Ladakh

il paese degli alti valichi 
di Marco Vasta
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questa pagina che leggi è basata sulla edizione 1988

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Architettura lamaista: i conventi 

I gompa, le dimore della solitudine, come i monasteri di ogni paese e di ogni religione, sorgono generalmente in luoghi appartati e solitari. Nella stesura di questa guida ho raggiunto monasteri grandi e piccoli, ricchi o poveri, visitando abbazie e cappelle isolate. La situazione è sempre pittoresca: distesi in un anfiteatro lungo il pendio roccioso della valle (come a Rigzong) raccolti su un roccioso cocuzzolo isolato (come Phyang, Bardan, Ringdom, Kye), degradanti lungo l'erto fianco di un contrafforte (come Spituk o Thikse), abbarbicati su un pendio aperto (come Karcha o l'affascinante Phuktal), addensati nell'angusto meandro di una valle (come dZongkhul od Hemis) od affacciati su un poggio verdeggiante (come Pemayangtse). Essi hanno sempre un fascino particolare e suggestivo, si celano per comparire improvvisamente ad una svolta della strada o del sentiero. 
I monasteri che oggi sopravvivono in Tibet e nelle valli himalayane, hanno perduto gran parte della loro vitalità e della loro importanza sociale. Sicuramente l'esilio in India del Dalai Lama ha segnato la fine di un epoca e si assiste oggi ad un progressivo esaurimento di una cultura giunta da tempo al suo massimo splendore. Eppure proprio questa migrazione dal Tibet ha comportato un'ondata di nuove energie al Lamaismo di numerose valli poiché molti monasteri sono stati posti sotto la giurisdizione di eminenti abati tibetani che hanno rinvigorito lo stanco monachesimo delle regioni himalayane indiane. Il flusso turistico, se da un lato ha introdotto notevole degrado nella vita comunitaria, ha dall'altro apportato un beneficio economico che ha permesso numerosi restauri, salvaguardando parte del patrimonio artistico dei monasteri ma anche introducendo pericolose semplificazioni dei modelli artistici nei nuovi affreschi che decorano i templi. 

Costruiti in una posizione dominante e nei pressi di un corso d'acqua, i monasteri costituivano un'unità religiosa sociale ed economica autonoma. Essi si trovano quindi non solo presso villaggi ma anche in posizioni isolate proprio in virtù di questa autosufficienza. Non sono costituiti da un singolo edificio ma da una folla di edifici che sembrano sormontarsi, quasi sorgere l'uno d'altro. Attorno al corpo centrale, costituito dal tempio e dalle cappelle per le cerimonie collettive, stanno gli altri edifici  in modo che il tetto a terrazza dell'uno serva da cortile per quello sovrastante. Questi edifici hanno lo scopo di soddisfare le molteplici esigenze di comunità talvolta numerose (in quella di Hemis erano registrati ben cinquecento monaci) perciò, oltre alle camere ed alle celle personali, i locali vengono adibiti a scuole, seminari d'istruzione, uffici amministrativi, refettori, cucine. Ed inoltre si trovano botteghe artigianali, stamperie, magazzini, foresterie dove alloggiare i monaci di passaggio, i pellegrini ed anche i turisti. 

Nei gompa gli elementi architettonici sono gli stessi che nelle case dei ricchi e dei notabili con finestre, terrazzini, portici e loggiati, strette feritoie e ampie terrazze, balaustre fra un piano e l'altro, tettucci fatti con rametti sporgenti, colorati in rosso cupo che quasi sezionano le bianche facciate. Ed una volta valicato il portale di questa cittadella, ci si può aggirare fra edificio ed edificio, in un labirinto di cortili, corridoi oscuri; un mondo intero che dall'esterno sembrava impossibile che possa esistere, celato come è da una apparente compatteza degli edifici. 
Le varie cappelle del monastero assumono nomi diversi a seconda della funzione cui sono destinate. Vi sono quindi le sale dell'assemblea di culto o sala riunioni, dukhang; la cappella della legge: choskang; il tempio delle divinità tutelari, il gonkang dove risiedono gli yddam della comunità; la cappella di maggior importanza, lhakang o tempio degli dei; quella privata dell'abate, labrang e la sua biblioteca pezmokang; ma i nomi poi variano indicando talvolta la specifica divinità adorata nel tempio. 
Quanto alla loro configurazione interna, i templi lamaisti si suddividono sostanzialmente in due tipi: a basilica con due navate laterali più basse od a pianta quadrata  dove lo spazio centrale resta circoscritto da pilastri di legno che attraversano il tetto per sorreggerne uno più alto. Tra i due tetti resta uno spazio aperto per il passaggio della luce. 
In entrambi i casi lo spazio centrale viene adibito a sala di preghiera dove, tra gli arredi sacri, si trovano i sedili dei monaci disposti in file parallele ai lati del passaggio centrale. In fondo alla navata si trova il trono dell'abate (e nei gompa riformati anche quello del Dalai Lama); in genere questi templi hanno una cappella posteriore con le altre immagini sacre. Le pareti sono dipinte, spesso in rosso vivo, oppure minuziosamente affrescate in un rutilio di colori che contrasta con l'aspro paesaggio delle vallate circostanti. È una fantasmagoria di tinte, tra cui predominano l'oro, il giallo ed il blu, riscontrabile anche sui capitelli dei pilastri degli affreschi e sulla laccatura delle immagini sacre. E la vostra curiosità non sarà mai appagata perché il senso del bello spira da ogni cosa che vedete nella cappella, dalle piccole coppe d'argento alle decine di statue allineate sugli altari, dalle tangke appese a pareti e pilastri, ai grandi recipienti nei quali l'impasto di tea e tsampa viene servito ai lama in preghiera, dai tavolini traforati ai lunghi tappeti morbidi, lunghi e stretti.