Chitral - Harchin - 5 agosto
“La pista che collega la cittadina di Chitral a Gilgit si può definire strada solo per alcuni dei suoi 400 km di sviluppo. La quasi totalità del percorso è affrontabile solo con le fuoristrada, autobus e normali automobili non riescono a passare fra queste impervie gole”. Le frasi della guida ci avevano resi perplessi sulla possibilità di effettuare questo raid, evitando di percorrere di nuovo la strada che unisce lo Swat a Chitral. Quattro anni fa, il Gruppo Hunza 79 di Gino Bernardi, ha trovato la strada interrotta in una ventina di punti e l'ha percorsa da Phunder a Gilgit con jeep, trattori, muli ed a piedi scavalcando le interruzioni e cambiando mezzo. Le testimonianze di chi incontravamo in Chitral erano sempre negative, sembrava quasi impossibile percorrere tutta la strada senza rimanere bloccati o dover tornare indietro. Ma alla fine tutti eravamo decisi a tentare l'avventura. I più dubbiosi si erano convinti che “ogni autista ama la propria Jeep più della propria vita”. E così, uniti due gruppi Hindukush Karakorum 83 Vasta e Starace, reduci dalle camminate nei kalash siamo partiti verso Gilgit dove sono in programma le camminate nelle valli di un Naltar e di Diantar che il gruppo Hunza 79 non era riuscito ad effettuare.
La nostra colonna di Jeep è composta da due Toyota, due Jeep, una Willis ed una cargo jeep (pickup Suzuki) addetta al trasporto bagagli. Gli autisti assaporano il primo di una lunga serie di spinelli, mentre i ragazzini con funzione di aiuto autista portano le jeep all'ultimo distributore. Olio e benzina: come in tutto il mondo il pieno lo effettuano solo quando sono sicuri che i passeggeri hanno l'intenzione di partire e la possibilità di pagare. Nelle prime ore della mattinata, superato il ponte settentrionale nei pressi dell'aeroporto, ci portiamo sulla sinistra orografica del fiume Mastuj che verrà risalito nella prima parte del percorso. I chilometri iniziali non sono interessanti. La strada è abbastanza larga e l'incrocio con altri veicoli non costituisce un problema. Attraversiamo Maroi e sostiamo a Reshun per un primo chai. Raggiungiamo Buni (da non confondere con Bunj in Hunza) situato su un ampio pianoro il cui verde contrasta con l'aridità dei picchi circostanti. Questo paesaggio desertico fra gole e dirupi, con lussureggianti oasi sparse di tanto in tanto sui coni di deiezione degli affluenti, accompagna il viaggiatore per una buona metà del percorso. Ma c'è poco tempo per guardarsi attorno e rallegrarsi del verde degli ombrosi frutteti: la strada s'inerpica rapidamente in una serie impressionante di tornanti che segmentano a zig zag l’inclinato pendio sabbioso. Gli autisti affrontano la salita con il motore tirato al massimo e su di giri, mentre le ruote schizzano polvere e sassi. Corriamo ad un piede dal precipizio, qualcuno siede zitto e pallido, aggrappato a qualsiasi sostegno che dia una parvenza di sicurezza. Altri chiacchierano cercando di essere disinvolti, ma l'occhio corre sempre verso il basso. I mangianastri urlano a tutto volume. Un ultimo colpo di acceleratore nell'affrontare la curva e poi la fuoristrada si ferma con il paraurti anteriore contro il muro di sostegno del prossimo tornante. Mentre l'autista gioca sui freni, l'aiuto che viaggia perennemente in piedi sul paraurti posteriore, è saltato a terra, raccatta una pietra e la infila sotto una ruota posteriore mentre la Jeep indietreggia. Bloccata la ruota si possono mollare i freni, inserire la ridotta, sterzare e ripartire. Ma questa operazione è più veloce di ogni descrizione ed ecco la fuoristrada già impennata sulla salita successiva, mentre la Jeep seguente entra nella curva e ripete l'operazione. La colonna procede senza sosta, i mezzi viaggiano distanziati con un margine che permette di manovrare senza ostacolare il mezzo successivo che arriva rombando ad ogni curva in pieno slancio, sicuro di trovare spazio per manovrare. E si va nella polvere, trattenendo il respiro quando si indietreggia fin quasi sul ciglio per sterzare, scrutando in alto, chiedendosi cosa succederebbe se apparisse improvvisamente il polverone alzato da un mezzo in discesa. Qualcuno suggerisce di indietreggiare di alcuni chilometri, altri propongono prove di forza evocando risse e Jeep che precipitano per centinaia di metri dritte nei gorghi del Mastuj. Credo che se qualche Dio ci avesse ascoltato in quel momento avrebbe raccolto un'ampia messe di preghiere silenti. La strada ora non sale più a zigzag, ma taglia decisa il fianco della montagna, correndo su spuntoni di roccia, ora su tratti sabbiosi, tagliando enormi slavine. Ancor più che sulla Karakorum Highway è qui testimoniato l'impegno che civili e militari prodigano per tenere aperto una strada tesa come un cordone ombelicale tra i paesi di queste valli. Una pioggia improvvisa, un cedimento del terreno, possono bloccare i mezzi per giorni, come capiterà nella settimana successiva ad un gruppo di francesi meno fortunati di noi. Grazie al Cielo - che qui dovrebbe essere Allah - questo gigantesco muro di roccia, sabbie e macigni in precario equilibrio, è più stabile di quanto possa far temere e gli smottamenti del terreno sono localizzati solo in alcuni punti noti agli autisti locali che li affrontano con incredibile perizia di guida. Ed il muro ha retto anche noi ed eccoci a tirare il fiato a Shanewal. Il tempo sia rannuvolato e non si scorge il Tirich Mir. Tra queste impervie vo gole nel 1895, furono intrappolate le truppe inviate da Gilgit in soccorso del contingente militare britannico asserragliato a Chitral. Come diavolo avranno fatto? Ora la strada scende leggermente e si guadano un paio di affluenti che scendono spumeggianti dai ghiacciai, alcuni sono visibili anche dal percorso, sono molto vicini e par di sentire il loro fiato gelido scendere dalle seraccate sospese. L'acqua di questi torrenti, fredde chiara, si tuffa, si rimescola con il fiume Mastuj color caffelatte mentre sulla sponda opposta enormi slavina di sabbia alzano un polverone che copre la visuale delle gole da cui siamo appena usciti. Quando guardiamo i torrenti, sostiamo ad aspettare che tutti i mezzi della colonna siano passati. Spesso il percorso di una jeep non è esattamente sulla linea di quella che la precede ed allora si cercano pietre per formare un altro passaggio o per bloccare le ruote che scivolano lateralmente mentre la Jeep si inclina nell'acqua rapida e gelata. La parte più pericolosa del tragitto è ormai per oggi alle nostre spalle. Ci complimentiamo con gli autisti mentre mister Saif, il loro capo, racconta con orgoglio che nessun'altra pista è difficile come questa, neppure la vecchia pista del Babusar Pass o quella che conduceva a Skardu. Chiara che l’ha valicato, lo conferma e inizia per l'ennesima volta a raccontare l'attraversamento delle Ande nel 1974 al seguito del grande capo (1). Sosta sigaretta in vista del villaggio di Mastuj che sorge sulla piano alluvionale formato dalla confluenza dei torrenti Laspur e Yarkum. Dapprima ci fermiamo presso la recinzione di una fattoria. Al di là dell'alto muro scorgiamo un invitante giardino. Gli autisti vogliono campeggiare in questo frutteto. Il posto è carino, ma manca l'acqua, quindi riprendiamo l'andatura e valichiamo il Laspur su un ennesimo ponte: tutti a terra, passano le jeep mentre noi attraversiamo a piedi e poi via! Il paesaggio è mutato la gola si fa stretta, dobbiamo valicare un affluente ed il passaggio impegnativo. Sulla parte opposta della valle, verso occidente ammiriamo le gole che scendono ripide dai ghiacciai sospesi, tagliando il pendio di sabbia e macigni, la pista corre in alto e sotto di noi si notano benissimo i coni alluvionali che si allargano fino al taglio netto che il Laspur provoca con l'erosione. Arriviamo al villaggio di Harcin, sostiamo davanti all'ufficio postale, arriva il poliziotto del paese e, interprete mister Saif, chiediamo un posto per accamparci. Il permesso dal Deputy Chief Commissioner vale fino al vicino Shandur pass, confine della NWFP con il distretto di Hunza, zona contesa con l'India perché fu del maharaja del Kashmir. Ispezioniamo alcuni terreni, ma sono tutti irrigati. L'acqua scorre sul prato che la assorbe come una spugna: ovunque arriva, il deserto diventa pascolo. Il portico della scuola è solida e asciutto, ma preferiamo accamparci sul campo da polo, non allagato e situato vicino ad una sorgente. Le jeep raggiungono un boschetto e da qui a piedi trasferiamo armi e bagagli sul polo ground. Abituati ai nostri campi di calcio, ci divertiamo ad indovinare come si potrebbe giocare su un campo in pendenza, tutto gobbe e soprattutto con le porte ad angolo retto fra di loro! Le tende spuntano come funghi colorati e la cucina e la cucina è posta rapidamente in funzione. Mangiamo in cerchio, lavati e puliti dalla polvere, con le tute grigie, rosse, gialle ed azzurre, mentre un nugolo di bimbi e ragazzini ci circondano meravigliati ci meravigliati dagli attrezzi che usiamo: pile piatte, fornellino a gas, secchi pieghevoli . Gli adulti si fingono distaccati ma non riescono a nascondere la curiosità. La sera scende e un nugolo di ragazzini corrono dal nostro cerchio a quello del gruppo di Chiara e Nicola R. si aggira sempre affamato gustando la cucina di entrambi i gruppi. Abbiamo percorso solo 130 km in tutta la giornata, siamo stanchi e finalmente possiamo usare i materassini espansi come giaciglio anziché come assorbi urti legati ai bordi ed ai sedili delle jeep. (1) Il numero 4-1974 della rivista AnM (ciclostilata) era stato interamente dedicato a questa epica avventura sud-americana.
|
|||||||
|