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Grande Bazar (Kapalıçarşı)Il Grande Bazar (in turco: Kapalıçarşı, che significa "mercato coperto"; anche Büyük Çarşı, che significa "mercato grande") è uno dei mercati coperti più grandi e antichi del mondo, con 61 strade coperte e oltre 4.000 negozi che attirano ogni giorno tra 250.000 e 400.000 visitatori. Nel 2014 è stato classificato al numero uno tra le attrazioni turistiche più visitate al mondo con 91.250.000 visitatori annuali. ArchitetturaL'Iç Bedesten ha una pianta rettangolare (43,30 m x 29,50 m). Due file di pilastri di pietra, quattro in ogni fila, sostengono tre file di campate, cinque per fila. Ogni campata è sormontata da una cupola in mattoni con tamburo cieco. Nell'interno e nelle pareti esterne sono state costruite 44 depositi (in turco: mahzen), stanze a volta senza aperture esterne. La luce solare entra nel bedesten da finestre rettangolari poste proprio sotto il tetto: esse sono accessibili attraverso un deambulatorio in legno. A causa della scarsa illuminazione, l'edificio era tenuto aperto solo alcune ore ogni giorno ed era dedicato al commercio di beni di lusso, soprattutto tessili. Inoltre, i Mahzen del Bedesten erano usati anche come casseforti. Il Sandal Bedesten ha anche una pianta rettangolare (40,20 m × 42,20 m), con 12 pilastri di pietra recanti 20 campate sormontate da cupole di mattoni con tamburo cieco. In questo caso i negozi sono ricavati solo nelle pareti esterne. In entrambi gli edifici, ogni campata è collegata alle altre attraverso archi in mattoni legati da travi in legno di ginepro, mentre la muratura è fatta di pietrisco. Entrambi gli edifici erano chiusi da porte di ferro. A parte i Bedesten, in origine le strutture del Grande Bazar erano costruite in legno e solo dopo l'incendio del 1700 furono ricostruite in pietra e mattoni e coperte. Tutti gli edifici del bazar, ad eccezione del mercato dei mercanti di pellicce (turco: Kürkçüler Çarsısı), un'aggiunta successiva a due piani, sono a un piano. I tetti hanno prevalentemente una copertura a tegole, mentre la parte bruciata nel 1954 utilizza ora bitume. Nel bazar non era prevista alcuna luce artificiale, anche per prevenire gli incendi, e il fumo era severamente vietato. Le strade al di fuori del Bedesten interno sono approssimativamente parallele ad esso. In ogni caso, i danni causati dai numerosi incendi e terremoti accaduti lungo i secoli, insieme alle riparazioni fatte senza un piano generale, hanno dato al mercato - soprattutto nella sua parte occidentale - un aspetto pittoresco, con il suo labirinto di strade e vicoli che si intersecano a vari angoli. Storia sociale del Grande BazarLo Zincirli Hanı, un caravanserraglio dismesso, dove oggi si producono gioielli. Fino al restauro successivo al sisma del 1894, il Grande Bazar non aveva negozi come quelli che esistevano in occidente: lungo entrambi i lati delle strade i mercanti sedevano su divani di legno davanti ai loro scaffali. Ognuno di essi occupava uno spazio da 1,8 a 2,4 m di larghezza e da 3 a 4 piedi (da 0,91 a 1,22 m) di profondità. Questo spazio si chiamava in turco dolap, che significa "stallo". La merce più preziosa non era esposta, ma custodita in armadietti. Solo i vestiti erano appesi in lunghe file, con un effetto pittoresco. Un potenziale cliente poteva sedersi di fronte al rivenditore, parlare con lui e bere un tè o un caffè turco, in modo rilassato. Alla fine della giornata, ogni stallo veniva chiuso da tende. Un'altra peculiarità era la completa mancanza di pubblicità. Inoltre, come ovunque in Oriente, i commercianti dello stesso tipo di merci venivano concentrati per legge lungo una strada, che prendeva il nome dalla loro professione. Il Bedesten interno ospitava i beni più preziosi: gioiellieri, armaioli, commercianti di cristallo avevano lì i loro negozi.[26] Il Bedesten del Sandalo era principalmente il centro del commercio della seta, ma anche lì erano in vendita altri beni.[14] Le parti più pittoresche del mercato erano - a parte i due Bedesten - il mercato delle scarpe (turco: Pabuççular Pazarı), dove migliaia di scarpe di diversi colori (le leggi suntuarie ottomane prescrivevano scarpe gialle per i musulmani, blu per i greco ortodossi, nere per gli ebrei e rosse per gli armeni) erano esposte sugli scaffali più alti; il mercato delle spezie e delle erbe (successivamente concentrato nel bazar egiziano; in turco Mısır Çarşısı), che si trovava vicino ai gioiellieri; il mercato delle armature e delle armi; il vecchio mercato dei libri; e il mercato delle pulci. Questo tipo di organizzazione scomparve gradualmente, sebbene oggigiorno si possa osservare di nuovo una concentrazione della stessa attività lungo determinate strade: Gioiellieri e braccialetti d'oro lungo Kalpakcılar Caddesi; Braccialetti d'oro lungo Kuyumcular Carsısı; Mobili lungo Divrikli Caddesi; Tappeti lungo Sahaflar Caddesi; Pelletteria lungo Perdahçılar Caddesi; Vestiti in pelle e casual al Bit Pazarı. In realtà, la ragione principale per concentrare gli scambi in un solo posto era fornire la massima sicurezza contro il furto, l'incendio e le rivolte. I beni nel Bedesten erano garantiti contro tutto tranne le sommosse. Le porte erano sempre chiuse di notte, e il bazar era sorvegliato da guardie pagate dalle corporazioni dei mercanti.[31] Per accedere al complesso durante le ore notturne, era necessario un editto imperiale. L'unica apertura ufficiale della notte nella storia del Bazar avvenne nel 1867 durante la festa organizzata per il ritorno del Sultano Abdülaziz dall'Egitto, quando il sovrano attraversò il mercato illuminato a cavallo tra la popolazione festante. Nonostante l'immensa ricchezza presente nel Bazar nel corso dei secoli - come scrive un viaggiatore inglese circa nel 1870, un giro dei Bedesten interni poteva facilmente rovinare diverse famiglie della dinastia dei Rothschild[ - furti avvenivano molto raramente. L'incidente più importante si verificò nel 1591, quando 30.000 monete d'oro (turco: Altın) furono rubate nel vecchio Bedesten. Il furto scioccò l'intera Istanbul, il Bazar rimase chiuso per due settimane e molti furono torturati, fino a quando il denaro venne trovato nascosto sotto una stuoia del pavimento. Il colpevole era un giovane venditore persiano di muschio. Per intercessione del sultano Murad III esso fu giustiziato tramite impiccagione e non con la tortura. L'etica del commercio nel mercato fino all'era del Tanzimat (cioè fino alla metà del XIX secolo) era molto diversa da quella moderna: l'indifferenza al profitto, l'assenza di invidia per il successo degli altri commercianti e un prezzo unico e corretto erano tratti peculiari del bazar ottomano durante la sua età d'oro.[36] La ragione di questo comportamento risiede in parte nell'etica dell'Islam, e in parte nel sistema delle corporazioni che forniva una solida rete di sicurezza sociale ai mercanti. In seguito, l'occidentalizzazione della società ottomana e l'influenza delle minoranze nazionali causarono l'introduzione dell'etica mercantile nella società ottomana. Lo Zincirli Hanı, un ex caravanserraglio dove ora vengono prodotti gioielli. Proprio durante l'occidentalizzazione della società ottomana, il Gran Bazar divenne un topos obbligatorio della letteratura romantica. A scrittori come Edmondo De Amicis e Théophile Gautier dobbiamo le descrizioni del Bazar a metà del XIX secolo. Un'altra particolarità del mercato durante l'era ottomana era la totale mancanza di ristoranti. L'assenza di donne nella vita sociale e le convenzioni nomadi nella società turca hanno resero alieno il concetto di ristorante. I mercanti si portavano il pranzo in una scatola di cibo chiamata sefertas, e l'unico cibo in vendita era costituito da piatti semplici come il döner kebab, il tavuk göğsü (un dolce preparato con petto di pollo, zucchero di latte e acqua di rose cosparsa su di esso) e caffè turco. Questi semplici piatti venivano preparati e serviti in piccoli chioschi a due piani collocati in mezzo a una strada. Il più famoso tra questi chioschi è quello ancora esistente, ma non più funzionante, posto all'incrocio tra Halıcılar Caddesi e Acı Çesme Caddesi. Si dice che il Sultano Mahmud II sia venuto lì spesso sotto mentite spoglie per mangiare il suo budino. Il Bazar era nell'età ottomana il luogo per eccellenza in cui gli Istanbullu (gli abitanti della città) potevano vedersi. Non solo il mercato era l'unico posto in città dove le signore potevano andare relativamente facilmente (e questa circostanza rendeva il posto particolarmente interessante per gli europei che visitavano la città), ma - specialmente dall'era del Tanzimat - era anche l'unico luogo pubblico in cui il cittadino medio aveva la possibilità di incontrare casualmente i membri dell'Harem Imperiale e della Corte. I mercanti del Bazar erano organizzati in corporazioni. Per stabilirne una nuova, era necessario avere abbastanza commercianti dello stesso bene. In seguito, si formava un monopolio e il numero di commercianti e negozi veniva congelato. Si poteva essere accettati nella corporazione solo tramite cooptazione, sia come figlio di un membro deceduto, sia dopo aver pagato una somma adeguata a un membro che voleva andare in pensione.[43] Il capo della gilda era un funzionario pubblico chiamato Kethüda: esso veniva pagato dalla gilda ma era nominato dal Kadı di Istanbul. La fissazione dei prezzi e delle tasse era responsabilità del Kethüda. Egli era coadiuvato da un rappresentante del membro della gilda, chiamato Yiğitbaşı ("il capo dei giovani coraggiosi"). Questi due ufficiali erano affiancati dall'assemblea degli anziani, non necessariamente di età, ma comprendenti i commercianti più esperti. Parallelamente alle corporazioni, c'erano organizzazioni puramente religiose, chiamate tariks fütüvvet: i loro membri si incontravano nei santuari dei dervisci e svolgevano funzioni religiose. Queste organizzazioni divennero sempre meno importanti col tempo a causa del peso crescente dei mercanti greci, armeni ed ebrei nel commercio del bazar. Ogni gilda aveva un dipartimento finanziario che raccoglieva una moderata quota mensile (alcune monete d'argento, in turco: Kuruş) dai propri membri e la amministrava prendendosi cura dei bisogni di ogni persona associata.] Le corporazioni persero sempre più la loro importanza durante il periodo del Tanzimat e furono abolite nel 1913,[44] sostituite da un'associazione di mercanti di Bazar. Al giorno d'oggi, ci sono diverse associazioni mercantili nel Bazar, ma nessuna è rappresentativa dell'intera comunità dei venditori. Il Gran Bazar oggiOggi il Grande Bazar è un complesso fiorente che impiega 26.000 persone[45] visitate ogni giorno da un numero di visitatori che oscilla fra 250.000 e 400.000, e uno dei principali punti di riferimento di Istanbul.[4] Esso deve competere con i moderni centri commerciali comuni a Istanbul, ma la sua bellezza e il suo fascino rappresentano un vantaggio formidabile. Il capo della Associazione degli artigiani del gran bazar ha affermato che il complesso era nel 2011 - l'anno del suo 550° compleanno - il monumento più visitato al mondo. Un progetto di restauro a partire dal 2012 ha rinnovato i suoi sistemi di infrastruttura, riscaldamento e illuminazione. Inoltre, gli han all'interno del mercato saranno rinnovati e le aggiunte successive saranno demolite. Questo progetto dovrebbe aver finalmente risolto i grandi problemi del mercato: ad esempio, in tutto il Bazar non esiste un vero e proprio servizio igienico. Inoltre, la mancanza di controlli negli anni passati ha permesso a molti concessionari di rimuovere colonne e pareti di sfogo nei loro negozi per guadagnare spazio; questo, insieme alla sostituzione del piombo (rubato negli ultimi anni) con il cemento sul tetto del mercato, ha creato un grande rischio quando si verificherà il terremoto previsto a Istanbul nei prossimi anni. Il Grande Bazar è aperto tutti i giorni tranne la domenica e i giorni festivi dalle 9:00 alle 19:00. Bazar delle Spezie (mercato egiziano)Le piramidi di spezie dai colori vivaci e i vassoi di lokum (chiamati anche Turkish delight; gelatine colorate e aromatizzate) simili a gioielli sono una vera festa per gli occhi delle migliaia di turisti e locali che ogni giorno visitano questo bazar di epoca ottomana. Oltre alle spezie e ai lokum, le bancarelle vendono erbe essiccate, caviale, noci, favi di miele e frutta secca. Nonostante le bancarelle con chincaglieria per turisti siano ogni anno più numerose, questo rimane un posto unico dove fare provviste di souvenir commestibili, scambiare qualche battuta scherzosa con i venditori e ammirare l’ottimo stato di conservazione dell’edificio. Il mercato fu costruito negli anni del 1660 come parte della Yeni Camii, la quale come di consueto aveva attività commerciali circostanti che la sovvenzionavano economicamente e strutture di pubblica utilità, tra cui una scuola, un hamam e un ospedale. Il nome turco del bazar, il Mısır Çarşısı (Mercato Egiziano), suggerisce che sia stato in origine finanziato dai proventi delle tasse sulle merci importate dall’Egitto. All’epoca del suo massimo splendore, era l’ultima tappa delle carovane di cammelli in viaggio lungo la Via della Seta da Cina, India e Persia. Al piano superiore dell’ingresso principale, e accessibile tramite una ripida rampa di scalini, il Pandeli; www.pandeli.com.tr ; meze ₺15-38, portate principali ₺28-68; h11-18.30) è uno storico ristorante con tre stupende sale da pranzo tempestate di azzurre maioliche di İznik. Purtroppo, la qualità della sua cucina è alquanto scadente e non lo raccomandiamo. Le bancarelle all’aperto sul lato occidentale del mercato vendono prodotti alimentari freschi provenienti da tutta l’Anatolia, tra cui un’entusiasmante selezione di formaggi. In questa zona si trova anche il più famoso fornitore di caffè di İstanbul, il Kurukahveci Mehmet Efendi (www.mehme tefendi.com ; Tahmis Sokak 66; h8-20 lun-sab), in attività da oltre un secolo. È proprio all’angolo di Hasırcılar Caddesi, tra i tanti negozi che vendono cibo e utensili da cucina. Beta Yeni Han (Nuova locanda Beta)La locanda è menzionata con nomi diversi in molti documenti storici giunti fino a noi; sebbene sulla mappa Goad venga menzionata come la locanda Hasırcılar; è conosciuto anche come Tahmis Khan. La locanda, che ha una storia speciale tra le locande che hanno avuto un posto importante nella storia turca, si chiamava rispettivamente nel tempo Emin Han, Tahmis Han, Hasırcılar Han e Yeni Han. L'edificio, che portava le tracce dei danni subiti per molti anni, ha riaperto i battenti con il nome di "Nuova Locanda Beta" grazie ai lavori di ristrutturazione eseguiti da Beta Gıda, rimanendo fedele alla sua essenza e al suo spirito. La continuità di un importante patrimonio storico è oggi garantita dall'impeccabile ristrutturazione della magnifica struttura del periodo ottomano, che esalta l'eleganza architettonica e visiva del quartiere di Eminönü coniugandola al dinamismo contemporaneo. Yağ Cami - Moschea dell'olioChiesa ortodossa di San Giacomo (Moschea dell’Olio in Ali Münif Caddesi) La Yağ Camii, in stile selgiuchide e con un imponente portale, era in origine una chiesa dedicata a san Giacomo ma fu convertita in moschea nel 1501. Prende il nome da un bazar dell’olio che un tempo si trovava proprio di fronte. Rüstem Paşa CamiiProprio al centro dell’animata area commerciale di Tahtakale, questa piccola moschea è un vero gioiello. Costruita nel 1560 da Sinan per Rüstem Paşa, genero e gran visir di Solimano il Magnifico, è un eccellente esempio della perfezione raggiunta in epoca ottomana nell’architettura e nella produzione di maioliche. Si ritiene che l’edificio sia stato realizzato come prototipo della Selimiye Camii a Edirne, considerata il capolavoro di Sinan. Si accede alla moschea tramite scale da entrambi i lati. La sua pianta è rettangolare, la cupola centrale poggia su quattro piedi di elefante e su colonne con archi. Il nartece ha sei colonne e cinque cupole. Successivamente vennero aggiunti alla facciata archi, colonne e una sezione con tetto in legno e grondaie. L'intera superficie della moschea di Rüstem Pasha, fino alle falde della cupola, è ricoperta di piastrelle . In particolare, le piastrelle con motivi a tulipano sono considerate gli esempi più riusciti dell'arte piastrellata ottomana . La fontana della moschea si trova sulla sinistra. La moschea ha meravigliosi pannelli in maioliche di İznik inseriti nella facciata, altre maioliche all’interno e un’incantevole cupola sostenuta da quattro colonne. Tutte le fonti sono concordi nell’affermare che Rüstem Paşa era un individuo spregevole. I contemporanei lo soprannominarono Kehle-i-Ikbal (‘pidocchio della fortuna’) perché alla vigilia del suo matrimonio con Mihrimah, la figlia prediletta di Solimano, si scoprì che era infestato di parassiti. Viene ricordato soprattutto per aver complottato con Rosselana affinché Solimano iniziasse a diffidare del figlio prediletto, Mustafa. La congiura ebbe successo, visto che nel 1553 Mustafa fu strangolato per ordine del padre. Passeggiando nei quartieri: Fatih, Fener e Balat
Le zone di Fatih, Fener e Balat sono sicuramente le più ricche di storia, le più affascinanti e caratteristiche di tutta Istanbul. Proprio per questi motivi rientrano nella lista dei patrimoni dell’Unesco. Ma nonostante ciò sono visitate da meno dell’1% dei turisti che visitano Istanbul. Com’è possibile una cosa del genere? I motivi sono molti, ma la colpa principale è sicuramente da attribuire alla cosiddetta “industria del turismo”, che semplifica tutto e attua una riduzione stereotipata della città, per massimizzare i suoi profitti. La città viene quindi sostituita e rimpiazzata da una sua immagine artefatta, ed è quest’ultima purtroppo che viene visitata dalla quasi totalità dei turisti. Parliamo di 3 quartieri davvero centrali per comprendere appieno la storia e la cultura di questa città, zone in cui i popoli e le religioni si sono nel tempo mescolati e sovrapposti, evidenziando e portando fino ai giorni nostri una straordinaria ricchezza di architetture, di monumenti religiosi, di colori e di prelibatezze gastronomiche. I 3 quartieri si trovano all’interno delle mura della città vecchia, ad ovest di Eminönü e si affacciano sul Corno d’Oro. Sono zone non propriamente agevoli da visitare se non accompagnati da gente che le conosce, non perché siano pericolose, ma perché non sono assolutamente battute dai turisti e non è affatto facile trovare i monumenti ed orientarsi fra il dedalo di case. La visita di Fatih, Fener e Balat, è una visita impegnativa, ma regala delle emozioni uniche, anche a chi come noi è abituato ormai a frequentare questi luoghi. Visitare questi quartieri da soli non è facile, spesso i nomi delle vie sulle cartine sono errati o non vengono segnati, si rischia di girare invano e perdere un sacco di tempo, la percentuale di persone che conoscono l’inglese in queste zone è prossima allo zero e quindi risulta impossibile chiedere informazioni. FatihFatih è da considerarsi uno dei quartieri più “conservatori” di Istanbul, è la zona più osservante dal punta di vista religioso, con al centro il monumentale complesso della Moschea di Fatih. Passeggiare per le sue strade, nella zona di Malta Çarşı, la zona del mercato, è un’esperienza che non può lasciare indifferenti. A Fatih oggi vivono per lo più immigrati dalle zone dell’estremo est anatolico, quindi persone molto più attente ai dettami religiosi, ma anche cariche delle loro strepitose tradizioni culinarie regionali, ed è proprio per questo motivo che il quartiere viene ormai accettato come centro gastronomico della città. È qui che bisogna venire per provare i sapori più autentici della cucina turca. Ristoranti o piccoli chioschi specializzati in kebap, pide, sarma, köfte, tutto squisito ed a prezzo molto basso. Dopo un pranzo o uno spuntino, è possibile raggiungere, se si riesce a trovare, la bellissima moschea di Zeyrek, che in passato era il Monastero Bizantino di Cristo Pantocratore, il secondo più grande edificio del periodo Bizantino, dopo Aya Sofia, ancora esistente ad Istanbul. La zona di Zeyrek, con le sue case in legno di periodo ottomano antiche di 200 anni, è una delle più pittoresche di tutta Istanbul. Lasciando alle spalle Fatih e dirigendosi verso Fener, incontriamo il quartiere di Çarşamba. Qui si trova una delle più famose Chiese Bizantine di Istanbul, la Chiesa di Theotokos Pammakaristos, conosciuta oggi come Fethiye Camii, dato che al giorno d’oggi è per metà moschea e per metà museo. Fener (Phanar) il quartiere grecoEntrati finalmente nel quartiere di Fener, lo storico quartiere greco, le strade cominciano a farsi strette e labirintiche, le pendenze si fanno importanti, ed il rischio di perdersi sempre più elevato. È su questi sampietrini ultra centenari, fra case ottomane colorate, alcune superbamente restaurate, altre impietosamente diroccate, che si respira la storia di Istanbul. Devoti preti bizantini, rozzi crociati, fieri paşa ottomani col loro stuolo di servitori, commercianti armeni, negozianti ebrei, chiromanti zingari, nell’arco dei secoli hanno popolato, spesso contemporaneamente, queste zone della città, e hanno dato origine a quella ricchezza culturale che possiamo ammirare ancora oggi. Passeggiando fra case dai colori e dalle forme più bizzarre, fra bambini che giocano a pallone per le strade, si arriva davanti al Rum Lisesi, il Liceo Greco Ortodosso, magnifico e caratteristico edificio in mattoni rossi che sovrasta la collina di Fener. Inerpicandosi per una scalinata pittoresca si raggiunge la sommità della collina di Fener, dove un tempo passavano le mura dell’antica Costantinopoli, è proprio qui che sorge una Chiesa ai più sconosciuta ma di un’importanza fondamentale nella storia della città. Si tratta della splendida Chiesa di Santa Maria dei Mongoli, conosciuta anche come la Chiesa Rossa. La sua storia peraltro è talmente bella e affascinante che meriterebbe un libro, ma purtroppo non esiste nessuna pubblicazione in merito ed anzi la Chiesa pare dimenticata da tutti. Sempre all’interno del quartiere di Fener troviamo uno dei luoghi più importanti in assoluto della religione Cristiana, il Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli, l’equivalente di San Pietro a Roma per la religione Cristiana Ortodossa. L’importanza storica e simbolica di questo luogo è enorme. E’ una delle cinque sedi principali della chiesa cristiana, in ordine di gerarchia, il patriarcato di Costantinopoli è il secondo dopo Roma, e precede Alessandria, Antiochia e Gerusalemme. La visita della Cattedrale di San Giorgio dovrebbe perciò costituire un “must” per un turista in viaggio ad Istanbul, eppure credo che neanche l’1% dei turisti lo faccia, ignorandone probabilmente l’esistenza. In riva al Corno d’Oro, a fare da spartiacque fra Fener e Balat, incontriamo la Sveti Stefan Kilisesi (Chiesa Bulgara di Santo Stefano), famosa per essere costruita completamente in ferro e per i suoi ricchi ornamenti interni. Balat in fermentoIl quartiere di Balat sul Corno d’Oro, con vicoli costeggiati da case appena tinteggiate in vivaci e allegri colori e bar, ristoranti e negozi indipendenti in stile boutique, è il nuovo epicentro della cultura del caffè di İstanbul. Balat è lo storico quartiere ebraico, lo è stato a lungo, sia durante il periodo bizantino sia durante il periodo ottomano, questo a dimostrare il clima di convivenza interreligiosa che ha sempre caratterizzato Istanbul. Gli ebrei hanno cominciato a lasciare il quartiere solo a seguito del forte terremoto del 1894, spostandosi in parte nel quartiere di Galata ed in parte emigrando in Israele. Dopo il 1960 la residua minoranza ebraica benestante di Balat si è trasferita nel quartiere di Şişli, ed il risultato è stata una completa trasformazione del quartiere, che da zona estremamente ricca si è in fretta trasformata in zona di immigrati delle classi sociali più basse. Il cambio di composizione sociale ha fatto attraversare a Balat una fase di trascuratezza non indifferente, a cui solo ultimamente si è cercato di porre rimedio attraverso un ambizioso progetto di riqualificazione patrocinato dall’Unesco. Il sottile confine fra splendore e degrado produce in Balat un contrasto abbagliante. Il quartiere, in cui sono presenti ben 3 sinagoghe (fra cui la bellissima Sinagoga di Arhida, ancora in funzione, e visitabile previo contatto col rabbino), rimane ancora oggi un vero gioiello. Arrivando sulla sommità di Balat si entra in un parco da cui si può ammirare un panorama mozzafiato su tutto il Corno d’oro. Proseguendo sempre a piedi e col rischio, sempre concreto, di perdersi, si raggiunge la famosa Chiesa di San Salvatore in Chora, oggi conosciuta come Kariye Müzesi. I suoi magnifici mosaici e i suoi affreschi, non hanno niente da invidiare a quelli di Aya Sofia, anzi sono oggettivamente molto più belli. Si tratta senza dubbio di uno dei più importanti monumenti storici di Istanbul, straordinario esempio della perfezione stilistica bizantina. Chiesa Bulgara di Santo StefanoIn un edificio in stile neogotico sul Corno d’Oro e conosciuta come ‘Chiesa di Ferro’, vanta un meraviglioso interno, con grate in ferro dorato e la balconata e le colonne che brillano nella luce polverosa proveniente dalle vetrate policrome. In seguito alla grande opera di restauro completata all’inizio del 2018, la chiesa potrebbe conservarsi così com’è per anni. Eyüp Sultan Camii (Moschea del Grande EyüpQuesto rilevante complesso sorge nel presunto luogo in cui fu sepolto Ebu Eyüp el-Ensari, compagno del profeta Maometto che cadde in battaglia fuori dalle mura di Costantinopoli mentre portava lo stendardo dell’islam durante l’assedio arabo della città (674-78 d.C.). La sua tomba è il più sacro sito islamico di İstanbul. Il luogo di sepoltura di Eyüp fu individuato oltre le mura cittadine
qualche anno dopo la conquista ottomana e il sultano Mehmet II
ordinò di costruire una grande tomba proprio per segnalarne
l’ubicazione. Durante la visita siate rispettosi dei precetti islamici, poiché per i musulmani questo è uno dei siti più sacri, per la precisione è il quarto dopo i tre principali di La Mecca, Medina e Gerusalemme. È sempre affollato di gente nei weekend e nelle festività religiose. Complesso della Mihrişah Valide SultanCommissionato dalla Mihrişah Valide Sultan, madre del sultano Selim III, questo complesso del tardo Settecento comprende una türbe (tomba) in stile barocco, una medrese e una sebil (fontana). Il cuore centrale del complesso è lo splendido imaret (mensa per i poveri) che circonda il cortile, e che all’epoca delle nostre ricerche era in corso di ristrutturazione.
Dervisci Rotanti
Voglio vederti danzare l'Arca si Noè, Franco Battiato
Il derviscio rotante (in turco Semazen preso in prestito dal persiano Sama-zan, Sama, che significa ascoltare, dall'arabo, e zan, che significa fare, dal persiano) è un derviscio che pratica una forma di meditazione fisicamente attiva che ha avuto origine tra alcune confraternite islamiche sufi e che è ancora praticata dai dervisci della confraternita mevlevi e altri ordini come il Rifa'i-Marufi. È una pratica di meditazione consueta eseguita all'interno del sema, o cerimonia di adorazione, attraverso la quale i dervisci (chiamati anche semazen, dal persiano سماعزن) mirano a raggiungere la fonte di ogni perfezione. Questo viene cercato abbandonando il proprio nafs, ego o desideri personali, ascoltando la musica, concentrandosi su Dio e ruotando il proprio corpo in maniera ripetitiva, che è stato visto come un'imitazione simbolica dei pianeti nel sistema solare in orbita attorno al sole. La pratica mevlevi ha dato origine alla forma egiziana, tanoura, caratterizzata dall'uso di una gonna multicolore. Questo si è anche sviluppato in una danza da esibizione di non sufi, compresi ballerini al di fuori del mondo islamico. I dervisci rotanti nacquero da Jelaluddin Rumi (1207-1273) "Nel XII secolo, le confraternite sufi (طرائق ṭarāʾiq) furono inizialmente organizzate come una organizzazione consolidata in cui un membro seguiva una disciplina prescritta al servizio di uno sceicco o di un maestro al fine di stabilire un rapporto con questi." Un membro di tale confraternita è indicato come un darwish persiano. Questi (plurale di tariqa) erano responsabili dell'organizzazione di un'espressione islamica della vita religiosa, spesso fondata da santi indipendenti o risultata dalla divisione di ordini esistenti. Ogni tariqa sufi deriva da un'unica silsila, o "catena d'ordine" in cui un membro deve imparare, poiché la silsila lega ogni membro ad Allah attraverso la propria catena d'ordine. La propria silsila si estende attraverso l'insegnante individuale del membro, al suo insegnante e così via, attraverso il tempo fino a quando si è collegati al Profeta e quindi ad Allah.Il Profeta stesso è venerato come il creatore del Sufismo. Per saperne di più. guarda anche la pagina su Konya inserita nel viaggio Istanbul Cappadocia Soft.
Un derviscio pratica molteplici rituali, il principale dei quali è il dhikr, un ricordo di Allah. Il dhikr prevede la recitazione della preghiera devozionale islamica. Questo dhikr è accoppiato con esercizi fisici di movimento, in particolare danza e rotazione, al fine di raggiungere uno stato considerato dagli estranei come di "trance estatica". Come spiegato dai sufi: Nel simbolismo del rituale Sema, il cappello di pelo di cammello del semazen (sikke) rappresenta la pietra tombale dell'ego; la sua ampia gonna bianca (tennure) rappresenta il sudario dell'ego. Togliendosi il mantello nero (hırka), rinasce spiritualmente alla verità. All'inizio del Sema, tenendo le braccia incrociate, il semazen sembra rappresentare il numero uno, testimoniando così l'unità del dio. Mentre gira, le sue braccia sono aperte: il suo braccio destro è rivolto al cielo, pronto a ricevere la beneficenza di Dio; la sua mano sinistra, sulla quale sono fissi i suoi occhi, è rivolta verso la terra. Il semazen trasmette il dono spirituale di Dio a coloro che stanno assistendo al Sema. Ruotando da destra a sinistra intorno al cuore, il semazen abbraccia con amore tutta l'umanità. L'essere umano è stato creato con amore per amare. Mevlâna Jalâluddîn Rumi dice: "Tutti gli amori sono un ponte verso l'amore divino. Eppure chi non l'ha assaggiato non lo sa!"» Nell'ordine Mevlevi, la pratica del dhikr viene eseguita con un abito tradizionale: un tennure, un abito bianco senza maniche, il destegul, una giacca a maniche lunghe, una cintura e un soprabito nero o khirqa da rimuovere prima che inizi la danza. All'inizio della danza rituale, il derviscio indossa un berretto di feltro, un sikke, oltre a un turbante avvolto intorno alla testa, un marchio dell'ordine Mevlevi. Lo sceicco conduce il rituale con regole rigide. Lo sceicco si trova nell'angolo più onorato del luogo della danza e i dervisci gli passano accanto tre volte, scambiandosi ogni volta i saluti, finché non inizia il movimento circolare. La rotazione stessa è sul piede sinistro, il centro della rotazione è la pianta del piede sinistro e l'intera superficie del piede rimane a contatto con il pavimento. L'impulso per la rotazione è fornito dal piede destro, in un passo completo di 360 gradi. Se un derviscio dovesse rimanere troppo estasiato, un altro sufi, che è incaricato dell'esecuzione ordinata, toccherà delicatamente il suo vestito per frenare il suo movimento. La danza dei dervisci è una delle caratteristiche più impressionanti della vita mistica nell'Islam, e la musica che lo accompagna è di squisita bellezza, a cominciare dal grande inno in onore del Profeta (na't-i sharif, scritto dallo stesso Jalaluddin) e finendo con brevi canzoni entusiaste, alcune cose cantate in turco.
Sema, viaggio spirituale dell'animaNell'universo tutto ruota, dagli atomi al sistema solare, fino al sangue che circola nel corpo. Sema è un rituale, un viaggio spirituale che l'anima compie verso Dio mentre matura e raggiunge l'unità. Dopo questo viaggio, ritorna alla sua vita e si mette nuovamente al servizio dell'umanità. Nelle logge dei dervisci, flautisti, tamburini, cantori formano un gruppo chiamato "Mutrip". Semahane si trova di fronte al Mutriphane. Proprio di fronte all'ingresso del Semahane si trova il posto dello sceicco. La linea che si suppone ci sia tra il palo e l'entrata si chiama "Hatt-ı İstiva". Questa è la via più breve verso l'unità: quella che conduce alla verità. Lo sceicco è l'unica persona a seguire questa linea durante il rituale. Lo sceicco rappresenta Mevlana. Il posto è il più alto livello spirituale. Con il suo colore rosso rappresenta la nascita e l'esistenza. Sema è composto da 7 parti.
2a parte: Dopo il canto si sente la voce di un tamburo che
simboleggia l'ordine "Sii".
3a parte: Poi inizia l'improvvisazione del ney. Ciò che rappresenta
il primo respiro che dà vita all'universo.
4a parte: Al termine dell'improvvisazione, inizia "Devr-i Veled"
con l'accompagnamento del "peshrev". Lo sceicco e i dervisci rotanti
Sintesi di luoghi e monumenti da Wikipedia, selezionati dalla relazione Elisabetta Lattanzi
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