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29 giugno - 14 luglio 2019

con Avventure nel Mondo e Marco Vasta

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3 - Baku - Qobustan (Ris. Archeo, vulcani - Pen. Absheron (Ateshgah, Yanar Dag) - Baku

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Facciamo colazione alle 8.30 e alle 9.00 partiamo.

Lasciato l’albergo prendiamo la strada per Qobustan. La prima meta è l’omonima riserva archeologica situata a circa 60 chilometri a sudovest di Baku. Passando in prossimità del porto notiamo un via vai di traghetti che collegano gli altri paesi che si affacciano sul Mar Caspio. La guida ci dice che è da qui che inizia l’oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan che porta il petrolio fino al Mar Nero, ed anche il gasdotto, quasi ultimato, composto da tre “tronconi”, BTE (Baku-Tblisi-Erzurum) (South Caucasus Pipeline), TANAP (Trans Anatolian Pipeline) e TAP (Trans Adriatic Pipeline) che a breve porterà il gas in Italia.

Guardando a sinistra, in direzione del mare, notiamo numerosi cantieri, complessi industriali e ciò che rimane della foresta di pompe oscillanti per l’estrazione del petrolio risalente agli anni ’30 del secolo scorso. Questa zona fu chiamata “The James Bond Oil Field” per ricordare le scene iniziali del film del 1999 “Agente 007 Il mondo non basta”. All’orizzonte si possono anche vedere delle piattaforme petrolifere alcune delle quali sono ancorate al porto in manutenzione e si può anche intravvedere il cantiere delle Caspian Islands: un complesso di isole artificiali di circa tremila ettari, composto da quarantuno isole su cui dovranno sorgere grattacieli, scuole, ospedali, centri culturali e tutto ciò che occorre per accogliere un milione di persone. Tra i vari edifici è prevista anche la realizzazione di un grattacielo di 1050 metri che diventerà il più alto tra quelli finora costruiti nel mondo e che avrà un costo stimato di due miliardi di dollari; una sciocchezza se si pensa che l’intero progetto richiederà l’iperbolica cifra di oltre cento miliardi di dollari. Se a sinistra è possibile ammirare il trionfo della modernità, della tecnologia e dei petro-dollari, a destra, in netto contrasto, notiamo invece un paesaggio desolato e semidesertico con alcuni rilievi in lontananza e con abitazioni che divengono sempre più rade e concentrate verso la costa man mano che ci si allontana dalla capitale.

In meno di un’ora giungiamo quindi nella Riserva Archeologica dei petroglifi di Qobustan (EDT-LP 244). Qui, su un territorio di circa 537 ettari, sono state rinvenute sorprendenti testimonianze del passato, raffigurazioni rupestri, grotte, insediamenti di uomini preistorici e manufatti. La riserva venne istituita nel 1966 allo scopo di preservare questo inestimabile valore che, insieme ai limitrofi vulcani di fango, fanno oggi parte del Patrimonio mondiale dell’umanità.

Dopo aver visualizzato alcuni dei reperti più interessanti raccolti nel Museo annesso iniziamo l’escursione vera e propria alla scoperta dei petroglifi incisi nelle rocce seguendo un sentiero ben segnalato. Da quanto ci viene detto esistono più di seimila raffigurazioni rupestri con rappresentazioni di animali, scene di lavoro, di caccia e di danza, e noi, nell’impossibilità di vederle tutte, ci accontentiamo di osservare quelle più significative. Riguardo al periodo storico queste antichissime opere d’arte iniziano a partire dal X-VIII millennio a.C., ed hanno termine intorno al X-XII secolo. Per la maggior parte si tratta di rappresentazioni di animali selvatici e bestiame, ma ci sono anche figure umane come sciamani e interi gruppi di persone. I più antichi descrivono cacciatori muniti di archi e frecce, alti, slanciati, muniti di cinghie e con una muscolatura ben sviluppata. Le figure femminili mostrano seni e fianchi in modo molto evidente a rappresentare prosperità e prosecuzione della specie. In passato il livello del mare doveva essere decisamente più alto, il clima più mite e il territorio molto più ricco di flora e fauna. Gli uomini dell’Età della Pietra si stabilirono dunque nelle caverne naturali e le decorarono a testimonianza delle loro attività e dell’ambiente in cui vivevano.

Le rappresentazioni più recenti mostrano danze popolari tipiche dell’Azerbaijan, ed altre ancora scene di caccia con vari tipi di armi. Ci sono anche scene che illustrano i raccolti, i combattimenti tra animali, l’attacco dei predatori agli erbivori, il sole, le stelle, le croci, i carri a due ruote, i pesci, i serpenti, le lucertole e le tavolette da gioco. Molto interessanti sono le rappresentazioni di barche fatte con canne intrecciate. L’incisione più famosa è quella che rappresenta una barca che naviga in direzione del sole.

Il grande antropologo ed esploratore norvegese Thor Heyerdahl, che venne appositamente nel Gobustan per studiare i disegni delle barche tipo “Tigris”, prese come riferimento quest’incisione rupestre per sostenere la sua tesi secondo cui il popolo vichingo avrebbe avuto origine in questi luoghi.

Dopo un’ampia perlustrazione alla ricerca delle figure più significative torniamo alcuni chilometri indietro per andare a vedere i vulcani di fango (EDT- LP 244) e poiché a causa delle impervie condizioni del terreno sterrato non è possibile arrivarci in pulmino prendiamo dei taxi che si trovano facilmente nel punto in cui inizia la deviazione sterrata.

Dopo una rapida salita che porta su un piccolo colle, ci troviamo improvvisamente davanti ad un paesaggio dal colore grigio scuro. La mancanza di vegetazione e il silenzio che vi regna danno l’impressione di una terra ancestrale e senza vita. Le piccole formazioni vulcaniche chiamate in lingua locale palcik vulkanlar sono delle montagnole di forma conica che gorgogliano, trasudano, e ad intermittenza eruttano e spruzzano un denso fango argilloso e freddo. Questo fenomeno avviene quando il gas presente nel sottosuolo risale lungo le fratture del terreno provocando pressione sull’acqua presente. Questa, a sua volta, si mescola all’argilla e la spinge in superficie sotto forma di fango. L’Azerbaigian è il paese con il più alto numero di vulcani di fango e quelli di Qobustan sono tra i più accessibili. In totale ve ne sono circa venti e sono tutti tra i due e i quattro metri di altezza.

Dopo aver fatto foto e riprese filmate, aspettando il momento clou dei fenomeni eruttivi, siamo dunque pronti per affrontare la seconda parte del nostro programma: la visita della penisola di Absheron (EDT- LP 241), la cui forma ricorda perfettamente la testa e il rostro di un’aquila che spiega le sue ali verso le acque blu cobalto del Mar Caspio.

Visitando questo piccolo promontorio si comprende il motivo per cui l’Azerbaigian è stato chiamato terra del fuoco”. Qui, in alcuni punti, le fiamme spuntano liberamente dal terreno e i giacimenti di petrolio e di gas naturale sono così estesi che hanno determinato la fortuna dell’intero paese. Questa regione pianeggiante e in parte monotona, una volta dedita all’agricoltura e alla pastorizia, a partire dal 1850 si è infatti trasformata in uno dei più grandi centri d’industria petrolifera a livello mondiale e in luoghi di rilevanza turistica con grandi alberghi, stabilimenti balneari dotati di parchi acquatici, campi da tennis, piste di ghiaccio, piscine con scivoli, campi da pallacanestro e da calcio, discoteche, palestre, saune, SpA e quant’altro. Ma, oltre a queste interessanti considerazioni, il motivo che ci ha spinti fin qui è la visita di due importanti siti di attrazione culturale e naturalistica: il Tempio del fuoco di Ateshgah e la collina di Yanar Dag.

Il Tempio del fuoco di Ateshgah (EDT-LP 241), situato nel villaggio di Suraxani, fu edificato nel XVIII secolo all’interno di un caravanserraglio da alcuni devoti indiani appartenenti al culto di Shiva. Il motivo di questa scelta derivò dal fatto che in questo luogo fin dai tempi antichi esisteva una sorgente di gas naturale da cui scaturivano dei fuochi ritenuti sacri da zoroastriani ed induisti. La struttura pentagonale del vasto complesso contiene un insieme di celle che in tempi passati ospitavano mercanti in viaggio sulla Via della Seta, pellegrini, monaci e sadhu che praticavano forme estreme di ascetismo, come ad esempio: sdraiarsi sui carboni ardenti o trascinare catene estremamente pesanti; tutti comportamenti che sono oggi rappresentati da diversi manichini esposti nella sezione adibita a museo.

Il punto più sacro all’interno del caravanserraglio è ovviamente il focolare di pietra quadrangolare situato nel cortile dell’edificio con quattro colonne che fino al 1969 emettevano fiamme in modo naturale, ma che oggi lo fanno soltanto se il custode apre il rubinetto del gas alimentato dalla rete del metano di Baku. La sorgente naturale si è infatti esaurita da molto tempo a causa del depauperamento estrattivo.

Terminata la visita al tempio ci dirigiamo verso la collina di Yanar Dag (EDT-LP 243): ultima escursione della giornata. Sappiamo che nel XIII secolo Marco Polo aveva già descritto nei suoi diari di viaggio verso la Cina i gusher, le fontane spontanee di petrolio che sgorgano zampillando dal sottosuolo, e i fuochi perenni provenienti dalle sorgenti di gas naturale situate nella Penisola di Absheron. Oggi, purtroppo, questi eccezionali fenomeni, a causa della ridotta pressione sotterranea provocata dalle intense estrazioni petrolifere e dal prelievo di gas, sono quasi del tutto estinti. Ma a Yanar Dag, il cui nome significa “montagna di fuoco”, queste fiamme si possono ancora ammirare ai piedi di una collina di circa 116 metri di altezza; fiamme che nemmeno condizioni meteo decisamente avverse come neve o pioggia riescono ad estinguere.

Gli abitanti del posto sostengono che la scoperta di gas su questa piccola collinetta avvenne in modo del tutto accidentale negli anni "50 quando un pastore, gettando via il mozzicone acceso della sua sigaretta, provocò l’accensione di un muro di fuoco lungo 10 metri e da quel momento in poi, a differenza dei vulcani di fango che non bruciano costantemente, queste fiamme hanno continuato ad ardere ininterrottamente richiamando una notevole attenzione turistica.

Dopo cena torneremo presso le Flame tower per osservare le loro fantasmagoriche e cangianti luci colorate.

Dalla relazione di Roberto Pierpaoli 2017

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