Su Vajrayana Iconografia Architettura

Architettura

I conventi

I gompa, le dimore della solitudine, come i monasteri di ogni paese e di ogni religione, sorgono generalmente in luoghi appartati e solitari. Nella stesura di questa guida ho raggiunto monasteri grandi e piccoli, ricchi o poveri, visitando abbazie e cappelle isolate. La situazione è sempre pittoresca: distesi in un anfiteatro lungo il pendio roccioso della valle (come a Rigzong) raccolti su un roccioso cocuzzolo isolato (come Phyang, Bardan, Ringdom, Kye), degradanti lungo l’erto fianco di un contrafforte (come Spituk o Thikse), abbarbicati su un pendio aperto (come Karcha o l’affascinante Phuktal), addensati nell’angusto meandro di una valle (come dZongkhul od Hemis) od affacciati su un poggio verdeggiante (come Pemayangtse). Essi hanno sempre un fascino particolare e suggestivo, si celano per comparire improvvisamente ad una svolta della strada o del sentiero.

I monasteri che oggi sopravvivono in Tibet e nelle valli himalayane, hanno perduto gran parte della loro vitalità e della loro importanza sociale. Sicuramente l’esilio in India del Dalai Lama ha segnato la fine di un epoca e si assiste oggi ad un progressivo esaurimento di una cultura giunta da tempo al suo massimo splendore. Eppure proprio questa migrazione dal Tibet ha comportato un’ondata di nuove energie al Lamaismo di numerose valli poiché molti monasteri sono stati posti sotto la giurisdizione di eminenti abati tibetani che hanno rinvigorito lo stanco monachesimo delle regioni himalayane indiane. Il flusso turistico, se da un lato ha introdotto notevole degrado nella vita comunitaria, ha dall’altro apportato un beneficio economico che ha permesso numerosi restauri, salvaguardando parte del patrimonio artistico dei monasteri ma anche introducendo pericolose semplificazioni dei modelli artistici nei nuovi affreschi che decorano i templi.

Costruiti in una posizione dominante e nei pressi di un corso d’acqua, i monasteri costituivano un’unità religiosa sociale ed economica autonoma. Essi si trovano quindi non solo presso villaggi ma anche in posizioni isolate proprio in virtù di questa autosufficienza. Non sono costituiti da un singolo edificio ma da una folla di edifici che sembrano sormontarsi, quasi sorgere l’uno d’altro. Attorno al corpo centrale, costituito dal tempio e dalle cappelle per le cerimonie collettive, stanno gli altri edifici  in modo che il tetto a terrazza dell’uno serva da cortile per quello sovrastante. Questi edifici hanno lo scopo di soddisfare le molteplici esigenze di comunità talvolta numerose (in quella di Hemis erano registrati ben cinquecento monaci) perciò, oltre alle camere ed alle celle personali, i locali vengono adibiti a scuole, seminari d’istruzione, uffici amministrativi, refettori, cucine. Ed inoltre si trovano botteghe artigianali, stamperie, magazzini, foresterie dove alloggiare i monaci di passaggio, i pellegrini ed anche i turisti.

Nei gompa gli elementi architettonici sono gli stessi che nelle case dei ricchi e dei notabili con finestre, terrazzini, portici e loggiati, strette feritoie e ampie terrazze, balaustre fra un piano e l’altro, tettucci fatti con rametti sporgenti, colorati in rosso cupo che quasi sezionano le bianche facciate. Ed una volta valicato il portale di questa cittadella, ci si può aggirare fra edificio ed edificio, in un labirinto di cortili, corridoi oscuri; un mondo intero che dall’esterno sembrava impossibile che possa esistere, celato come è da una apparente compatteza degli edifici.

Le varie cappelle del monastero assumono nomi diversi a seconda della funzione cui sono destinate. Vi sono quindi le sale dell’assemblea di culto o sala riunioni, dukhang; la cappella della legge: choskang; il tempio delle divinità tutelari, il gonkang dove risiedono gli yddam della comunità; la cappella di maggior importanza, lhakang o tempio degli dei; quella privata dell’abate, labrang e la sua biblioteca pezmokang; ma i nomi poi variano indicando talvolta la specifica divinità adorata nel tempio.

Quanto alla loro configurazione interna, i templi lamaisti si suddividono sostanzialmente in due tipi: a basilica con due navate laterali più basse od a pianta quadrata  dove lo spazio centrale resta circoscritto da pilastri di legno che attraversano il tetto per sorreggerne uno più alto. Tra i due tetti resta uno spazio aperto per il passaggio della luce.

In entrambi i casi lo spazio centrale viene adibito a sala di preghiera dove, tra gli arredi sacri, si trovano i sedili dei monaci disposti in file parallele ai lati del passaggio centrale. In fondo alla navata si trova il trono dell’abate (e nei gompa riformati anche quello del Dalai Lama); in genere questi templi hanno una cappella posteriore con le altre immagini sacre. Le pareti sono dipinte, spesso in rosso vivo, oppure minuziosamente affrescate in un rutilio di colori che contrasta con l’aspro paesaggio delle vallate circostanti. È una fantasmagoria di tinte, tra cui predominano l’oro, il giallo ed il blu, riscontrabile anche sui capitelli dei pilastri degli affreschi e sulla laccatura delle immagini sacre. E la vostra curiosità non sarà mai appagata perché il senso del bello spira da ogni cosa che vedete nella cappella, dalle piccole coppe d’argento alle decine di statue allineate sugli altari, dalle tangke appese a pareti e pilastri, ai grandi recipienti nei quali l’impasto di tea e tsampa viene servito ai lama in preghiera, dai tavolini traforati ai lunghi tappeti morbidi, lunghi e stretti.

L’architettura minore

Rocce e pietre sono un elemento sempre presente nel paesaggio delle valli himalayane e si direbbe che i suoi abitanti siano così integrati in questo deserto sassoso da mostrare una passione per i monumenti in pietra che si manifesta in molti modi. Macigni isolati vengono circondati da colonne di sassi sovrapposti, lastre di pietra vengono alzate e lasciate confitte fra i ciottoli, ogni valico viene modificata da piramidi di sassi depostevi ad una ad una dai viandanti. Sul mucchio sono spesso deposte corna d’animali e vengono piantate aste da cui pendono bandiere di stoffa, strisce e preghiere stampate. Chorten, muri mani, lhato, bandiere sembrano integrarsi nel paesaggio, sui pendii sabbiosi spiccano le formule scritte con pietre bianche e sulle rocce lisce compaiono graffiti od incisioni a caratteri cubitali.

Chorten

Narra la leggenda che, quando fu domandato a Siddhartha in che modo si sarebbero dovute onorare le sue reliquie, egli, rispondendo a gesti, dispiegò per terra il mantello monastico ad immagine di una cupola emisferica e drizzò su tutto il suo bastone, volendo così raffigurare al tempo stesso il pilastro che era l’asse del monumento ed il parasole onorifico che lo sovrasta.

Alcuni sono più bassi di un uomo, altri raggiungono una decina di metri, con basamenti proporzionati alla mole. Qualche volta sono messi a cavallo del sentiero che vi passa sotto per un portico ad architrave. In questo caso fungono da cancello (khagni o kagani), segnano cioè l’ingresso in un villaggio od in un’area sacra. Sul soffitto interno è riprodotto un mandala e nei più grossi vi sono ai lati delle file di ruote di preghiera. Altre volte si nota una piccola finestrella che permette di buttare all’interno oggetti liturgici ormai consunti ma che non possono essere distrutti.

Il Buddhismo in generale ed il Vajrayana in particolare hanno attribuito una notevole importanza al chorten, come testimonia la traduzione del termine che in tibetano significa ricettacolo della legge, ed anche la stessa struttura architettonica si è evoluta dalla configurazione di base, ritrovabile nei grandi stupa a cupola di Sri Lanka, assumendo un nuovo schema. Esso riproduce infatti l’ordine cosmico e quindi la legge universale o Dharma. I cinque elementi che compongono la struttura del chorten sono associati fra loro mediante corrispondenze simboliche.

La forma più comune ha una base cubica ed è collegata all’elemento terra, elemento che nel corpo umano corrisponde al centro inferiore posto all’altezza del sacro e rappresenta il principio vitale della continuità. Nella tradizione esoterica la sua caratteristica struttura, formata da cinque figure geometriche sovrapposte (cubo, sfera, cono, calotta, falce di luna) scaturisce da corrispondenze simboliche sia con le potenze divine dei cinque Buddha Supremi, sia con gli elementi del cosmo (terra, acqua, fuoco, aria, etere), che con i cinque centri di forza che si trovano nel corpo umano all’altezza di addome, ombelico, cuore, gola, cervello.

All’interno di molti templi si possono ammirare dei chorten preziosissimi sia per la minuziosa lavorazione che per il materiale impiegato. Certo non sono i grandi cenotafi che ritroviamo in Tibet, alcuni dei quali raggiungono l’altezza di venti metri e sono costituiti da tonnellate di metalli preziosi, ma questi sono interessanti. Li si trova in genere affiancati a gruppetti lungo le pareti dei templi. Contengono le ceneri dei Rimpoche del monastero o di altri Tulku. Sono venerati ed addobbati con sciarpe bianche.

I muri mani

Una costruzione caratteristica sono i muri mani o mendong. Mani significa pietra ed anche pietra preziosa: sono muri massicci, costruiti a secco o cementati con fango, alti anche due metri. Vi sono addossate pietre piatte, frammenti di ardesie od addirittura da ciottoli, ognuno dei quali è stato pazientemente scolpito riproducendo figure sacre o lettere dei mantra. Talvolta le estremità del mani terminano formando due grandi chorten.

Lhato

Sui tetti di alcune case, nelle valli più meridionali, vi sono inoltre alcune piccole costruzioni che possono ricordare un chorten ma non lo sono. Esse si presentano come dei cubi di pietra talvolta sovrapposti, nei quali può essere ricavata una piccola nicchia. Sono i lhato, piccoli altari di famiglia.

Le preghiere nel vento

La descrizione di questi monumenti dell’architettura religiosa minore sarebbe incompleta se non si accennasse alle bandiere ed ai mulini di preghiera. I tartscho (ma anche tarchan e tarcho) sono lunghe aste alle quali vengono issati, come bandiere, dei veli di cotone di varia misura. Talvolta piccoli come un fazzoletto, essi sono cuciti su un alto ad una corda tesa lungo il palo o dal palo ad una casa, ma li si può vedere sventolare anche fra due rocce. Altre volte sono degli stendardi larghi mezzo metro e lunghi anche diversi metri che sventolano lungo un palo. Quest’ultima usanza è caratteristica dei monasteri dove i tarcho vengono issati nel cortile centrale. In Sikkim vengono innalzati centinaia di tartscho disposti in fila sui crinali fra le terrazze di riso. Sui tessuti vengono stampate, mediante una matrice di legno inchiostrato, le solite preghiere. Le bandiere colorate, sventolando al vento, si diffonderanno nell’aria assicurando protezione. Spesso vengono confusi con i tarcho, i gyaltsen (bandiere della vittoria). Esse sono composte da un palo centrale che termina con tre punte e che richiama il trisuli (tib. khatvanga).

Cilindri di preghiera

Ultimo elemento della pietà religiosa sono i cilindri da preghiera (tib. choskhor). Costruiti con materiali diversi come legno, pietra, metallo (vengono usati anche barattoli vuoti) sono dipinti o recano incise o sbalzate le formule rituali. All’interno, che è cavo sono posti anche foglietti con impresse preghiere e mantra. Posti in genere all’ingresso di templi o di monasteri, essi hanno varie dimensioni. Simili ad essi sono i khorlo piccoli cilindri in legno, talvolta intagliato ed impreziosito, che il fedele porta con sé mentre recita il rosario dai centootto grani. Il loro movimento circolare non è una preghiera meccanica, come qualcuno sostiene, ma è solo un movimento che facilita la preghiera.

Il movimento rotatorio dei cilindri o il percorso a piedi attorno a monasteri, mani, chorten od all’interno dei cortili dei templi, è sempre compiuto girando da sinistra verso destra, nel senso del movimento del sole. Spesso può capitare di vedere i pellegrini compiere l’intero percorso con una serie ininterrotta di prostrazioni complete toccandosi con le mani giunte all’altezza di mente labbra cuore e prosternandosi completamente distesi sul terreno


Diritti di autore e Copyright di "Nepal, camminate dell'Himalaya" sono proprietà di Avventure-Viaggi nel mondo che concede l'uso telematico a favore dell'organizzazione "AAZ - Aiuto allo Zanskar". La riproduzione, anche parziale e con qualsiasi mezzo della guida on line, è regolata dalle Condizioni d'uso.


altre info su
nepal, tibet e ladakh
in
news Nepla Himalaya

Lettori da sabato
22 settembre 2001
   

Kathmandu