Per noi l'arte del Gandhara, con la sua ricerca di un linguaggio autonomo, particolarmente adatto ad esprimere concetti e valori ignoti al mondo classico, si configura come un fenomeno figurativo sui generis che non esiterei a definire caso-limite. Vista in questa prospettiva essa acquista in complessita' ed importanza. L'uso delle forme derivate dalla classicita' ellenistico-romana e poste al servizio della speculazione religiosa buddhista non può piu' essere considerato come un semplice prestito di forme classiche ad una religione straniera, ma appare come una scelta cosciente, operata fra suggerimenti diversi con scopi precisi ed originali.
Mario Bussagli: "L'arte del Gandhara"
A tre chilometri da Taxila si giunge agli edifici che ospitano il museo, l'Ufficio Informazioni della PTDC, il bar e la foresteria. La strada prosegue poi per Haripur ed Abbottabad.
Occorrerebbero più giorni per visitare i vari ritrovamenti di Taxila, ma il tempo è ciò che manca al turista, per questo non rimane che visitare solo i ritrovamenti più importanti. Chi ha poco tempo e vi si reca per la prima volta può dedicare la propria attenzione ad una visita preliminare al museo per poi proseguire verso Sirkap, la seconda città sopra Taxila, Jaulian, stupendo monastero buddista e, se gli rimangono energie sufficienti, ammirare uno dei più suggestivi stupa del Pakistan, il Darmarajika.
Una delle migliori collezioni di arte Gandhara è racchiusa nei bianchi edifici del museo. Sono inoltre esposti oggetti che mostrano la «cultura materiale» degli abitanti dell'antica Taxila (utensili, monete, pesi, gioielli e monili e giocattoli) ed anche alcuni plastici che risultano utilissimi, per chi ha un po' di capacità di orientamento, per aggirarsi fra i siti archeologici. Fra i vari reperti, un ombrello di pietra che svettava un tempo sopra uno stupa, statue che mostrano chiaramente quale fosse l'abbigliamento degli abitanti. Proprio fuori dal museo un muro di pietre mostra le varie tecniche di costruzione usate nel corso dei secoli per innalzare case ed edifici: è un esempio molto utile poiché attualmente quasi tutte le pareti non sono alte più di cinquanta centimetri. L'adobe, un mattone di fango misto a paglia cementato con malta, è infatti poco resistente alle intemperie.
Bhir Mound fu la prima città costruita a Taxila, fra il 6<198> ed il 2<198> secolo a.C. Il museo sorge proprio sul'angolo nord-ovest della città che solo in parte è stata portata alla luce. Guardando le rovine si può immaginare come si presentasse ad Alessandro quando la visitò nel 326 a.C. Bhir Mound era che una cittadina simile a molti villaggi del Pakistan odierno. La strada principale si snodava fra case basse di pietra grezzamente lavorata e cementata con fango, quando non erano in adobe. Vicoli stretti fra mura senza finestre, case con una corte interna ed un tetto piatto. Fra le case si allargava ogni tanto una piazza con uno spazio per i rifiuti. Non cerano pozzi perché la falda è molto in profondità e l'acqua era attinta al fiume. con le brocche. La popolazione indossava lunghi cafetani di lino, con scialli che drappeggiavano spalle e testa. Scarpe dalla spessa suola in cuoio completavano l'abbigliamento al quale in estate si aggiungeva un parasole.
Nel 6<198> secolo a.C. l'attuale Punjab ed la NWFP facevano parte dell'impero achemenide di Ciro il Grande. Bhir Mound e Taxila erano i due principali centri di questa provincia conosciuta come Gandhara. A Taxila si trovava la miglior università dell'India con corsi di matematica, diritto, storia, medicina, arte, astronomia e arte militare. Gli studenti, provenienti da tutto il subcontinente, raggiungevano una preparazione notevole specie in campo matematico, medico ed astronomico. Qui Alessandro discusse di filosofia con i gimnosofisti, filosofi nudi, con i quali conferì grazie all'aiuto di tre interpreti. Forse fra gli allievi presenti c'era anche il giovane Chandragupta che pochi anni dopo fondò il grande impero Mauryan. Capitale era Patna sul Gange ed il nipote Ashoka, dapprima viceré a Taxila, poi imperatore nel 272 a.C., si convertì al buddismo dieci anni più tardi e lasciò l'impronta della sua religiosità su questi luoghi.
Per visitare Taxila consiglio le prime ore del mattino, partendo prestissimo da Rawalpindi dove, nella strada parallela al Mall, dietro al Fleshman's partono i bus per Taxila città. Sul luogo conviene affidarsi a qualche tonga od a qualche pick-up. Solo in inverno è possibile spostarsi a piedi.
Lo stupa Dharmarajika
Dal museo seguendo la strada verso est e lasciando Bhir Mound a destra, dopo un paio di chilometri, si volta a sinistra si scende ad un torrente, valicatolo si sale una collina verso uno stupa. Si giunge così all'angolo sud ovest.
Le rovine sono dominate dallo stupa Dharmarajika (signore della legge), alto 15 metri e di ben 50 metri di diametro sul quale sono visibili gli scavi di cacciatori dei tesori che han preceduto gli archeologi. Lo stupa, costruito da Ashoka nel 3<198> a.C. secolo per conservare una reliquia del Buddha (vedi pag. 000), è interrato al centro poiché venne inglobato nell'attuale elevato nel 2<198> secolo al tempo di Kanishka, un re kushianide. In origine era dipinto ed adornato di statue dorate e da bassorilievi rappresentanti Buddha e scena della sua vita. L'ombrello superiore alla cupola era formato da sette o più dischi ora scomparsi. Attorno alla cupola ci sono due percorsi cerimoniali, uno a livello del suolo, l'altro sulla prima terrazza si saliva tramite quattro scalinate orientate verso i punti cardinali. La scalinata occidentale è la meglio conservata. I bassorilievi che la ornano sono del 4<198> e 5<198> secolo della nostra era. Le piccole nicchie conteneva statuette del Buddha e sono ricavate da trifore ad arco alternate con portali. Le nicchie sono separate da pilastri in stile corinzio. A sinistra della scalinata vi è la base di una colonna che probabilmente sosteneva il simbolo di Ashoka, un leone sormontato da una ruota indicanti la supremazia della legge divina sul potere civile.
Attorno alla stupa principale vi è una miriade di stupa votivi che risalgono ai primi 400 anni della nostra era e che sostituirono quelli danneggiati da un terremoto nel 30 d.C. Nei secoli successivi è stata aggiunta una seconda fila di stupa votivi che corre tutt'attorno al grande stupa. Al di fuori di questo secondo cerchio, verso sud, c'è uno stupa minore (2) a base quadrata con tre terrazze ma senza cupola. Al centro della prima terrazza, in una nicchia a trifora vi è una statua del Budda. Più interessante è la fila di statue di Buddha senza testa, alloggiata sulla terrazza di mezzo, ognuno di essi è affiancato da due devoti in atteggiamento di preghiera in abiti del periodo kushianide. Sulle spalle di questi Buddha è appoggiata la terrazza superiore che venne abbassata nel corso dei lavori di restauro del 4<198> quando, per far ciò, probabilmente vennero mozzate le teste alle statue. Nel corso del restauro una fila di Atlanti alternati ad elefanti venne aggiunta alla seconda terrazza. Sono statue abbastanza tozze e prive di armomnia nelle proporzione ed esse illustrano quale fosse il decadimento dell'arte di Ghandara a metà del primo millennio. Proseguendo il giro dello stupa in senso orario si incontra lo stupa (3) con rilievi in stucco del 2<198> secolo, sul muro nord è riconoscibile Kathaka, il cavallo del Buddha e su quello sud l'episodio della partenza di Budda. Sono gli stucchi più antichi di arte gandhara che si conoscano. Più verso ovest c'è un tempio con abside (4) che pare fosse ottagonale. Questa costruzione probabilmente doveva ricordare le grotte affrescate di Ajanta ed Ellora (India) dette sale chaitya. L'edificio (5) mostra ancora scritte votive e vi furono fatti ritrovamenti di valore. Seguono stupa elevati nel corso dei secoli con tecniche architettoniche diverse ed alcune cisterne.
Chi ha poco tempo può proseguire verso nord in direzione di Ghai Kunala e di Sirkap. Con maggior tempo a disposizione si possono visitare altre rovine. Uno stupa votivo (6) ha sul muro nord un Buddha in una nicchia con cornice in stile greco mentre, l'edificio più a nord (7), ospitava una statua del Buddha disteso addormentato o morente. Il percorso attraversa uno stretto passaggio sulla destra del quale vi sono altri due Buddha senza testa (8) e con le mani nel mantra della meditazione nei pressi una grande piscina conteneva l'acqua per le abluzioni.
Si cammina brevemente fra rovine verso est fino all'entrata del monastero (9). Le celle dei monaci sono disposte attorno a quattro grandi cortili ognuno dei quali ha uno stupa al proprio centro. Il complesso fu edificato fra il 4<198> ed il 7<198> secolo. ma il cortile principale, quello più a nord, è precedente e risale al 2<198> secolo Tutt'attorno esso aveva un edificio a due piani con 104 celle. All'angolo sud-ovest sono stati individuati i bagni. Al centro del monastero vi era la grande sala delle preghiere ed a nord una torre di guardia.
Il complesso monastico fu distrutto una prima volta dai Sassanidi nel trecento, ricostruito su una superficie minore per esser meglio difendibile, venne saccheggiato dagli Unni bianchi nel 455, ricostruito ulteriormente venne infine abbandonato nel 7<198> secolo agli inizi dell'invasione islamica.
Tornando verso lo stupa si hanno, sulla sinistra verso oriente, una fila di cappelle. Le prime due (10) contengono i resti di quattro giganteschi piedi che sostenevano due enormi statue dell'Illuminato. La più grande doveva raggiungere gli undici metri d'altezza. Al suolo giacciono pezzi delle statue e si notano tracce di color rosso, le statue erano infatti colorate e parzialmente coperte d'oro.
Sirkap
In inverno dallo stupa Dharmarajika il sentiero prosegue sulla collina fino al monastero di Ghai, allo stupa di Kunala ed a Sirkap con un percorso di circa un'ora sul quale è bene avere una guida. Chiedete di seguire il sentiero sul crinale piuttosto che percorrere la valletta e poi dover salire. Dal monastero la vista spazia su Sirkap e Kunala. Per non tornare indietro concordate con il vostro autista di venire a prelevarvi al cancello settentrionale di Sirkap.
In estate spostatevi con il pick-up ritornando al museo e proseguendo sulla strada.
La seconda delle città di Taxila è Sirkap, costruita da Greci Bactrianidi fra il 180 a.C. e l'80 d.C..
Dopo la morte del grande Ashoka nel 232 a.C. l'impero decadde rapidamente e dopo cinquant'anni arrivò dalla frontiere nord-occidentali l'ondata di Greci Bactrianidi discendenti dei miliziani di Alessandro che avevano colonizzato la Bactria (oggigiorno Balkh nell'Afghanistan settentrionale). Le città principali in cui essi posero i loro centri di potere furono Taxila e Pushkalavati, l'odierna Charsadda, in entrambe le località elevarono edifici e templi di stile greco. Alla loro dominazione pose termine l'invasione dei Saka (Shythi) giunta dalle steppe dell'Asia centrale nel 75 a.C. seguiti dai loro cugini Parti che attorno al 20 d.C. occuparono Sirkap.
Il nome Sirkap non risale però a questo periodo. Sirkap è infatti il nome di un gigantesco demone, fratello di Sirkush, ed essi appartengono al folklore del Punjab. La seconda e la terza città erano infatti indicate dagli storici sempre con il termine Taxsashila usato dai cronisti che avevano accompagnato Alessandro.
Il parcheggio è vicino alla porta settentrionale della città. Appena entrati, spostandosi di poco a destra vi trovate davanti alla strada principale, lunga circa 700 metri. Voltando subito a destra, verso ovest, trovate gli scavi che mettono in luce le mura della città. Dal basso all'alto si notano le diverse fortificazioni erette una sull'altra con in basso il muro greco del 2<198> secolo a.C. in basso, quelle dei Saka (1<198> sec. a.C.) a metà e quelle dei Parti (1<198> sec. d.C.) in alto.
La cinta difensiva corre per uno sviluppo di circa cinque chilometri delineando una pianta rettangolare dell'insediamento racchiudendo alcune collinette con sistemi difensivi a sud-est, l'acropoli a sud ovest e la spianata della città. con una altezza che variava da sei a nove metri, il suo spessore era di circa sei metri. Solidi torrioni quadrati erano posti lungo il perimetro difensivo. I resti messi alla luce sono quasi tutti del periodo della città ricostruita dai Parti sulle rovine delle abitazioni precedenti andate distrutte dal gran terremoto del 30 d.C. e che quindi, stando alla leggenda, sarebbe la città raggiunta da San Tommaso l'apostolo nella sua visita a Gondoferne, re dei Parti . Se con la fantasia si cerca di ricostruire l'aspetto della città avremmo un insediamento più evoluto di quello di Harappa o Mohenjo Daro.. Tutta una serie di negozi era posta su entrambi i lati della strada principale ed ognuno aveva davanti una piattaforma rialzata in legno. Le case private sorgevano dietro ai negozi, erano a due piani con la facciata dipinta e talvolta coperta da mattonelle smaltate. L'ingresso di queste abitazioni si affacciava sui vicoletti laterali ed inoltre non c'erano finestra sulle mura esterne. Entrambi i due piani erano formati da una ventina di stanze che si aprivano su un cortile centrale. Anche le mura interne erano colorate e talvolta venivano illeggiadrite da balconi o da pannelli in legno. Dai ritrovamenti si deduce che ogni quartiere aveva un suo stupa buddista od un tempietto jainico.
Camminando da nord a sud lungo la strada principale si incontrano i diversi isolati, già nel primo a destra c'è uno stupa che sorge in un cortile. Conteneva un reliquiario in cristallo del periodo Mauryan (3<198> a.C,). Il quarto isolato è interamente formato da un tempio buddista costruito dopo il terremoto del 30 d.C. sulle rovine di un tempio precedente. Due scalinate conducono dalla strada al cortile interno e sono fiancheggiate dalle celle delle monaci. Da un porticato si entrava nell'ampia navata terminante in una abside dove era racchiuso uno stupa.
L'isolato successivo racchiude lo stupa privato di una casa. Sembra che sia il più antico della città, la casa che lo ospitava doveva appartenere ad un collezionista od ad un uomo pio: sono state infatti trovate fra le mura una statuetta bronzea egiziana, una in argento di Dionisio e un piccolo tesoro di oggetti ora conservati al museo di Taxila. Un altro stupa si trova nell'isolato di fronte. Sempre sul lato est della strada, nell'isolato successivo vi è la cappella dell'aquila bicipite con uno stupa del 1<198> secolo della nostra era che presenta decorazioni dove si fondono elementi greci ed indiani. Nella facciata vi è una fila di colonne corinzie con nicchie decorate in tre stili differenti. Le due più vicine alle scale ricordano quelle di un edificio greco, quelle al centro hanno archi simili a quelli usati in Bengala mentre un'altra nicchia ricorda i primitivi torana di Mathura. L'aquila bicipite, un simbolo usato dai Babilonesi, da Sparta e dagli Sciti è in alto nella nicchia centrale. Negli alloggi dei sacerdoti annessi al tempio è stato trovato un pilastro in marmo ad otto facce con scritte in Aramaico attualmente esposto al museo di Taxila. Risale al 275 a.C. e ricorda Romedote, ufficiale di Ashoka. Il pilastro doveva quindi essere posto nella vicina città di Bhir Mound da dove venne asportato duecento anni più tardi.
Nell'isolato successivo c'è un tempio jainico a forma di stupa.
Proseguendo, sempre a sinistra, si incontrano case di ufficiali e ricchi cittadini ed infine si giunge al palazzo reale che occupa un intero grande isolato. La pianta dell'edificio, ricoperto da erbacce, è simile a quella del palazzo di re Sargon in Mesopotamia. L'influenza assira si estese in Persia, Bactria e sugli stati vicini. Il palazzo è più grande delle vicine case private ma ne ricorda in parte la disposizione interna. Non si deve pensare a qualcosa di grandioso Il biografo greco Filostrato descrisse la reggia, visitata nel corso del suo viaggio del 44 d.C., come priva di elementi grandiosi. C'erano solo tre stretti portali, uno sulla via principale che dava accesso alla sala delle udienze private, le altre due porte erano sul vicolo a sud e davano accesso al cortile delle guardie ed alla sala delle udienze pubbliche. Dal cortile interno si entra negli appartamenti delle donne che avevano un loro stupa jainico in modo da non dover lasciare il palazzo per le funzioni religiose.
L'acropoli di Sirkap sorgeva su una collina isolata nella parte sud-occidentale della città. Gli scavi del 1980 hanno trovato numerosi insediamenti datati fra il 13<198> e l'8<198> secolo a.C. ma non vi sono ancora state pubblicazioni da parte degli archeologi su questi ritrovamenti.
Tutte queste interessanti rovine sopra descritte sono praticamente invisibili se l'erba che copre Sirkap non è stata tagliata di recente.
Dal palazzo reale si può salire allo stupa di Kunala. Occorre dirigersi verso est seguendo le antiche mura (arrivando dal Dharmarajika lo si incontra per primo).
Lo stupa di Kunala
Kunala era figlio di Ashoka e visse nel 3<198> secolo prima di Cristo. La leggenda narra che una delle mogli di suo padre si invaghisse perdutamente dei suoi bellissimi occhi ma, vedendosi respinta, mutò la sua passione in odio e convinse Ashoka ad esiliare il figlio lontano da Patna inviandolo come viceré a Taxila. Ma la vendetta non era sufficiente ed impossessatasi del sigillo dell'imperatore inviò un falso messaggio con l'ordine di consegnare gli occhi di Kunala. Il principe era ormai beneamato dalla popolazione dello Swat ed i ministri della corte di Taxila esitavano nell'eseguire un ordine così crudele. Fu lo stesso Kunala ad ordinare che fosse eseguito il desiderio del padre. Inutile aggiungere che, scoperto l'inganno, la concubina fu messa a morte. Sul luogo dove Kunala venne accecato fu eretto uno stupa che, secondo Hsuan Tsang, era alto una trentina di metri.
La leggenda non trova però riscontro nelle date. L'impero di Ashoka è precedente alla fondazione di Sirkap mentre questo stupa sarebbe stato elevato nel 3<198> o 4<198> secolo dopo Cristo. Anche il piccolo stupa del 1<198> secolo a.C. ritrovato nell'angolo nord-occidentale dello stupa maggiore non potrebbe essere quello originario. Alto circa tre metri e perfettamente intatto nella struttura, sebbene privo dell'ombrello e di alcune decorazioni, è oggigiorno danneggiato dall'esposizione all'aria aperta, ma potrebbe esser stato costruito su un più antico ed originario stupa dedicato a Kunala.
Divenuta centro di pellegrinaggio per i ciechi, la località vide il sorgere di un grande monastero contemporaneo al grande stupa. Le mura raggiungevano i cinque metri di altezza e la disposizione degli edifici era quella classica: un chiostro sul quale si aprivano le celle dei monaci. Vi sono le rovine del tempio ma non quelle degli altri edifici comunitari come la cucina ed il refettorio. Probabilmente fu distrutto dagli Unni bianchi, dei quali sono state trovate punte di freccia in ferro.
Più a sud di Kunala vi è un'altro collinetta, sempre all'interno delle mura di Sirkap, ed in cima sorge il piccolo monastero di Ghai (3<198> o 4<198> secolo d.C.).
Altri monumenti
Chi ha ancora abbastanza forze può recarsi agli altri resti: al tempio greco di Jandial che si trova circa settecento metri a nord della porta settentrionale di Sirkap oppure al monastero di Jaulian che forse è il meglio conservato, tralasciandone altri come lo stupa ed il monastero di Pippala.
Posto aldilà di un canale il monastero di Jaulian si compone di varie parti. Entrando dall'angolo nord-ovest si attraversa il cortile dello stupa inferiore, un ottagono aperto. Interessanti i Buddha ed i Bodshisattva. Una gradinata conduce al cortile dello stupa maggiore, protetto da una impalcatura. Immaginatevi tutto questo quando il monastero era all'apice del suo splendore. Quale forza doveva sprigionarsi da un luogo così pieno di tensioni spirituali. Il grande stupa ed i ventuno stupa votivi che lo circondavano, coperti di lamine d'oro, con i loro ombrelli di pietra, i monaci nella veste arancione, salmodianti fra gli incensi, i pellegrini che camminavano lungo il perimetro sacro dello stupa, le immense statue di Buddha... Quale magnificenza ormai mutata in polvere...
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