere e proprie. L'iscrizione su quella di Shah Jahan gli attribuisce i titoli di Razwan (guardiano del paradiso) e Firdaus Ashyanai (abitante del paradiso). Per inciso, è poco credibile la teoria secondo cui Shah Jahan avrebbe progettato un Taj nero per sé sull'altra riva del fiume. La tomba di Akbar a SikandarAbbandonata Fatehpur Sikri per Lahore, nel 1585, l'imperatore Akbar ritornò poi ad Agra nel 1599 per morirvi sei anni dopo. Aveva già progettato e iniziato a costruire la propria tomba, scegliendo un sito nei dintorni del Baradari, un palazzo in rovina costruito dal Sikandar nel 1502, quando aveva lasciato Delhi; da qui il nome Sikandra del distretto. La tomba non era terminata alla morte di Akbar. Il diario di Jahangir riferisce di continue modifiche al progetto. L’idea di Akbar e le sue speranze in un'unificazione culturale dell'impero emergono chiaramente qui come a Fatehpur Sikri. Nella costruzione della tomba-giardino moghul (del tipo del Taj Mahal), Akbar espresse le idee della sua Din-i-Ilani (religione di Dio). Si trattava di una mescolanza di pensiero hindui, musulmano, sikh e cristiano, basata su una sorta di liberalismo mistico. Egli fece battere moneta con l'ambiguo motto della nuova religione: “Allahu akbar”, che significa sia “Dio è grande”, sia “Akbar e Dio”. Akbar si considerava capo spirituale e temporale, idea che fu propagata da due cortigiani a lui vicini. Sin dall'inizio, la tomba fu oggetto di culto sia per gli Hindu che per i Musulmani. La pietra, proveniente da cave vicine a Fatehpur Sikri, fu utilizzata secondo la tradizione indiana, tagliata a tavole, come legno. Il grande portale è riccamente intarsiato con motivi geometrici e floreali policromi. Il medico-ciarlatano italiano Niccolao Manucci, morto in India nel 1717, corse a vedere le raffigurazioni della croce, della Vergine e di Sant'Ignazio, prima che Aurangzeh le cancellasse (ma egli sosteneva che erano state inserite originariamente per la loro «novità... non per motivi religiosi»[3]). Aldilà della porta, dei vialetti conducono alla tomba attraverso il parco, dove giocano le scimmie e pascolano i cervi all'ombra dei magnifici alberi. Ignorate il brutto restauro delle mura esterne e salite sino al tetto (talvolta si è autorizzati a farlo) di questa esotica torta nuziale a gradini, per vedere sia il cenotafio di Akbar con l'iscrizione "Allahu Akbar" (Dio è grande) sia, attraverso le eleganti grate marmoree di Jahangir, i panorami stupendi. [1] Fra i suoi precettori il missionario abruzzese Rodolfo Acquaviva di Atri. In quegli anni anche il medico veneziano Bernardino Maffei visse a corte. [2] In Le forme dello spirito asiatico, Tucci dedica il capitolo Pionieri italiani in India principalmente alla figura di Jeronimo Veroneo, orafo veneziano, che egli ritiene possa essere il progettista del Taj. Sulla base di testi indiani ed inglesi, vengono confutate le varie versioni sui presunti progettisti del Taj. La tomba di Veroneo (m 1640) fu da Tucci ritrovata nel cimitero cattolico di Agra, dove pure si trova quella del missionario Bernardino Maffei (m 1628) e Hortensio Bronzoni (m 1677) lapidario di Corte di Shah Jahan e Aurangzeb. [3] Manucci Nicolò, Storia do Mogor, Hakluyt-Society Londra; Bussagli 1986.
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