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Lhasa Tibet Breve

1-18 agosto 2024

con AnM e Marco Vasta nel Paese delle nevi

 

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Samye བསམ་ཡས་

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Il mandala di Samye

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Tangka del 19° secolo con Shantarakshita ed episodi della sua vita

Samye (tib: བསམ་ཡས་), nome religioso completo Samye Mighur Lhundrub Tsula Khang (Wylie: Bsam yas mi ’gyur lhun grub gtsug lag khang) ovvero Santuario della Presenza Spontanea Immutabile, è il primo monastero buddhista tibetano e il primo dell'ordine Nyingma costruito in Tibet, durante il regno del re Trisong Deutsen

L'erudito monaco indiano Śāntarakṣita iniziò la costruzione intorno al 763. La leggenda vuole che l'edificio crollasse ripetutamente e che Śāntarakṣita allora abbia invitato Guru Padmasambhava (il nato da loto) che domò gli spiriti locali e divenne il fondatore tibetano del Vajrayana. Il complesso venne completo nel 779 ed i primi monaci tibetani furono ordinati qui.

 

Samye è un'emozione. Non tanto per i templi restaurati, ma per la "Samye" interiore, quella della descrizione di Tucci. Venne poi la apertura del Tibet. Ricordo la prima descrizione di come erano i templi. Confrontavo la relazione dell'amica Marisa Da Re che vi giunse nell'85 con uno dei primi gruppi di Avventure nel Mondo. I templi trasformati in silos! Samye non era raggiungibile nel luglio dell'86 quando visitai il Tibet con il mio gruppo, né lo raggiunsi nei viaggi successivi. Finalmente nel 1998 al quarto viaggio attraversai lo Tsang-po. Ma non vedevo la Samye di ora, né quella di Tucci o di Marisa. Vedevo la Samye di Ippolito Desideri, quella che lui raggiunse in fuga da Lhasa durante i tumulti che vi scoppiarono durante la sua permanenza. E tutt'oggi mi rimane il desiderio di percorrere quel tragitto attraverso i monti partendo dalla ricostruita Ganden, l'altra cittadella monastica che subì lo scempio della distruzione cinese.

Ippolito Desideri a Samye

Samye è un "luogo" per chi conosce la storia della prima diffusione del Buddhismo in Tibet e per me era anche lo spazio dove Ippolito Desideri aveva assistito al "prodigioso evento" del vaticinio da parte di un oracolo. Desideri ed il suo compagno Freyre si rifugiarono a Samye durante disastrosi eventi a Lhasa. Un percorso che oggigiorno è quasi ricalcato da un trekking di AnM inserito nel programma Segreto Tibet. Purtroppo, nei due articoli consultati non ne fanno menzione...

Circondato da montagne spoglie e da spettacolari dune di sabbia, è pervaso da un’atmosfera magica, che induce molti viaggiatori a definirlo il posto più bello dello

"Esce in fine col fastoso suo treno, e con la solenne sua pompa, il Ccioo-kiongh [chökyong], e in un luogo sublime a tutti visibile, dritto in piede alza al cielo gli sguardi e tutte altresì dell’immensa turba al cielo ne rivolge fisse e niente palpitanti, le pupille; per qualche spazio borbotta tra le sue labbra un certo non so che, e in fin col dito imperioso al ciel fa cenno. Sollevasi allora dalla banda dell’oriente un certo geroglifico a tutti visibile che viè più elevandosi, poc’a poco nella region superiore dell’aria s’avanza, sinché va in fine all’occidente e quivi non più veduto tramonta. Così l’un appresso l’altro diversi ne compariscono i geroglifici, l’un all’altro misteriosi succedono i fenomeni; ed or, per esempio, una spada, or un mucchio di spighe, or un attorcigliato serpente, or una ed or un’altra somigliante figura di là spunta, lenta pel ciel passeggia, e qua in fin s’asconde. Di ciascun fenomeno a tutti sensibile, ne propone il Ccioo-kiogh la spiegazione, ne discifra i misterj e per quell’anno ne predice or lieti e favorevoli, ed or lugubri e fatali gli avvenimenti. De’ comparsi geroglifici se ne descrivono dagli spettatori le figure, se ne riferisce il moto, e fedelmente se ne trascrivono le interpretazioni e per tutto il regno, in iscritto se ne divulgano i pronostici" (1).

 

A Lhasa ed oltre: la spedizione di Tucci nel 1948

Anche noi traghettammo, ma fu un tragitto breve a differenza della spedizione di Tucci del 1949 che aveva disceso lo Tsangpo: "Vicino a Samye il paesaggio mostrava tratti africani. Le dune di sabbia gialla sembravano mandrie accucciate attorno a scogliere rossastre e color ruggine. Più a sud, ampie e fertili vallate cominciavano a solcare la distesa desertica. Potevo vedere verdeggianti campi d'orzo costellati di villaggi. C'erano i possedimenti feudali dell'aristocrazia di Lhasa e la fonte del loro reddito.

Samye nel 1936 © Hugh Edward Richardson.

Facciamo tappa a Dorjetra, noto monastero della setta Nyinmapa nel cuore del distretto di Tra (scrags), nome dato alla zona sulla riva sinistra del fiume fino a Samye.

Era difficilmente possibile raggiungere Samye da Dorjetra in un giorno di navigazione. Una tempesta aveva cominciato a sferzare le acque del fiume e dovemmo approdare frettolosamente a Tsungkar m dove passammo la notte. Poiché Samye era molto all'interno della valle, lontano dalla riva del fiume, partimmo a cavallo il 10 agosto e, cavalcando lungo la strada, costeggiammo un notevole luogo storico contrassegnato da cinque chorten bianchi che si innalzavano sul pendio della montagna che crollava con grandi massi verso il fiume. Secondo la storia, quello era il luogo in cui il re del Tibet incontrò a metà strada il grande taumaturgo indiano Padmasambhava, che aveva invitato nella sua corte per sconfiggere le forze del male che infestavano il Tibet. Incerto se ciò si addicesse alla sua dignità, il re rimase in sospeso prima di inginocchiarsi ai piedi del l'esorcista, ma il potere magico di quest'ultimo spezzò l'alterigia del re, che cadde in ginocchio. Sulle rocce vicino ai chorten c'erano tracce di iscrizioni illeggibili. Abbiamo fatto una lunga sosta a Samye, stazione di grande importanza storica e religiosa"(2).

 

Il Mandala di Samye

L’impianto architettonico di Samye si basa su quello del Tempio di Odantapuri, nello stato indiano del Bihar, ed è una rappresentazione mandalica, altamente simbolica, dell’universo. Il tempio centrale simboleggia il Monte Meru (o Sumeru; Rirab in tibetano), mentre i templi che lo circondano, disposti in due cerchi concentrici, rappresentano gli oceani, i continenti e i subcontinenti intorno alla montagna della cosmologia buddhista. In origine questo complesso comprendeva 108 edifici (numero che per i tibetani è di buon auspicio). I 1008 chörten (tib.: མཆོད་རྟེན) lungo il muro circolare che cinge il monastero rappresentano il Chakravala, l’anello di montagne che avvolge l’universo.

Il Monastero di Samye, il primo complesso monastico fondato in Tibet, fu istituito nel 775 dal re Trisong Detsen. Samye è famoso non solo per l’importante ruolo storico, ma anche per la struttura basata su una rappresentazione mandalica, con il tempio principale, lo Ütse, che simboleggia il Monte Meru, centro dell’universo, mentre i templi disposti intorno rappresentano gli oceani, i continenti, i subcontinenti e altri elementi della cosmologia buddhista.

Di pari passo con i lavori condotti presso Samye, anche le cappelle ling (reali) – costruzioni esterne di secondaria importanza che circondano lo Ütse – vengono poco a poco restaurate.

Primo monastero costruito in Tibet, Samye ha alle spalle oltre dodici secoli di storia. Questo complesso fu infatti fondato durante il regno del re Trisong Detsen, che era nato nelle vicinanze e ‒ anche se gli studiosi non sono riusciti a individuare la data esatta ‒ con ogni probabilità venne edificato tra il 765 e il 780. In ogni caso, il Monastero di Samye rappresenta uno dei primi tentativi compiuti dalle autorità tibetane per favorire la diffusione della dottrina buddhista nel paese. Va però detto che la maggior parte della corte professava la religione bön, la fede più diffusa in Tibet prima dell’avvento del buddhismo, e non gradì affatto questa iniziativa.

L’affermazione del buddhismo a dispetto della classe dirigente bön venne sancita dal trionfo riportato da Guru Rinpoche sui demoni del Tibet radunati sulla montagna di Hepo Ri, pochi passi a est di Samye. Questo evento aprì la strada alla penetrazione del buddhismo nel paese.Poco tempo dopo la fondazione del monastero, l’abate indiano Shantarakshita (Kenchen Shiwatso in tibetano) ordinò i primi sette monaci del Tibet (i ‘sette uomini esaminati’) e numerosi eruditi indiani e cinesi furono invitati a collaborare alla traduzione in tibetano dei testi sacri buddhisti.

 

Il "Grande dibattito" o Concilio di Samye

Non molto tempo dopo scoppiarono vivaci dispute tra i seguaci della dottrina indiana e quelli della corrente cinese. Questi contrasti culminarono nel Grande Dibattito di Samye, un evento considerato dagli storici tibetani un momento cruciale nella storia del buddhismo in questo paese. Questo dibattito che con ogni probabilità si svolse dal 792 al 794al 790 fu essenzialmente un confronto tra l’approccio indiano, che considerava imprescindibile lo studio accurato dei testi per il raggiungimento della condizione di bodhisattva, e la più immediata visione di influenza chan (zen) dei maestri cinesi, che attribuivano minore importanza allo studio accademico, privilegiando la contemplazione della natura assoluta del buddhismo.

Il dibattito si incentrò principalmente sulla questione del bodhi, ovvero se l’illuminazione si raggiunga gradualmente attraverso la graduale attività o improvvisamente e senza il costante esercizio. Di fatto, quando il Buddhismo divenne la religione ufficiale dell’Altopiano, i vertici monastici cominciarono a porsi nuove domande. Infatti, come anche sottolineato dalla storiografia del tempo, gli insegnamenti Buddhisti arrivarono in Tibet da fonti diverse: dalla Cina, dall’Asia Centrale, dall’India e dal Nepal, ciascuno con sfumature dottrinali proprie. Gli aderenti al Buddismo di ascendenza indiana sottolineavano l’avvicinamento progressivo e graduale all’illuminazione spirituale, grazie a quella accumulazione paziente di meriti morali che risolvevano in questo modo la questione della retribuzione karmica e all’aiuto di una guida spirituale di un maestro; al contrario, i seguaci del Buddhismo di origine cinese peroravano la teoria dell’illuminazione, improvvisa, subitanea e spontanea.

Il dibattito dottrinale, durato ben due anni, ebbe luogo davanti al Re tibetano che si dichiarò favorevole alla scuola “gradualista” indiana, anche in virtù del fatto che erano il gruppo più numeroso sul territorio e non è da escludere che la sua decisione fu anche seguita da logiche di politica interna, inoltre, con ogni probabilità, la sentenza del sovrano fu influenzata in qualche misura dalla guerra intermittente allora in corso tra il Tibet e la Cina.

 

Samye ieri ed oggi

Sebbene Samye non sia mai stato territorio esclusivo dei vari ordini del buddhismo tibetano, data l’influenza esercitata da Guru Rinpoche nella fondazione del monastero, nel corso dei secoli questo complesso è stato identificato soprattutto con l’ordine nyingmapa. Nel corso del XV secolo salì al potere l’ordine sakyapa, che prese anche il controllo del Monastero di Samye, un fatto che finì per fare declinare l’influenza nyingmapa, anche se non completamente.

Le icone più famose di questo monastero sono quelle di Khenlop Chösum, la trinità che riunisce Guru Rinpoche, il re Trisong Detsen e Shantarakshita.

Nel corso della sua storia millenaria il Monastero di Samye è stato danneggiato e restaurato diverse volte. L’attacco più recente al suo patrimonio artistico è avvenuto durante la Rivoluzione Culturale. A partire dalla metà degli anni ’80 furono avviati imponenti interventi di restauro e oggi nel suo complesso risiedono 200 monaci.


Hepo Ri  (ཧས་པོ་རི་་,)

La montagna di Hepo Ri sorge circa 400 m a est di Samye. Lungo il crinale laterale si snoda un sentiero in salita, che in 30 minuti conduce a un braciere di incenso ornato da bandiere di preghiera, dal quale è possibile ammirare splendidi scorci del sottostante Monastero di Samye. Per arrivarci bisogna incamminarsi in direzione sud lungo il crinale e scendere lungo il sentiero lastricato. I pellegrini venerano questa montagna come una delle quattro alture sacre del Tibet (le altre sono il Gangpo Ri (Sotang Kangbori (Tib.: ཟོ་དང་གངས་པོ་རི, Sotang Kangbori; o Sodang Gangpo Ri)  che domina Tsetang da est, il Chagpo Ri a Lhasa e il Chuwo Ri a Chushul). Il re Trisong Detsen vi avrebbe fatto costruire un palazzo.

 

1)  Il Nuovo Ramusio, II, I missionari italiani nel Tibet e nel Nepal, vol. II, a cura di Luciano Petech, Istituto Poligrafico dello Stato – Libreria dello Stato, Roma 1955,  pp. 283-284

2) Tucci Giuseppe, A Lhasa e oltre, Diario della spedizione nel Tibet, 1948, con un'appendice sulla medicina e l'igiene nel Tibet, Istituto Poligrafico dello Stato – Libreria dello Stato, Roma 1950

   

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Ultima modifica: 12/07/2024 14:32:56

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