Il percorso è stato vietato al turismo. Lo pubblichiamo con l’augurio che il conflitto termini e sia nuovamente percorribile.
Il trekking è facile, comporta solo due passi di circa quattromila metri in uno scenario di valli e nevai alpini per concludersi presso le sponde del lago di Gangabal, sacro agli Shivaiti, sovrastato dai seracchi pensili del monte Haramuk. Non vi sono punti di appoggio, si deve essere autosufficienti. Tramite l’Ufficio Turistico a Sonamarg è possibile assumere un cavallante-guida. Se vi affidate ad un’agenzia turistica di Srinagar concordate minuziosamente ogni voce poiché vi proporranno cuochi, aiuto cuochi, cavallanti ed una miriade di parenti che eseguiranno le mansioni più misteriose ed inutili.
Shiktari (m. 2.720) - Nichinai (m. 3.620)
Nichinai (m. 3.620 - Vishansar (m. 3.680)
Vishansar
(m. 3.680) - Gadsar Maidan (m. 3.500)
Gadsar
Maidan (m. 3.500) - Nund Kol (m. 3.501)
Nund Kol (m. 3.501) - Naranag (m. 2.100)
Dal ponte di ferro di Shitkari, a valle di Sonamarg, si prende il sentiero sulla destra orografica che immediata mente si biforca dopo un centinaio di metri. Il sentiero più basso conduce verso Telal, posto presso il confine con il Pakistan.
Il sentiero di sinistra si alza verso Galwanbal, nome della foresta che costeggiate senza entrarvi arrivando così a quota 3.100 (2h). Il sentierino, che talvolta procede in mezzacosta, domina sempre la vallata di Sonamarg ed i ghiacci del Thajiwas. Dopo dieci minuti in falsopiano arrivate ad una conca prativa con alcune malghe: Shokdare (kash: luogo panoramico, o Lashimarg). Piccola sorgente, ottimo posto per campeggiare. Il cammino prosegue alzandosi di quota sul crinale erboso per una decina di minuti, dominando dall’alto la confluenza dei due torrenti (10’-2h10’). Tenere il sentiero di sinistra, non quello che punta in basso verso la confluenza, e scendere per una decina di minuti fino alle pietraie (20’-2h 30’). Si prosegue in leggera salita (all’inizio di stagione ponti di neve) fino a raggiungere il torrente Nichinai Nar che si risale lungo la destra orografica, alzandosi di quota fino alle conche prative di Nichinai (m. 3.620; 2h-4h 30’; k.: nichi = piccolo, nai = stretto). Si scorge la testata della valle. Risalendo le pietraie dell’erto pendio a sud, si arriva a due piccolissimi laghi gelati posti a più di 4.000 metri. Da quassù si domina in parte il percorso seguito e la strada proveniente da Srinagar.
Attraverso il fiume, si sale lungo la sinistra orografica in lieve pendenza. Tracce di sentiero, ponti di neve e sfasciumi fino ad un primo falso colle (1h30’). Quindi in lieve salita fra laghetti glaciali fino al colle di Nichinai Bar (m. 4.080; 20’-1h50’). La vista spazia verso la catena dello Zoji e verso i monti ad occidente. Si scende lungo il nevaio sul pendio di destra costeggiando poi il torrente fino ai pascoli di Hirampathri (m. 3.660 metri, 1h30’-3h20’ ). Guadato il torrente, il sentiero prosegue sulla riva sinistra, aggira una collina e giunge ai pascoli in prossimità del lago Vishansar (m. 3.680; 20’-3h40’): capanne dei nomadi Gujar. I laghi sono sacri a Vishnu ed a Krishna, entrambi sono specchi d’acqua cristallina in cui si riflettono le cime circostanti ed anche in piena estate vi galleggiano blocchi di ghiaccio staccatisi dai seracchi che giungono a disfarsi nelle acque gelide.
La traccia di sentiero risale verso la bocca del lago, attraversando il torrente poco sopra la morena e costeggia lo specchio d’acqua sul lato occidentale. Ci si alza sulla collina raggiungendo cosi il Krinshansar (m. 3.818, 30’). Ad oriente il lago di Vishnu appare sotto di voi riflettendo monti e ghiacciai, mentre ad occidente si apre l’ampia conca del lago sacro a Krishna, sovrastato dal monte sacro a Vishnu. Nella valletta a sud si apre uno stretto passaggio con un sentiero che porta al lago Tsubar ed al villaggio di Naranag. Ma il nostro percorso aggira il lago da nord affrontando altri passi ed altre valli, dapprima attraversando i prati e poi risalendo il pendio su una traccia evidentissima anche dal basso. Si giunge così al passo di Krishansar (m. 4.191; 2h-2h30’; Razbal Gali). Scendere il ripido nevaio tenendo la destra. Si raggiunge una serie di laghetti nei quali galleggiano blocchi di ghiaccio. Il primo è lo Yemsar, il lago della morte (m. 4.000 30’-3h). A detta dei pastori Gujar, il laghetto è abitato da immonde creature che divorano chiunque entri in acqua.
Continuando in lieve discesa ora in mezzacosta, ora su pascolo, ci si affaccia sul Gadsar (m. 3.900; 20’-3h20’. Gad: pesce, sar: lago) circondato da prati e pascoli. Discesa graduale a Gadsar Maidan (maidan: terreno) detto anche «paradiso dei fiori» per la infinita varietà e per la profusione di colori che costella i prati. Alla confluenza fra due valli i cui torrenti si uniscono per scavare la profonda e stretta gola ai piedi del monte Kasturgand (kash. kastura: cervo muschiato) c’è spazio per campeggiare. Numerose famiglie di pastori vivono in povere case sui pendii circostanti (m. 3.500; 1h20’- 4h40’).
Dal Maidan si può procedere su due sentieri. Percorrendo la gola si giunge alla zona di Guraj, dove, fra pascoli montani e boschi, si attraversano agglomerati di capanne gujur e chi avesse qualche giorno a disposizione può visitare questi villaggi estivi dove le donne tessono e confezionano vestiti invernali e copricapo per le loro famiglie su rudimentali telai.
Il percorso delle agenzie di trekking è diverso: da Gadsar Maidan si attraversa il torrente dopo la confluenza portandosi sul pendio di sinistra, usufruendo di un ponte di neve che resiste fino ad estate inoltrata. Trenta metri al di sopra del torrente inizia il sentiero a mezzacosta che prosegue in lieve salita (20’) e poi si impenna bruscamente. La traccia curva verso sud-ovest continuando in leggerissima pendenza. A Dugta Pani (m. 3.600 circa, 50’) si incontra un profondo inghiottitoio dove scompare il torrente che scende in senso opposto. Spazi per campeggiare ma scarseggia la legna. Si giunge al passo di Satsaran Gali (m. 3.680; 1h20’-2h20’. Kash. sat: sette; anch’esso Razbal Gali). I sette laghetti alpini si adagiano tutti alla stessa altezza. Il passo è un pianoro lungo circa un paio di chilometri.
Il sentiero rimane sempre a destra e vi dovete abbassare di circa cento metri (m. 3.590, 20’-2h40’), fino a notare una traccja che risale il pendio sassoso sulla vostra destra. La salita è faticosa a zigzag; qualche baracca di pastori, poi la pendenza diminuisce, e, alternando morena e prati, si arriva alla conca di Mengadub (m. 4.000, 1h30’-4h10’, spazio per campeggiare) ed in breve allo Zajibal Gali (m. 4.081, 20’-4h30’). Visione maestosa sul gruppo del monte Harmukh: ghiacciai e seracchi pensili precipitano nelle acque del Gangabal e del Nund Kol. Dal passo si perde rapidamente quota scendendo per un ripido sentiero fino ad attraversare il torrente emissario del lago Gangabal (m. 3.470, 1h10’-5h40’). Attraversato il torrente, il sentiero si alza su una collina per poi ridiscendere alle rive del lago Nund Kol (m. 3.501, 30’-6h10’).
Vagabondare sulle rive dei laghi sacri, inseguiti dai guardiapesca ansiosi di cogliervi in flagrante; ascoltare il rombo dei seracchi che dall’Haramukh, stupendo monte di oltre cinquemila metri, crollano nelle acque gelide ed ognuno trattiene il fiato mentre le slavine progrediscono come in un film al rallentatore; visitare le capanne dei pastori e discorrere con loro a gesti: quante attività per una giornata di sosta nella zona di Gangabal! Nel periodo della luna piena di agosto, quassù salgono i pellegrini hindu proveniendo da Naranag a piedi od a dorso di mulo ed i prati fioriscono di vecchie tende militari. Ma in genere si riparte subito, non c’è tempo...
Si attraversa il Mungshang Nullah ( nullah: torrente) emissario del Nund Kol. Il sentiero dei cavalli segue la riva di destra, portandosi poi sul dosso e puntando a sud con un paio di saliscendi in direzione dello chalet, ormai distrutto, dell’Ufficio del Turismo. Si risale quindi a Trunkul (pascoli d’erba), malghe abitate dai Gujar. Fra cedri e deodar in un continuo saliscendi a mezzacosta su un sentiero scavato talvolta nella roccia viva.
La pista giunge nuovamente in una zona di pascoli, Poshi Matun (1h 50, sorgente). Dal poggio lo sguardo spazia sulla valle fino al villaggio di Wangat. La Kranki Madi è verde di foreste e qua e là, sparsi fra abeti e pini, luccicano i tetti in lamiera delle abitazioni. Dovete scendere per circa 1.200 metri su un ripido sentiero sabbioso che si snoda fra alberi, rocce e pendii ricoperti di aghi di pino. Il sentiero sbuca a Naranag (m. 2.100, 3h-4h 50’), raggiungendo il termine della strada bianca proveniente da Wantag.
In questa valletta si trovano le rovine dei templi buddhisti costruiti da Jaluka, figlio di Ashoka, ed ampliati da re Lalitaditya, il sovrano che elevò i templi induisti di Martand. Le rovine risalirebbero al 3° secolo a.C., oggi resistono solo la cappella centrale dai grandi blocchi di pietra grigia ed una enorme vasca per le abluzioni dalla capienza di circa venti metri cubi, ricavata da un monolito. La vasca ha un lato di ben cinque metri ed è profonda due. A Naranag: forest-hut (rest-house di Wantag a soli cinque chilometri). Wantag è collegato con strada asfaltata con Kangan.
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