Bhavachakra: la ruota della vitaU n gran demone fra le cui mani sta un timone variopinto: questo il primo colpo d'occhio sulla sidpa korlo (tib.: la ruota della vita, o Sipa Khorlo (སྲིད་པ་འཁོར་ལོ་). La raffigurazione è già presente negli affreschi delle caverne di Ajanta, nell'lndia del sud, che risalgono agli albori dell'arte buddhista, ma è giunta fino a noi soprattutto grazie al Buddhismo Vajrayana che nel 7° secolo acquisisce l'uso della bhavachakra (skt.: ruota della vita) e le attribuisce un significato simbolico ed essenziale nella iconografia lamaista. Generalmente viene riprodotta sulle pareti dei loggiati antistanti l'ingresso delle sale d'assemblea e di culto, assieme alle immagini dei guardiani delle quattro direzioni, ma è anche rappresentata su thanka.
La ruota ha il compito
di rammentare, a chi sceglie le gioie terrene, tutto l'orrore del ciclo
delle reincarnazioni che imprigiona in questo universo sottoposto alla
legge karmica di casualità, un orrore da cui si fuoriesce solo con
la beatitudine del nirvana. Il primo obbiettivo di ogni insegnamento buddhista
è quello di creare delle basi didattiche attraverso il simbolismo
e l'iconografia che aiutano l'uomo a prender coscienza di questa legge
ineluttabile e gli conferiscano poi i mezzi affinché egli sia artefice
del proprio destino.
Sulla sinistra della testa è riprodotto Buddha che, con il braccio destro sollevato, indica una ruota della legge (skt.: dharmachakra) posta alla destra della testa del demone; seguire questa legge è l'unica fonte di riscatto per l'individuo e Buddha è d'esempio, la stessa posizione, fuori dal disegno della ruota, dimostra che si può raggiungere l'Illuminazione ed uscire dal ciclo karmico. Al centro della ruota, attorno ad un albero (non sempre raffigurato) che simboleggia l'asse del mondo, tre animali rappresentano i veleni (tib.: dugsum = tre cattive bevande) che sono la forza motrice della vita. Queste sono le tre afflizioni principali che, secondo il buddhismo,mettono in moto l’intero processo della trasmigrazione. A causa dell’offuscamento mentale o dell’ignoranza, ossia per il fatto che gli esseri non sono consapevoli del carattere illusorio e impermanente dei fenomeni, si genera l’attaccamento e si sviluppano i desideri dei sensi. Il gallo rosso della «collera» (pratigha) - qualcuno descrive un pavone -, cioè dell'avversione agli altri uomini, il serpente verde del «desiderio» (rga), ovvero tutti i sentimenti che esprimono cupidigia e brama di possesso, il grigio maiale dell'«ignoranza» (mūdhi). I tre animali si mordono la coda in una sorta di danza forsennata: il ciclo dell'«ego», con le sue forze dinamiche, muove tutta la vita. Segue una fascia,
separata idealmente o graficamente in due parti, dove gli uomini felici
si elevano per poi ricadere nudi e disperati; un ammonimento a non disperdere
i meriti acquisiti.
Nel settore inferiore abbiamo il mondo degli animali (dundo) ai quali un Buddha blu viene a predicare la conoscenza essendo loro prerogativa scontare il peccato d'ignoranza; nel mondo degli esseri miserabili (skt.: preta, tib.: yidak) si soffre una sete ed una fame inestinguibili, ad essi Avalokiteshvara porta un vaso di nettare, cibo degli dei, per insegnare la generosità.
In ultimo il mondo
degli inferi dove i dannati soffrono i supplizi. In genere vi è
raffigurato anche Yamantaka che brandisce lo specchio della conoscenza,
egli è Singge Chosgyal (re della legge) e lo ricorda sostenendo
una bilancia. Ma anche qui può essere presente Avalokiteshvara,
che in nero porta acqua a chi brucia. Il Buddha della misericordia può
anche non essere raffigurato ma ormai ben pochi artisti seguono i nuovi
affreschi seguendo la iconografia tradizionale.
|