Espressioni artistiche:
le tecniche di esecuzione
L'arte himalayana ha una
origine che si può far risalire alla scuola artistica dei newari,
la popolazione dallo spiccato senso artistico che fiorì ed abbellì
la valle di Kathmandu, Patan e Bagdaon fin dal settimo secolo. Gli artisti
nepalesi lavorarono all'estero seguendo l'espandersi della dottrina buddhista,
raggiungendo la Cina e poi, con la seconda diffusione del Buddhismo, in
Himàlaya, abbellendo i templi tibetani e ladakhi. Un secondo notevole
influsso si ebbe con i viaggi di Rinchen-zangpo, che tornò dall'India
con un seguito di artisti e di oggetti artistici, soprattutto tanke, di
fattura kashmira. Più tardi le matrici kashmira e newari, entrambe
di origine indiana, si dissolsero dando origine, verso il 15° secolo,
ad uno stile completamente tibetano, che era pur tuttavia caratterizzato
sia da influssi cinesi che da influssi provenienti dalla corte moghul.
L'evolversi del gusto
e degli stili è accompagnato da un processo di sviluppo sia della
iconografia, intesa come sistema codificato di rappresentazione di singole
divinità, sia la iconometria che stabilisce le proporzioni per ogni
singola schiera di divinità. Prima di consolidarsi in norme definitive
entrambi questi sistemi furono caratterizzati da mutamenti e da abbandoni
che riflettevano il sorgere od il decadere di nuove e vecchie tendenze
filosofiche e religiose. L'introduzione del sistema dei cinque kalpa ha
portato ad evolversi, per esempio, la figura del Buddha, che era inizialmente
rappresentato in piedi mentre ora questa posizione è attribuita
solo a Maitreya.
La tradizione artistica
riflette quindi tutta una evoluzione iniziata più di duemila anni
fa, le regole oggigiorno adottate dagli artisti si rifanno quindi da una
parte alla tradizione dei loro predecessori, dall'altra ad alcuni testi
canonici per alcuni dei quali si conoscono versioni differenti fra loro.
I codici e la tradizione
forniscono quindi i canoni da usare nel produrre l'opera d'arte ma danno
anche la chiave di interpretazione di ogni elemento raffigurato nel dipinto.
Quelle che a noi sembrano solo posizioni terrificanti od oggetti raffigurati
solo per puro senso estetico o per riempire alcuni vuoti sono invece simboli
essenziali per comprendere il significato dell'immagine. Fiamme, braccia
sovrannumerarie, teschi, terzo occhio, coppe traboccanti di sangue, spade
ed ogni altro oggetto raffigurato, hanno un loro preciso significato e
rimandano ad elementi della dottrina del Vajrayana. Raffigurazioni cruente
e raccapriccianti sono simbolo di azioni nobili ed elevate spiritualmente.
Così il kapala, la scatola cranica, quando trabocca di sangue è
simbolo della suprema beatitudine, e la khatvanga, l'asta con infilate
tre teste mozze ricorda il superamento di tutte le nozioni di sostanza
e non sostanza.
Tangke
Le tangke sono l'elemento
più caratteristico e peculiare di tutta l'arte sacra himalayana.
La forma è generalmente rettangolare verticale, con una tela dipinta
ed incorniciata da broccato o da altro tessuto leggermente svasato nella
sezione inferiore. Nella lingua tibetana esistono vari termini: thang-ka
è la pittura a rotolo, bris-thang se dipinta su tela, si-thang se
tessuta, phyag-drubs se cucita ed infine gos-thang se ricamata. Altri termini
si riferiscono alla colorazione. Per lo più è il cotone bianco
a trama fitta che costituisce la tela su cui lavorare, qualche volta si
adopera anche la seta. Fissatala sul telaio viene cosparsa di colla di
origine animale per evitare che il colore sia troppo assorbito, su di essa
si applica quindi una base di calce e colla. che vien quindi raschiata
e lisciata accuratamente. Individuato l'asse verticale al quale, secondo
il canone iconometrico, vanno rapportate tutte le misure successive, l'artista
traccia a matita od a carboncino l'immagine principale e successivamente
le figure di minor importanza.
A lavoro ultimato
la thang-ka viene incorniciata con vari tipi di stoffa, in genere broccato
di provenienza straniera (Cina od India). Rigorose proporzioni devono essere
mantenute nel comporre la cornice che ha la sua importanza. Talvolta, nella
sezione inferiore, essa reca un altro disegno raffigurante la porta che
conduce dal nostro mondo illusorio a quello spirituale rappresentato dalla
pittura.
Il retro può
essere foderato di cotone o tela, la parte anteriore è protetta
da una tendina di seta sottile o di stoffa, cucita all'estremità
superiore. Due nastri di lunghezza determinata pendono ai lati. Cornice
e fodera sono realizzate da sartorie specializzate. Il dipinto viene mantenuto
disteso da una asticciuola cucita lungo l'estremità superiore della
cornice, mentre in quella inferiore vi è un'asta più grossa.
Una cordicella consente di appendere il dipinto e due lacci alle estremità
superiore permettono di arrotolare e chiudere la thang-ka.
Statue
All'interno delle cappelle
buddhiste si trova un numero impressionante di statue raffiguranti guru
e maestri dei numerosi ordini. Esse vengono eseguite con vari materiali
che vanno dai metalli nobili alla semplice argilla. Quelle di metallo fuso
sono composte con oro, argento o bronzo, ma spesso esse sono state fuse
con leghe nelle quali viene introdotto stagno o rame. Le statue variano
di dimensione e non sempre la grandezza è direttamente proporzionale
all'importanza od alla venerazione attribuite al personaggio. Impreziosite
con gemme e pietre dure, con broccati intessuti di filigrane d'oro e d'argento,
le statue vengono onorate con l'apposizione della sciarpa bianca (kata).
Altri materiali sono legno od argilla, laccati e verniciati con vari colori
a seconda del codice iconografico.
Dipinti murali
La decorazione di statue,
murali e rotoli, avviene tramite l'uso di colori ricavati dai minerali
estratti fra le montagne od importati da altre regioni. E’probabile che
gli artisti tibetani avessero elaborato alcune tecniche per sintetizzare
pigmenti e colori. Il vermiglione veniva sintetizzato tramite sublimazione;
procedimenti chimici furono adottati per produrre pigmenti verdi ed azzurri
dalla malachite e dalla azzurrite ed altre lavorazioni procurarono una
gamma molto vasta di colori. Altri colori dovevano essere importati, come
il turchese dall'Iran, poiché non presenti nelle montagne himalayane.
Più semplice la produzione di bianco dai carbonati di calcio ed
di nero dalla carbonella. Fra i coloranti di origine organica era usato
l'indaco, importato dall'India, e la lacca, prodotta dalla secrezione di
un insetto. Queste tecniche di produzione locale dei colori sono state
abbandonate nella produzione artistica del nostro secolo e sono state sostituite
dai coloranti sintetici importati dalle industrie europee ed asiatiche.
Arte sacra in Himàlaya:
dipingere e meditare
Quelle che a noi appaiono
splendide raffigurazioni di demoni, divinità, simboli, episodi storici,
decorazioni semplici, e dei quali siamo in grado di valutare la qualità
e apprezzare l'esecuzione come opere d'arte, hanno per i popoli himalayani
un significato che non può essere afferrato e compreso se non si
conosce il complesso simbolismo religioso. Il turista deve quindi integrare
i propri criteri estetici sia in campo architettonico, che pittorico o
statuario, con un sistema di riferimento che prenda in considerazione sia
le concezioni filosofiche del Buddhismo che le credenze religiose del Vajrayana
evolutesi nel corso dei secoli.
Le divinità
del Vajrayana sono di natura diversa da quelle delle altre religioni. L'unica
realtà permanente è il vuoto che lo spirito sperimenta distaccandosi
dai moti dell'animo per raggiungere la piena autocoscienza. Da questa pienezza
del vuoto (concezioni difficilmente comprensibile perché a prima
vista contraddittoria) emanano radiazioni luminose che assumono la forma
di presenze spirituali; esse rappresentano le virtù alle quali il
fedele deve tendere. La funzione dei vari esseri illuminati è quella
di essere simboli di stati mistici ed oggetto della meditazione.
L'artista aiuta quindi
l'asceta e la pittura sacra è un mezzo per compiere un esercizio
interiore di meditazione. Le tecniche ascetiche utilizzano le immagini
come strumento di liberazione e le figure sono indirizzate non solo alla
salvezza dell'artista ma anche di tutti quei fedeli che hanno mezzi ed
attitudini sufficienti per comprenderne il significato.
Il religioso, nel
corso dei suoi studi e delle pratiche di meditazione, riceve dal proprio
maestro un yddam (skt. istadevata), cioè una divinità personale.
L'yddam non è un protettore al quale ricorrere in caso di pericolo,
ma è la visualizzazione di particolari caratteristiche psicologiche
che il maestro ha individuato nell'allievo e che devono essere sviluppate.
Identificandosi nella meditazione con il proprio yddam, l'allievo cerca
di liberarsi da ogni passione, di liberare tutte le energie che ha in sé
di sviluppare al massimo ogni aspetto positivo della propria personalità.
per saperne di più:
E.F. Lo Bue Sku- thang,
pitture tibetane dal quindicesimo al ventesimo secolo, Firenze 1983.
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