di Luciano Berti
«La pista che collega Chitral a Gilgit si può definire strada solo per alcuni dei suoi 400 chilometri di sviluppo. La quasi totalità del percorso è affrontabile solo con le fuoristrada, autobus e normali automobili non riescono a passare fra queste impervie gole».
Le frasi della relazione ci avevano resi perplessi sulla possibilità di effettuare questo raid, evitando di percorrere di nuovo la strada che unisce lo Swat a Chitral. E le testimonianze di chi incontravamo erano sempre negative, sembrava quasi impossibile percorrere tutta la strada senza rimaner bloccati o dover tornare indietro. Ma alla fine tutti eravamo decisi a tentare l'avventura. I più dubbiosi si erano convinti che «ogni autista ama la propria jeep più della propria vita». E così, uniti i due gruppi Hindukush Karakorum "83 (ccgg. Marco Vasta e M. Chiara Starace), reduci da alcune camminate fra i Kalash, siamo partiti verso Gilgit, dove sono in programma le camminate nelle valli di Naltar e Diantar.
La nostra colonna di jeep è composta da due Toyota, due Jeep, una Willis ed una cargojeep (pickh-up) Suzuki addetta al trasporto bagagli. Si lascia Chitral alle prime ore della mattinata superando il ponte settentrionale, nei pressi dell'aereoporto, e portandosi sulla sinistra orografica del Mastuj che viene risalito nella prima parte del percorso. I chilometri iniziali non sono interessanti, la strada è abbastanza larga e l'incrocio con altri veicoli non costituisce un problema. Attraversiamo Maroi e sostiamo a Reshun per un primo te. Gli autisti iniziano il primo di una lunga serie di spinelli, mentre i ragazzini con funzione di aiuto autista portano le jeeps all'ultimo distributore. Olio e benzina: come in tutto il mondo il pienolo effettuano solo quando sono sicuri che i passeggeri hanno l'intenzione di partiere e la possibilità di pagare. Raggiungiamo Buni (da non confondere con Bunj in Hunza), situato su un ampio pianoro il cui verde contrasta con l'aridità dei picchi circostanti. Questo paesaggio desertico fra gole e dirupi, con verdi oasi sparse di tanto in tanto sui coni di deiezione degli affluenti, accompagna il viaggiatore per una buona metà del percorso.
Ma c'è poco tempo per guardarsi attorno e rallegrarsi del verde degli ombrosi frutteti: la strada si inerpica rapidamente in una serie impressionante di tornanti che segmentano a zig-zag l'inclinato pendio sabbioso. Gli autisti affrontano la salita con il motore tirato al massimo su di giri, mentre le ruote schizzano polvere e sassi. Corriamo ad un piede dal precipizi, qualcuno siede zitto e pallido, aggrappato a qualsiasi sostegno che dia una parvenza di sicurzza. Altri chiacchierano cercando di essere disinvolti, ma l'occhio corre sempre verso il basso. I mangianastri ululano a tutto volume. Un ultimo colpo di acceleratore nell'affrontare la curva e poi la fuoristrada si ferma con il paraurti anteriore contro il muro di sostegno del prossimo tornante. Mentre l'autista gioca sui freni, l'aiuto che viaggia perennemente in piedi sul paraurti posteriore, è saltato a terra, raccatta una pietra e la infila sotto una ruota posteriore mentre la jeep indietreggia. Bloccata la ruota si possono mollare i freni, inserire la ridotta, sterzare e ripartire. Ma questa operazione è più veloce di ogni descrizione ed ecco la fuoristrada già impennata sulla salita successiva, mentre la jeep successiva entra nella curva e si ripete l'operazione. La colonna procede senza sosta, i mezzi viaggiano distanziati con un margine che permette di manovrare senza ostacolare il mezzo successivo che arriva rombando ad ogni curva in pieno slancio, sicuro di trovare spazio per manovrare. E si va nella polvere, trattenendo il respiro quando si indietreggia fin quasi sul ciglio per sterzare, scrutando in alto, chiedendosi cosa accadrebbe se in alto apparisse improvviso il polverone alzato da un mezzo in discesa.
Qualcuno suggerisce di indietreggiare di alcuni chilometri, altri propongono prove di forza evocando risse e jeep che precipitano per centinania di metri dritte nei gorghi del Mastuj... (credo che se qualche dio ci avesse ascoltatoin quei momenti avrebbe raccolto un'ampia messe di preghiere silenti...).
La strada ora non sale più a zig-zag, ma taglia decisa il fianco della montagna, correndo ora su spuntoni di roccia, ora su tratti sabbiosi, tagliando enormi slavine, ancor più che sulla KKH è qui testimoniato l'impegno che civili e militari prodigano per tenere aperta una strada tesa come un cordone ombellicale fra i paesi di queste valli. una pioggia improvvisa, un cedimento del terreno, possono bloccare i mezzi per giorni, come capiterà nella settimana successiva ad un gruppo di Francesi meno fortunati di noi.
Fortunatamente questo gigantesco muro di roccia, sabbia e macigni in precario equilibrio, è più stabile di quanto possa far temere e gli smottamenti del terreno sono localizzati solo in alcuni punti noti agli autisti locali che li affrontano con incredibile perizia di guida. Ed il muro ha retto anche noi ed eccoci a tirare il fiato aShanewal. il tempo si è rannuvolato e non si scorge il Tirich. Fra queste impervie gole, nel 1895, furono intrappolate le truppe inviate da Gilgit in soccorso del contingente militare britannico asserragliato in Chitral. Come diavolo avranno fatto?
Ora la strada scende leggermente e si guadano un paio di affluenti che scendono spumeggianti dai ghiacciai, alcuni sono visibili anche dal percorso, sono molto vicini e par di sentire il loro fiato gelido scendere dalle seraccate sospese. L'acqua di questi torrenti, fredda e chiara, si tuffa, si mescola con il fiume Mastuj color caffelatte mentre sulla sponda opposta enormi slavine di sabbia alzano un polverone che copre la visuale delle gole da cui siamo appena usciti. Quando guadiamo i torrenti, sostiamo ad aspettare che tutti i mezzi della colonna siano passati. Spesso il percorso di una jeep non è esattamente sulla linea di quella che la precede ed allora si cercano pietre per formare un altro passaggio o per bloccare le ruorte che scivolano lateralmente mentre la jeep si inclina nell'acqua rapida e gelata».
La parte più pericolosa del tragitto è ormai, per oggi, alle nostre spalle. Ci complimentiamo con tutti gli autisti mentre Mr. Saif, il loro capo, racconta con orgoglio che nessuna altra pista è difficile come questa, neppure la vecchia pista del Babusar Pass o quella che conduceva a Skardu. . Chiara lo conferma ed inizia per l'ennesima volta a raccontare l'attraversamento del deserto di Atacama al seguito del grande capo..
Ci fermiamo in vista di Mastuj che sorge sulla piana alluvionale formata dalla confluenza dei fiumi Laspur (su alcune carte Matuj) e Yarkhum. Dapprima sostiamo presso la recinzione di una fattoria. Aldilà dell' alto muro scorgiamo un invitante giardino. Gli autisti vogliono campeggiare in questo frutteto. Il posto è carino ma manca l'acqua, quindi riprendiamo l'andatura e valichiamo il Laspur su un ennesimo ponte. Tutti a terra, passa la jeep mentre noi l'attraversiamo a piedi, e poi via! Il paesaggio è mutato, la gola si fa stretta, dobbiamo valicare un affluente ed il passaggio è impegnativo. Sulla parte opposta della valle, verso occidente, ammiiriamo le gole che scendono ripide dai giacciai sospesi, tagliando il pendio di sabbia e macigni, la pista corre in alto e sotto di noisi notano benissimo i coni alluvionali che si allargano fino al taglio netto che il Laspur provoca con l'erosione. Arriviamo al villaggio di Harcin, sostiamo davanti all'ufficio postale, arriva il poliziotto del paese e, interprete Mr. Saif, chiediamo un posto per accamparci. Il permesso rilasciatoci dal Deputy Chief Commissioner vale fino al vicino Shandur Pass, confine della N.W.F.P. con il distretto di Hunza che è zona contesa con l'India perché fu del maraja del Kashmir.
Ispezioniamo alcuni terreni ma sono tutti irrigati, l'acqua scorre sul prato che l'assorbe come una spugna: ovunque arriva il deserto diventa pascolo. Il portico della scuola è solido ed asciutto ma preferiamo accamparci sul campo da polo, non allagato e sistuato vicino ad una sorgente.
Le jeep raggiungono un boschetto e da qui, a piedi, trasferiamo armi e bagagli sul polo-ground. Abituati ai nostri campi di calcio ci divertiamo ad indovinare come si potrebbe giocare su un campo in pendenza, tutto gobbe e soprattutto con le porte ad angolo retto fra loro! Le tende spuntano come funghi colorati e la cucina è posta rapidamente in funzione. Mangiamo in cerchio, lavati e puliti dalla polvere, con le tute grige, rosse, gialle ed azzurre, mentre un nugolo di bimbi e ragazzini ci circondano meravigliati dagli attrezzi che usiamo: pile piatte, fornellini a gas, secchi pieghevoli. Gli adulti si fingono distaccati ma non riescono a nascondere la curiosità (tralascio le solite considerazioni sul divario di ricchezza ecc.) La sera scende ed un nugolo di ragazzini corrono dal nostro cerchio a quello del gruppo di Chiara mentre Nicola (sempre affamato) si aggira gustando la cucina di entrambi i gruppi. Abbiamo percorso solo 130 chilometri in tutta la giornata, siamo stanchi e finalmente possiamo usare i materassini espansi come giaciglio anziché come assorbi urti legati ai bordi ed ai sedili delle jeep.
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